Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36578 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36578 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO/2025
CARMINE RUSSO
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CASTELLANA SICULA il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 27/03/2025 della CORTE di APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25/02/2021, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del 04/12/2018 del Tribunale di Como, che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni cinque e mesi sette di reclusione e NOME COGNOME alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione, avendoli ritenuti colpevoli del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui agli artt. 216 primo comma n. 1, 219, 223 R.d. 16 marzo 1942, n. 267 (esclusa l’aggravante ex art. 416bis .1 cod. pen.), per avere – in concorso tra loro – il primo quale amministratore di fatto e l’altro quale amministratore di diritto nominato dal 18/04/2013, della società RAGIONE_SOCIALE (società che aveva, quale oggetto sociale, l’attività di scavi ed edilizia, esercitando l’autotrasporto di merci per conto proprio ed altrui), dichiarata fallita dal Tribunale di Como il 27/06/2016, posto in essere condotte distrattive, quali la cessione del ramo d’azienda al prezzo irrisorio di euro ottomila, nonchØ dei beni strumentali per un corrispettivo sostanzialmente non versato.
In particolare, il 25/09/2013 la RAGIONE_SOCIALE cedeva alla RAGIONE_SOCIALE – società avente quale socio unico e amministratore unico, formalmente, NOME COGNOME (moglie dell’imputato COGNOME e sorella di NOME COGNOME, moglie dell’imputato COGNOME), ma di fatto sotto l’esclusivo controllo del COGNOME, che dal carcere indirizzava l’attività della società – il ramo d’azienda afferente al complesso dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività di autotrasporto merci per conto terzi, per un corrispettivo pari a euro ottomila, ritenuto del tutto irrisorio, siccome avvenuto con esclusione dei debiti e degli oneri (in deroga all’art. 2560 cod. civ.), con esclusione del subentro nelle obbligazioni assunte dalla parte venditrice (in deroga all’art. 2558 cod. civ.) ed assunzione di qualsivoglia obbligo di pagamento, inerente al periodo antecedente alla consegna; invero, la ragione economico-finanziaria sottesa alla detta operazione era il trasferimento, a prezzo irrisorio, alla RAGIONE_SOCIALE, società nuova e priva di debiti, di una licenza produttiva di reddito e l’abbandono della RAGIONE_SOCIALE [società
ormai non piø operativa, in quanto non in grado di esibire alle stazioni appaltanti il documento unico di regolarità contributiva (NUMERO_DOCUMENTO), a causa di debiti previdenziali e assistenziali] al dissesto finanziario, destinandola a divenire una scatola vuota, deputata solo al contenimento dei debiti maturati nei confronti dell’Erario e degli enti previdenziali.
Tra la fine del 2012 e gli inizi del 2014, inoltre, la gran parte dei beni strumentali di RAGIONE_SOCIALE veniva ceduta alla società RAGIONE_SOCIALE, a fronte di plurime fatture per cessione di cespiti, emesse per il complessivo importo di circa euro 150.000,00 ed onorate per soli euro 33.000,00 circa, residuando dunque un credito della RAGIONE_SOCIALE – nei confronti della RAGIONE_SOCIALE – ammontante a circa euro 117.000,00 e non risultando comunque, dalla documentazione della società, alcuna attività giudiziale o extragiudiziale finalizzata a ottenerne il pagamento.
Agli imputati erano state applicate, inoltre, le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque, nonchØ dell’abilitazione dall’esercizio di un’impresa commerciale e dell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per anni dieci; a NOME COGNOME era stata altresì applicata, a pena espiata, la misura di sicurezza della libertà vigilata per il periodo di anni uno e mesi sei. COGNOME e COGNOME erano stati assolti, infine, dalla contestazione ex art. 216 primo comma n. 2) e 223 legge fall., con l’adozione della formula di rito ‘perchØ il fatto non sussiste’.
1.1. Con sentenza del 18/10/2022, la Quinta Sezione di questa Corte ha:
annullato la sentenza impugnata – relativamente a NOME COGNOME – con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, per nuovo giudizio;
annullato la medesima sentenza quanto a NOME COGNOME, limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari, con rinvio per nuovo giudizio, sul punto, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano;
dichiarato inammissibile nel resto il ricorso di NOME COGNOME;
1.2. Con sentenza del 03/07/2023 – decidendo in sede di rinvio – la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME, la sentenza del Tribunale di Como del 04/12/2018, rideterminando le pene accessorie ex art. 216 ultimo comma legge fall. nella misura corrispondente alla pena principale a ciascuno inflitta e confermando, nel resto, la sentenza impugnata.
1.3. La Quinta Sezione di questa Corte, in data 26/03/2024, ha annullato la sentenza impugnata da NOME COGNOME, disponendo rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.
1.4. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano – in parziale riforma della sentenza di primo grado – ha rideterminato nei confronti del COGNOME le pene accessorie ex art. 216 ultimo comma R.d. n. 267 del 1942, in misura pari alla pena inflitta, confermando nel resto la sentenza del Tribunale di Como del 04/12/2018.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, con unico ricorso a firma degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, deducendo cinque motivi, che vengono di seguito enunciati entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per mancanza di motivazione in ordine alla utilizzabilità di intercettazioni acquisite in altro procedimento.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 2639 cod. civ., per avere la sentenza impugnata omesso di motivare con riferimento agli elementi necessari per affermare la responsabilità, quale
amministratore di fatto, a carico del COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per avere la sentenza impugnata omesso di motivare in ordine alla conoscibilità, da parte del ricorrente, della condotta ascritta al RAGIONE_SOCIALE. L’asserzione contenuta in sentenza – circa la consapevolezza, in capo al ricorrente, delle condotte poste in essere dl coimputato – non Ł supportata da elementi probatori concreti.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 216 legge fall., per avere la sentenza impugnata omesso di motivare in ordine agli elementi necessari per ritenere integrata la contestata condotta distrattiva, concernente la cessione della licenza conto terzi (sub A) e dei beni strumentali (sub B). Il raggiungimento della prova, in ordine all’elemento oggettivo del reato contestato, Ł stato argomentato mediante un mero rinvio al contenuto della sentenza di primo grado; ci si riferisce, però, alla posizione di COGNOME e non a quella di COGNOME, stando a quanto riportato nella stessa sentenza impugnata.
2.5. Con il quinto motivo, si denuncia violazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per omessa motivazione in ordine alla sussistenza della contestata recidiva.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il primo motivo Ł inammissibile, dato che ripropone una censura già reputata generica dalla sentenza rescindente. Quanto alla natura distrattiva delle operazioni, essa aveva già trovato conferma nella condanna irrevocabile pronunciata – nell’ambito dello stesso processo – a carico dell’amministratore di diritto COGNOME. In ordine al secondo profilo di incompletezza motivazionale, rilevato dalla Corte di cassazione nella sentenza rescindente, la sentenza impugnata specifica efficacemente il generico rinvio, contenuto nella sentenza impugnata, ai dialoghi ritualmente intercettati tra i coimputati.
Infondato Ł, infine, anche il quinto motivo di ricorso, nel quale si censura la decisione impugnata, per non aver disapplicato la contestata recidiva infraquinquennale; Ł adeguata, infatti, la motivazione con la quale la Corte ha segnalato la gravità dei precedenti definitivi gravanti sull’imputato, oltre che la commissione dei fatti in costanza di detenzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso Ł infondato.
Con il primo motivo, la difesa censura la ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni disposte in altro procedimento. In ipotesi difensiva, dunque, la sentenza impugnata non avrebbe affrontato la doglianza difensiva concernente la violazione dell’art. 270 cod. proc. pen., relativamente ad alcune intercettazioni ambientali, captate nel corso di altro procedimento, che vedeva COGNOME imputato per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. Trattasi di conversazioni effettuate nell’anno 2013, allorquando la RAGIONE_SOCIALE non era stata ancora dichiarata fallita; tali captazioni hanno rappresentato – prosegue la difesa – l’architrave dell’affermazione di colpevolezza a carico del ricorrente.
Il motivo Ł inammissibile, atteso che ad analoga doglianza ha già dato risposta altra Sezione di questa Corte, con la sentenza rescindente del 27/03/2024, laddove ha reputato inammissibile per genericità il medesimo motivo. La sentenza rescindente, sul punto, ha richiamato la nota decisione delle Sezioni Unite intervenuta nella specifica materia (Sez. U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, Cavallo, Rv. 277395) ed ha ricordato come, in origine, la bancarotta fosse contestata unitamente all’aggravante mafiosa, nella declinazione dell’agevolazione, poi esclusa dal Tribunale; ciò segnava l’esistenza di una connessione, rilevante secondo i principi dettati dalle Sezioni Unite Cavallo; tale dichiarata inammissibilità, quindi, non può esser messa ulteriormente in discussione.
Con il secondo motivo – parimenti da ritenersi non meritevole di accoglimento – la difesa lamenta non esser stata adeguatamente motivata, nella sentenza impugnata, la ritenuta figura di amministratore di fatto, a carico di COGNOME; il corrispondente motivo era stato ritenuto fondato, in sede rescindente. Sarebbero semplicemente emerse – stando alla prospettazione difensiva – alcune intercettazioni, nel corso delle quali COGNOME si sarebbe limitato a fornire a COGNOME delle mere indicazioni di merito, circa la gestione della RAGIONE_SOCIALE; nulla dimostrerebbe, però, la natura continuativa e significativa dei pretesi atti di gestione. Nel corso delle varie conversazioni – prosegue la difesa – mai COGNOME si sarebbe soffermato a discutere con COGNOME dei progetti di depauperamento di RAGIONE_SOCIALE, anche perchØ egli poteva vantare – quanto a tale società – un bagaglio di conoscenze davvero limitato. Anche dalle dichiarazioni rese dai testi COGNOME e COGNOME, peraltro, emergerebbe un coinvolgimento del COGNOME esclusivamente nella fase iniziale e, comunque, tale interessamento presenterebbe una natura oltremodo incostante.
3.1. L’argomento, in realtà, Ł stato congruamente affrontato dalla Corte territoriale, la quale adottando una struttura motivazionale ampia ed esaustiva, oltre che priva del pur minimo spunto di contraddittorietà – ha anzitutto evidenziato una serie di elementi, di carattere fattuale e logico, ritenuti atti a dimostrare la profonda cointeressenza fra le due società; tali elementi possono essere compendiati come segue:
la sussistenza di un dato formale, rappresentato dall’esser stato COGNOME socio di RAGIONE_SOCIALE al 75%, essendo invece riferibile il residuo capitale a NOME COGNOME, sorella della moglie di COGNOME e moglie di COGNOME;
l’esser stato COGNOME amministratore unico di RAGIONE_SOCIALE fino al 2011, momento del suo arresto.
3.1.1. Ulteriori elementi posti a fondamento dell’affermazione di colpevolezza, a carico di COGNOME, nella veste di amministratore di fatto della società fallita, sono stati ritenuti:
le conversazioni intercorse fra i due coimputati, proprio nell’imminenza delle fraudolente dismissioni contestate, che la Corte territoriale interpreta quali resoconti, fatti da COGNOME a colui che era il vero dominus delle operazioni fraudolente(COGNOME impartisce all’interlocutore, affermano i Giudici di appello, delle vere e proprie direttive, anche con riferimento alla cessione degli automezzi);
le conversazioni intrattenute da COGNOME con la madre, NOME COGNOME, nel corso delle quali quest’ultima chiede al figlio se vi sia necessità di controllare l’operato di COGNOME (così confermando, ritiene la Corte di appello, il ruolo di preminenza assunto dal ricorrente).
3.1.2. Quanto alle obiezioni della difesa, circa la lettura fornita dai giudici di merito delle dichiarazioni intercettate, va ricordato che la portata dimostrativa del contenuto delle conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, sottraendosi essa al sindacato di legittimità, se tale valutazione Ł motivata in conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv. 257784 – 01; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, dep. 30/04/2008, COGNOME, Rv. 239724). ¨ possibile, infatti, prospettare in sede di legittimità una interpretazione del significato di un’intercettazione diversa, rispetto a quella proposta dal giudice di merito, soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, 2018. COGNOME, Rv. 272558 – 01; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv.
259516 – 01; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Asaro, Rv. 252190 – 01; Sez.2, n. 38915 del 17/10/2007, dep. 19/10/2007, COGNOME, Rv. 237994).
Nel caso di specie, la difesa non ha dedotto illogicità evidenti, desumibili dal testo della sentenza impugnata, nØ ha assolto il peculiare onere di rappresentare in modo adeguato l’eventuale vizio di travisamento della prova (Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, dep. 03/10/2008, Buzi, Rv. 241023). Si Ł attestata, al contrario, sul mero auspicio di una diversa lettura delle conversazioni versate in atti – e in parte anche richiamate nel provvedimento impugnato – al fine di ricavarne esiti difformi. Operazione, come detto, non consentita in sede di legittimità.
3.2. La sentenza impugnata, inoltre, non manca di segnalare ulteriori dati probatori, ugualmente ritenuti di univoca significazione, in vista della possibilità di attribuire a COGNOME il ruolo di amministratore di fatto; tali elementi sono costituiti:
dal fatto oggettivo, specificamente sottolineato in sentenza, che COGNOME, nel corso della sua detenzione, si sia informato circa la sorte dei dipendenti, adoperati promiscuamente dalle due società;
dal tenore delle dichiarazioni rese dalla COGNOME, ossia da colei che, dopo essersi occupata dei vari passaggi di proprietà, ha riferito di aver sempre dato per scontato che il vero artefice di tutte le operazioni fosse COGNOME.
3.3. Viene affrontato anche – per sconfessarlo – l’ulteriore argomento a discarico proposto dalla difesa, ossia quello imperniato sull’esistenza di un credito di COGNOME verso RAGIONE_SOCIALE. La Corte territoriale, infatti, sottolinea la carenza di qualsivoglia evidenza documentale in tal senso, non potendosi trarre la sussistenza di siffatta posta passiva, nØ dai bilanci, nØ dal preteso ammontare; milita, del resto, nel senso dell’insussistenza dell’asserito credito aggiungono i Giudici di secondo grado – la mancata tempestiva rivendicazione dello stesso, ad opera dell’imputato, nell’ampio lasso di tempo intercorso, fra il momento della cessazione dalla carica e le prime vendite.
Con il terzo motivo, viene proposta la tematica del preteso difetto di motivazione, quanto al profilo della conoscibilità – da parte di COGNOME – delle condotte distrattive realizzate dall’amministratore di diritto; a parte l’enunciazione (non del tutto sovrapponibile al contenuto specifico del motivo), il nodo centrale della censura Ł costituito dal profilo della qualificazione della figura di COGNOME; la problematica, in effetti, trova scaturigine nel fatto stesso che la Corte territoriale si sia posta il dubbio che l’imputato potesse essere ritenuto non amministratore di fatto, bensì concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore di diritto.
Sul punto, la giurisprudenza ha avuto modo di precisare, in primo luogo, come non valga ad integrare una violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto in sentenza, rilevante ai sensi dell’art. 521 cod. proc. pen., la decisione mediante la quale venga condannato un soggetto nella veste di concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, piuttosto che secondo l’originaria contestazione quale amministratore di fatto, laddove resti immutata l’azione distrattiva ascritta (fra tante, si vedano Sez. 5, n. 36155 del 30/04/2019, COGNOME, Rv. 276779 – 01; Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 264073 – 01 e Sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009, COGNOME, Rv 246100).
Il tema sollevato dalla difesa con il ricorso, comunque, avrebbe potuto avere un qualche rilievo in sede di legittimità, esclusivamente nel caso in cui la Corte di appello avesse escluso la sussistenza della figura dell’amministratore di fatto, in capo a COGNOME, per ritenere integrato, invece, il concorso dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore di diritto, quale intraneus . Ciò non Ł avvenuto, in quanto il ricorrente Ł stato considerato, anche dalla sentenza ora impugnata, un amministratore di fatto e come tale condannato.
La residua porzione della doglianza difensiva, attinente al tema della conoscibilità – da parte di COGNOME – della condotta posta in essere da COGNOME, Ł esattamente sovrapponibile ai temi già ampiamente sviscerati con il secondo motivo, alla cui trattazione, pertanto, si può fare integrale richiamo.
Il quarto motivo avversa la ritenuta natura distrattiva di alcune condotte. Con tale deduzione, la Corte territoriale si Ł confrontata, in primo luogo, spendendo una argomentazione di ovvia valenza oggettiva e processuale, ossia ricordando come – quanto alla sussistenza dei fatti contestati sotto il profilo fenomenico, ossia nella loro stretta materialità – esista una pronuncia passata in giudicato, a carico dell’amministratore di diritto COGNOME. L’argomento difensivo, comunque, viene diffusamente affrontato nella sentenza impugnata, laddove vengono analizzate le due condotte distrattive contestate sub A) e B) della rubrica, che sono:
la cessione del ramo d’azienda a RAGIONE_SOCIALE (aspetto in relazione al quale si approfondiscono i temi delle cointeressenze esistenti fra le due società, nonchØ della natura irrisoria del prezzo convenuto, della ritenuta scarsa credibilità dei testi COGNOME e COGNOME e, infine, della mancanza di una reale ragione economica, concretamente in grado di sorreggere la cessione);
la distrazione di beni strumentali (tema in ordine al quale si giunge alla conclusione della natura distrattiva della vendita, partendo dallo stesso mancato pagamento di gran parte del relativo prezzo, da parte di RAGIONE_SOCIALE).
Al cospetto di un percorso argomentativo alieno da fratture razionali ed aderente alle emergenze istruttorie, il ricorrente si limita ad articolare obiezioni di stampo eminentemente confutativo che, nell’accreditare una diversa esegesi delle singole evidenze fattuali, non riescono ad enucleare – nel provvedimento impugnato – specifici profili di illogicità, tantomeno manifesta, o di contraddittorietà e, quindi, non valgono ad eccitare l’esercizio del potere censorio riservato al giudice di legittimità.
Il quinto motivo concerne la sussistenza della recidiva, sostenendo la difesa la natura solo apparente della motivazione adottata dalla Corte di appello, la quale non avrebbe chiarito la ragione della ritenuta sussistenza di una relazione, tra il reato ora giudicato e quelli posti in essere in passato.
Giova precisare, allora, che l’apprezzamento di tale circostanza – nella sua portata di amplificazione sanzionatoria – va operato in concreto, alla stregua dei criteri espressi da Sez. U. n. 35738 del 27/05/2010, CalibŁ, Rv 247838 (cfr. Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023 Antignano, Rv. 284425 – 01 e Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270419 – 01). La giurisprudenza di legittimità – quanto allo specifico tema – ha infatti evidenziato come gravi sul giudice il dovere di verificare, in concreto, se la reiterazione dell’illecito sia da reputarsi sintomo effettivo di accentuata riprovevolezza della condotta, oltre che di maggior pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta nella devianza e ad ogni altro parametro individualizzante, significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.
Tale indagine risulta compiuta – durante il giudizio di merito – in maniera esaustiva e lineare, dato che la Corte distrettuale si Ł premurata di sottolineare come COGNOME annoveri plurime condanne, per delitti di gravissima natura, quale l’art. 74 d.P.R. 09 ottobre 1990, l’associazione di tipo mafioso ex art. 416bis cod. pen. e il porto di armi. ¨ stato altresì
precisato, in sentenza, come il reato sia stato posto in essere in costanza di detenzione, elemento viepiø deponente in senso sfavorevole, in vista della invocata esclusione della recidiva.
La Corte, quindi, ha ritenuto provata la sussistenza di una accresciuta pericolosità sociale dell’imputato, per aver egli manifestato una crescente propensione verso il delitto. La struttura argomentativa della avversata decisione, pertanto, Ł logica e priva del pur minimo profilo di distonia logica; essa non risulta in alcun modo scalfita, infine, dalle argomentazioni difensive, che sono di tenore meramente oppositivo.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 18/09/2025
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME