Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 36411 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 36411 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME nato a San AVV_NOTAIO Rotondo il DATA_NASCITA; COGNOME NOME nato a Vieste il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 12 giugno 2024 della Corte d’appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse del COGNOME e per il rigetto del ricorso proposto nell’interesse del COGNOME; uditi i difensori, AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, nell’interesse del COGNOME, nonché AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME, nell’interesse del COGNOME, che hanno insistito per l’accoglimento dei loro rispettivi ricorsi.
fc’
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Bari, in parziale riforma della condanna pronunciata in primo grado, ha dichiarato l’estinzione (per prescrizione) del concorrente reato di bancarotta semplice contestato al capo C), confermando, tuttavia – per quel che rileva in questa sede – la già ritenuta responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME (il primo quale amministratore di diritto e il secondo quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 10 ottobre 2013) in ordine ai reati d bancarotta fraudolenta documentale (per aver tenuto i libri e le scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari e per non aver tenuto alcuna documentazione contabile per gli anni dal 2010 al 2013, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori) e bancarotta impropria da operazioni dolose (rappresentate dal sistematico mancato pagamento di tributi e contributi) ascritti in rubrica.
Avverso tale sentenza, propongono ricorso per cassazione entrambi gli imputati.
L’unico motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è formulato sotto il profilo dell’inosservanza di norma processuale e deduce l’omessa notifica all’imputato del decreto che dispone il giudizio in appello.
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME si compone, invece, di due motivi d’impugnazione.
4.1. Il primo deduce manifesta illogicità della motivazione e travisamento delle risultanze probatorie con riferimento al ritenuto esercizio in fatto delle funzioni gestorie da parte del ricorrente, accertato alla luce delle sole dichiarazioni rese al curatore dal coimputato, così come ritenute riscontrate dalle dichiarazioni dei fornitori e dei dipendenti dell’istituto bancario ove era tenuto il conto corrente della società.
Ebbene, sostiene la difesa, l’amministratore di diritto ha riferito di una comune gestione durata circa un anno, ma in concreto ridottasi – per la sopravvenuta inoperatività del supermercato – a pochi mesi e, comunque, essendo sempre rimasto assente nel corso del processo, le sue dichiarazioni non possono autonomamente fondare il giudizio di responsabilità; i dipendenti dell’istituto bancario hanno riferito solo della pacifica circostanza per cui il COGNOME era delegato al versamento; i rapporti con fornitori trovano la loro giustificazione nelle funzioni di direttore commerciale e comunque si riferiscono ad un unico episodio (la
fr”
fornitura degli arredi iniziali del supermercato), riconducibile ad un documentato impedimento dell’amministratrice dell’epoca.
4.2. Il secondo motivo di ricorso deduce vizio di motivazione ed attiene alla determinazione del trattamento sanzionatorio, quanto, in particolare, al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, motivato in ragione della sola ritenuta inesistenza di elementi favorevolmente valutabili e in evidente contraddizione con il parallelo riconoscimento delle medesime circostanze in favore degli amministratori di diritto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. L’unico motivo di ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è indeducibile.
Agli atti del fascicolo (a quali questa Corte può accedere in ragione della natura processuale del vizio denunciato) risulta un iniziale tentativo di notifica in Peschici, alla INDIRIZZO (indirizzo indicato dal difensore all’udienza del 12 aprile 2023 e al quale era già stato precedentemente notificato l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare), non compiutamente perfezionatasi (non vi è prova dell’avvenuta ricezione della raccomandata), e una successiva notifica, ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen., a mezzo pec (consegnata il 25 settembre 2023, ore 15:19) al difensore di fiducia.
Ebbene, questo Collegio ritiene che la notifica all’imputato del decreto di citazione per il giudizio di appello in luogo diverso rispetto al domicilio validamente eletto o dichiarato determini una nullità di ordine AVV_NOTAIO a regime intermedio, che va dedotta entro i termini decadenziali previsti dall’art. 182 cod. proc. pen., salvo che l’irrituale notifica risulti, in concreto, inidonea a consentire l’effetti conoscenza dell’atto da parte del destinatario, configurandosi, in tal caso, una nullità assoluta per omessa notificazione di cui all’art. 179 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 27546 del 03/04/2023, Brancolini, Rv. 284810).
Ebbene, da un canto, alla successiva udienza del 13 dicembre 2023, il difensore nulla ha eccepito; dall’altro, in questa sede, non sono stati rappresentati elementi dai quali poter dedurre l’assoluta inidoneità della notifica ad assolvere alla sua funzione, in considerazione del rapporto fiduciario che lega l’imputato al suo difensore; circostanza che, pur non realizzando una acritica equiparazione della notificazione eseguita presso il difensore a quella da eseguirsi presso il domicilio eletto, costituisce indizio di effettiva conoscenza dell’atto, imponendo al difensore l’onere di allegazione delle circostanze particolari impeditive di tale conoscenza (Sez. 4, Sentenza n. 2416 del 20/12/2016, dep. 2017, Zucchi, Rv. 268883).
Complessivamente infondato il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
2.1. Per come si è detto, con il primo motivo, la difesa deduce manifesta illogicità della motivazione e travisamento delle fonti probatorie.
Ebbene, il prospettato travisamento (quanto alla delimitazione temporale della comune gestione societaria), in realtà afferente non già ad una divergenza tra il significante e il significato, ma all’esistenza di una motivazione a sostegno della prospettata interpretazione, è indeducibile in quanto non sposta il dato dichiarativo rilevante ai fini della responsabilità: né l’esistenza di una comune gestione, né la relativa durata (non potendosi sostenere che la cessazione dell’operatività del supermercato determini l’interruzione di ogni profilo gestorio della società, banalmente esistente anche nella fase liquidatoria).
E tali dichiarazioni ben possono essere utilizzate a fondamento della ritenuta responsabilità, tenendo conto che la relazione è fonte di prova documentale e che le dichiarazioni ivi riportate sono parte integrante degli accertamenti eseguiti dal curatore nell’esercizio dei poteri assegnati al pubblico ufficiale per verificare le cause del dissesto (Sez. 5, n. 32388 del 03/03/2015, Setti, Rv. 264255). E anche a voler coordinare tale principio con quanto previsto dall’art. 526 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 13060 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 270596), la difesa non ha neanche dedotto di aver chiesto l’esame del coimputato dichiarante, per cui non vi è prova che vi sia effettivamente stata una volontaria sottrazione all’esame.
2.2. Le ulteriori censure sono tutte indeducibili.
Appare opportuno premettere che, sotto il profilo processuale, la prova della ritenuta funzione gestoria, esercitata in fatto da parte di un soggetto non formalmente investito di tale carica, si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico di tale soggetto in qualunque settore gestionale dell’attività economica, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, Rv. 269101). Accertamento che, se sostenuto da motivazione congrua e logica, è insindacabile in sede di legittimità, in quanto oggetto di un apprezzamento di fatto riservato ai giudici di merito (Sez. 5, n. 22413 del 14/04/2003, rv. 224948; Sez. 1, 12/05/2006, n. 18464, rv. 234254).
Ciò considerato, i giudici di merito hanno individuato una pluralità di indici logici e fattuali, estrapolati dalle fonti probatorie (specificamente indicate), di assoluto valore sintomatico della qualifica di amministratore di fatto rivestita dal ricorrente. In particolare: le esplicite dichiarazioni rese dal NOME (quanto alla già rilevata comune gestione riferita al curatore); le coerenti dichiarazioni rese da NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente titolare e dipendente della Arredo RAGIONE_SOCIALE (i quali hanno riferito di aver fornito l’arredamento alla .,
‘RAGIONE_SOCIALE‘, ma di essersi sempre interfacciati con il ricorrente, il primo per l’ordine delle forniture, il secondo per il montaggio) e da NOME COGNOME, per conto di ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (di analogo tenore); le coerenti dichiarazioni rese dai dipendenti dell’istituto bancario presso il quale era stato aperto il conto della RAGIONE_SOCIALE (che hanno riferito che il ricorrente, pur non avendo qualifica di amministratore, era incaricato formale per i versamenti della RAGIONE_SOCIALE).
A fronte di ciò, la difesa deduce: che i dipendenti dell’istituto bancario avrebbero riferito solo della pacifica circostanza per cui il COGNOME era delegato al versamento; che i rapporti con fornitori troverebbero la loro giustificazione nelle funzioni di direttore commerciale e comunque si riferirebbero ad un unico episodio (la fornitura degli arredi iniziali del supermercato), riconducibile ad un documentato impedimento dell’amministratrice dell’epoca.
Ma tanto, da un canto, significa parcellizzare la valutazione del singolo dato probatorio, estrapolandolo dal AVV_NOTAIO contesto probatorio all’interno del quale è inserito; dall’altro significa sindacare la valutazione della prova prospettata dal giudice di merito, non la motivazione che di questa viene offerta; significa chiedere a questa Corte una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, articolata sulla base dei diversi parametri di ricostruzione e valutazione, dimenticando i limiti propri del sindacato di legittimità, circoscritto, sotto il profilo motivazionale, alla sola verifica di logicità e coerenza delle argomentazioni offerte (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745; Sez. 5, n. 11049 del 13/11/2017, COGNOME).
2.3. Indeducibile anche la censura afferente al trattamento sanzionatorio.
In linea di principio, la commisurazione della pena e la disciplina fondamentale dettata dagli artt. 132 e 133 cod. pen. rappresentano il nucleo centrale del tema della discrezionalità riconosciuta al giudice penale, in rapporto alla peculiarità del caso concreto e alla personalità dell’autore; esso stesso funzionale alla determinazione di un trattamento sanzionatorio che sia proporzionato ed individualizzante, in un assetto che sia compatibile con le finalità proprie della pena e, in particolar modo, con la finalità rieducativa della pena; funzione, quest’ultima, che costituisce «patrimonio della cultura giuridica europea, in particolar modo per il suo collegamento con il “principio di proporzione” fra qualità e quantità della sanzione, da una parte, ed offesa, dall’altra» (Corte cost., sent. n. 313 del 1990).
In questo contesto, le circostanze attenuanti generiche rappresentano lo strumento attraverso il quale il giudice, nella sua valutazione discrezionale, tiene conto della concretezza della vicenda, incidendo con un intervento correttivo sulla determinazione della pena, rendendo, di fatto, quest’ultima rispettosa dei principi
di ragionevolezza e proporzionalità e, così, adeguando la sanzione finale all’effettivo disvalore del fatto oggetto di giudizio.
Tali circostanze, in sé, non costituiscono oggetto di un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma necessitano, in positivo, di elementi (dei quali il giudice deve esplicitamente dar conto) ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio rendendolo coerente alla concreta gravità del fatto.
Nella valutazione degli elementi da valutare ai fini del riconoscimento di dette circostanze, l’art. 62-bis cod. pen. non individua, né specifica le situazioni in presenza delle quali esse debbono trovare applicazione, attribuendo al giudice un ampio potere discrezionale nella determinazione e valutazione degli elementi e dei dati che possano influire sulla decisione. E, in questa valutazione, è evidente che il giudice può e deve fare riferimento sia ai criteri enunciati nell’art. 133 cod. pen. – norma onnicomprensiva delle possibili situazioni influenti nel trattamento sanzionatorio – sia ad elementi e situazioni di fatto particolari – diversi da quelli legislativamente indicati nell’art. 133 cod. pen. – aventi valore significante, ai fini dell’adeguamento della pena alla natura ed all’entità del fatto di reato commesso ed alla personalità del reo (Sez. 1, n. 9548 del 01/10/1986, dep. 1987, Esposito, Rv. 176622).
Presupponendo un apprezzamento in fatto, anche il riconoscimento delle circostanze generiche è esercizio di un potere discrezionale riconosciuto al giudice del merito; un potere che, nonostante la sua ampiezza ed estensione, non è tuttavia illimitato e sottratto al successivo controllo del giudice dell’impugnazione: non potendosi mai tale potere tradursi in arbitrio, egli ha l’obbligo di motivare la sua decisione indicando i parametri e i criteri utilizzati ed enunciando le ragioni che pone a fondamento del diniego o del riconoscimento delle attenuanti generiche. E, sotto tale profilo, la motivazione è congrua e non contraddittoria non solo quando il giudice ritenga (o meno) la sussistenza delle attenuanti, nonostante difetti uno specifico apprezzamento per ciascuno dei fattori che incidono sulle circostanze, ma anche quando venga preso in esame uno solo di essi, e ciò sia quando quel fattore fonda la sussistenza della attenuante, sia quando ne determini l’esclusione. Cosicché, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra quelli indicati dall’art. 133 cod. pen., l’elemento che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio (ex multis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549), senza la stretta necessità della contestazione o dell’invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315; Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Rv. 252900; Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, Rv. 281590).
Ebbene, la Corte ha giustificato il mancato riconoscimento in ragione dell ritenuta mancanza di elementi positivamente valutabili, circostanza che, alla lu della generica censura formulata con i motivi di appello e dell’esplicito riferime all’unico elemento compiutamente allegato, il ruolo (con l’indicazio dell’originaria finalizzazione della condotta assunta), dà atto delle ragioni ri ostative all’invocato riconoscimento.
In conclusione, il ricorso proposto nell’interesse del COGNOME de essere dichiarato inammissibile e quello proposto nell’interesse del COGNOME de essere rigettato, con conseguente condanna di entrambi i ricorrenti, in solido pagamento delle spese processuali e del solo COGNOME della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila i favore della Cassa delle ammende.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali.
Così deciso il 2 ottobre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente