Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14412 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14412 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AVELLINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/02/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Napoli ha confermato la condanna di COGNOME NOME per i reati aggravati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commessi nella sua qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, fallite rispettivamente, il 2 ottobre 2003 e il 18 giugno 2004. In parziale riforma della pronunzia di primo grado la Corte territoriale ha dichiarato invece non doversi procedere nei confronti dello stesso imputato per gli analoghi reati contestatigli in riferimento al fallimento di altre società perché estinti per prescrizione.
Avverso la sentenza ricorre l’imputato articolando sei motivi.
2.1 Con il primo deduce violazione di legge e vizi di motivazione in merito all’affermazione di responsabilità per i reati connessi ai fallimento della RAGIONE_SOCIALE In particolare lamenta il ricorrente la violazione del principio correlazione, adducendo che oggetto di contestazione all’imputato siano stati esclusivamente quelli relativi al fallimento di altra società omonima, già dichiarati prescritti, come eccepito dalla difesa nel giudizio d’appello nel corso della discussione finale.
2.2 Con il secondo motivo vengono dedotti inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in merito all’attribuzione all’imputato della qualifica di amministratore di fatto delle fallite. Lamenta il ricorrente che in alcun modo, con riguardo a queste ultime, la Corte avrebbe dimostrato di quali poteri gestionali l’imputato sarebbe stato investito, non essendo stata fornita evidenza di alcun atto con rilevanza esterna che egli avrebbe compiuto e che tutte le operazioni con terzi sarebbero state gestite dagli amministratori delle singole società. Né sussisterebbe alcuna prova che l’imputato abbia negoziato alcun assegno ricevuto dalle fallite, mentre alcun rilievo assumerebbero le dichiarazioni dei coimputati valorizzate dai giudici del merito, atteso il loro evidente interesse a scaricare sul COGNOME le proprie responsabilità.
2.3 Con il terzo motivo vengono dedotti violazione di legge e vizi di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza delle contestate condotte distrattive. In proposito osserva il ricorrente come non sia stata acquisita prova alcuna, in particolar modo con riferimento alle due società per cui ancora si procede, di tali distrazioni, rimanendo apodittica l’affermazione della Corte per cui i fondi provenienti dall’attività di raccol del risparmio in cui erano impegnate le fallite siano pervenuti sui conti dell’imputato e della moglie ovvero impiegati in investimenti ad alto rischio. Concordemente il teste
della Guardia di Finanza, i curatori fallimentari e financo il consulente dell’accusa avrebbero deposto nel senso per cui il disavanzo delle fallite sarebbe stato determinato esclusivamente dalla loro incapacità di soddisfare gli elevati tassi di interesse promessi agli investitori. Non di meno gli stessi testi avrebbero ammesso di non aver visionato la documentazione contabile sequestrata, mentre la teste COGNOME, pure valorizzata ad altri fini dei giudici del merito, avrebbe riferito come di tutte le operazioni veniss effettuata regolare annotazione in prima nota.
2.4 Analoghi vizi vengono dedotti con il quarto motivo in merito all’affermazione di responsabilità per i reati di bancarotta documentale. In proposito lamenta il ricorrente come, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte, alcun onere della prova negativa dell’incompletezza della contabilità incombeva sulla difesa, avendo la stessa documentato il sequestro della stessa. Non di meno, come detto, alcuno dei testi auditi ha ammesso di averla visionata, formulando dunque mere deduzioni sulla sua tenuta ed esaustività. Ne consegue che, in assenza del suo effettivo accertamento, alcuna ipotesi di fraudolenta tenuta sarebbe contestabile all’imputato, mentre per quanto riguarda la sottrazione o l’occultamento di libri contabili la sentenza impugnata avrebbe omesso di motivare sul dolo specifico del reato, avendo in sostanza la Corte omesso di distinguere tra le diverse ed alternative fattispecie previste dalla norma incriminatrice contestata. Conclude il ricorrente che dunque i reati in questione non sussisterebbero, potendosi al più ritenersi configurabile il reato di bancarotta semplice, oramai prescritto.
2.5 Anche con il quinto motivo vengono dedotti violazione di legge e vizi di motivazione in merito al rigetto dell’eccezione di violazione del divieto di ne bis in idem in riferimento alla pregresse condanne subite dall’imputato per il reato di appropriazione indebita delle somme affidate dai risparmiatori alle società poi fallite. Lamenta il ricorrente che la Corte abbia respinto l’eccezione sulla base dell’assunto che persone offese dei reati per cui il COGNOME è stato già giudicato sarebbero solo alcuni degli investitori le cui risorse costituiscono l’oggetto delle condotte distrattive contestate ne presente processo, trascurando gli elementi identitari tra le due imputazioni e i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 200 del 2016.
2.6 Con il sesto ed ultimo motivo il ricorrente deduce erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito al mancato assorbimento del reato di appropriazione indebita in quello di bancarotta patrimoniale ai sensi dell’art. 84 c.p.
3. Il difensore dell’imputato ha depositato memoria di replica alle conclusioni del AVV_NOTAIO Generale.
1. Il ricorso è inammissibile.
E’ inammissibile anche il secondo motivo.
3.1 In assoluta sintonia con i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, l Corte territoriale ha ampiamente motivato sull’attribuzione al COGNOME della qualifica di amministratore di fatto delle società fallite, comprese le due per la cui bancarotta
ancora si procede, evidenziando come il RAGIONE_SOCIALE dallo stesso presieduto (v. p. 7 della sentenza impugnata) costituisse il motore decisionale dell’intera costellazione che egli aveva ideato, tanto che tutte le società avevano sede presso la sua abitazione o il suo studio professionale e venivano gestite attraverso una cassa comune amministrata in sede centrale sempre dall’imputato.
3.2 In altri termini i giudici di merito, coerentemente alle risultanze esposte, hanno logicamente ritenuto che le diverse società costituissero di fatto articolazioni solo formalmente distinte di un’unica struttura diretta dall’imputato servendosi di soggetti di comodo per ricoprire le cariche amministrative delle diverse componenti, come dimostrato anche dal fatto che era il COGNOME a detenere i libretti degli assegni delle varie società, disponendo dei titoli prefirmati “in bianco” dai singoli amministratori (circostanza contestata in maniera generica e solo assertiva dal ricorrente). In tale contesto probatorio la Corte ha poi inserito, a ulteriore riscontro delle conclusioni assunte, le dichiarazioni rilasciate da questi ultimi ai curatori fallimentari e dalla test COGNOME (collaboratrice fino al 1999 dell’imputato), i quali hanno confermato la gestione accentrata svolta dal COGNOME.
3.3 Non è dubbio che gli elementi posti a fondamento della valutazione compiuta dai giudici di merito corrispondano al profilo dell’amministratore di fatto ossia del soggetto che svolge in maniera continuativa le funzioni gestionali, tra le quali la principale è rappresentata proprio da quella relativa all’adozione delle scelte di indirizzo dell’operatività delle società, non rilevando invece che l’amministratore di fatto abbia compiuto atti di rappresentanza esterna dell’ente e tantomeno che abbia assunto l’intera gamma delle funzioni gestionali (ex multis Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Desiata, Rv. 283850). Per contro le censure del ricorrente sul punto, oltre a scontare un elevato grado di intrinseca genericità ed a risultare in contrasto con i consolidati principi ricordati, nemmeno si confrontano compiutamente con la motivazione della sentenza e con gli elementi valorizzati dalla stessa al fine di attribuire la qualifica di cu si discute all’imputato, omettendo dunque di evidenziare profili di effettiva illogicità de suo sviluppo argomentativo.
4. Anche il terzo motivo è inammissibile.
4.1 Anzitutto generiche sono le obiezioni con le quali vengono denunziati plurimi travisamenti per omessa considerazione di prove dichiarative, di cui vengono riportati nel ricorso solo brani selezionati, non consentendo a questa Corte di apprezzare l’effettiva sussistenza e rilevanza del vizio dedotto.
4.2 Nel resto le doglianze del ricorrente sono manifestamente infondate ovvero si traducono in mere censure in fatto volte a sollecitare il giudice di legittimità ad una
rivalutazione del compendio probatorio. In realtà il ricorso non mette in dubbio che le varie cooperative, comprese quelle del cui fallimento ancora si discute, abbiano raccolto rilevanti risorse finanziarie, mentre correttamente i giudici del merito hanno ritenuto il contestato reato di bancarotta patrimoniale perché l’imputato non ha saputo indicare la destinazione data alle somme consegnate e pacificamente acquisite al patrimonio di garanzia delle diverse società, facendo così buon governo del consolidato principio per cui la prova della distrazione, della dissipazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 2732 del 16/12/2021, dep. 2022, NOME, Rv. 282652; Sez. 5, n. 669 del 04/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282643; Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, COGNOME, Rv. 279204; Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7/03/2014, COGNOME, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, COGNOME, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048 del 27/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400 del 15/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 231411).
4.3 In tal senso è dunque del tutto inconferente l’obiezione del ricorrente relativa alle cause del dissesto delle fallite, che è tema ultroneo, perché il dissesto non costituisce l’evento del reato in contestazione e, dunque, non è necessario per la sussistenza del reato che esso venga cagionato dalle condotte distrattive o dissipative. In realtà proprio il fatto che le società non siano state in grado di pagare gli interessi promessi ai soci investitori dimostra plasticamente come le risorse incamerate siano state impiegate ed era dunque e per l’appunto onere dell’imputato – invece non assolto dal medesimo – indicare quali fossero stati tali impieghi. Peraltro la sentenza impugnata, come già quella di primo grado, hanno evidenziato come sia stato accertato che parte della finanza acquisita dalle diverse società sia stata drenata ed utilizzata per investimenti di esclusivo interesse dell’imputato, affermazione, come già accennato, che il ricorrente ha solo assertivamente confutato.
Parimenti inammissibile è il quarto motivo di ricorso. Si rivelano infatti irrimediabilmente generiche le doglianze relative all’omessa considerazione, ai fini della contestazione di bancarotta fraudolenta documentale, della documentazione oggetto di sequestro da parte della Guardia di Finanza, posto che il ricorrente non precisa se e in che termini la stessa atterrebbe proprio alle due società di cui si tratta e, in realtà, nemmeno precisa cosa sarebbe stato sequestrato, operando generici riferimenti al provvedimento con il quale è stato apposto il vincolo ed affermando assertivamente che lo stesso avrebbe riguardato tutto ciò che non è stato rinvenuto. La Corte
territoriale ha peraltro evidenziato come sia stata invece rinvenuta una sorta di contabilità parallela il cui contenuto non corrisponde a quello dei libri effettivamente acquisiti dagli organi fallimentari. Manifestamente infondate sono poi le obiezioni relative alla supposta confusione operata dai giudici di merito tra le alternative fattispecie configurate nell’art. 216 comma 1 n. 2) legge fall. La sentenza impugnata ha infatti correttamente ritenuto che entrambe siano state realizzate, evidenziando come in alcuni casi i libri non siano stati né consegnati, né ritrovati e in altri siano inv risultati irregolarmente tenuti ed inattendibili, evidenziando dunque come i fatti non potessero essere derubricati in riferimento alla fattispecie di cui all’art. 217 comma 2 legge fall. come richiesto dall’imputato. Generica è invece la doglianza relativa all’omessa motivazione, in relazione alla fattispecie di bancarotta documentale “specifica”, sulla sussistenza del necessario dolo specifico, posto che la Corte sul punto ha ampiamente argomentato alle pp. 9 e 10 della sentenza, mentre con tale apparato argomentativo il ricorrente non si è sostanzialmente confrontato. Parimenti inammissibile è infine l’eccezione di omessa considerazione delle dichiarazioni di alcuni operanti, che, ancora una volta, si limita ad una generica indicazione di tali prove, omettendo di riportarle nella loro integralità. Nel resto quelle svolte con il motivo i esame si rivelano mere censure di merito indeducibili in questa sede.
6. Il quinto ed il sesto motivo sono manifestamente infondati. Il ricorrente non nega infatti quanto sostenuto dalla Corte per respingere l’analoga eccezione di bis in idem sollevata con il gravame di merito – ossia che i fatti di appropriazione indebita per cui l’imputato è già stato processato solo in parte coinciderebbero con quelli oggetto dell’odierna contestazione di bancarotta patrimoniale – ma interpreta erroneamente la motivazione della sentenza, attribuendo ai giudici del merito l’intenzione di escludere la violazione dell’art. 649 c.p.p. in ragione della diversità del bene giuridico tutelato dall norme incriminatrici contestate nei diversi contesti processuali. Nulla di meno vero, posto che la sentenza, quando evoca la diversità dei “beni” fa evidente ed univoco riferimento all’oggetto materiale dei due reati, ossia ai beni oggetto di appropriazione, nell’un caso, e di distrazione e dissipazione, nell’altro, avendo rilevato che solo alcuni degli investitori che avevano denunciato il COGNOME per il reato di cui all’art. 646 c.p. sono anche le vittime della spoliazione delle fallite. In altri termini l’attività distra ha riguardato risorse delle fallite ben maggiori di quelli per le quali l’imputato è stat processato per appropriazione indebita e correttamente, dunque, la Corte ha rilevato come, in parte qua, i fatti contestati nei diversi procedimenti non coincidano, implicitamente riducendo in tal senso il perimetro oggettivo del reato per cui ha
confermato la condanna, il che rivela altresì la manifesta infondatezza anche dell’ultimo motivo.
La ritenuta inammissibilità di tutti i motivi di ricorso impedisce di rilevare l’avvenut compimento, successivamente alla pronunzia della sentenza impugnata ed anche tenuto conto dei periodi di sospensione maturati nei gradi di merito per complessivi undici mesi e quindici giorni, del termine di prescrizione in relazione ai reati relativi fallimento della RAGIONE_SOCIALE (n. 44/03), fermo restando che quello dei reati relativi all’altro fallimento (n. 22/04) si compirà solo il 4 marzo 2024.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, conseguendone ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 31/1/2024