Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 35820 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 35820 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal:
COGNOME NOME, nata a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 28/02/2025 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria di replica del difensore;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata del 28 febbraio 2025, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la decisione del Tribunale in sede in data 22 settembre 2021, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di bancarotta patrimoniale ai medesimi ascritto al capo b) della rubrica, nella qualità rispettivamente di amministratore legale e di fatto di “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita il 16 luglio 2012.
Avverso la sentenza indicata della Corte d’appello di Napoli hanno proposto ricorso gli imputati, con unico atto a firma del comune difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure a tre motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si deduce violazione di legge e vizio della motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità per avere la Corte di merito ignorato le deduzioni difensive proposte con il gravame, riportandosi alla sentenza di primo grado.
Premesso che il giudice di prime cure aveva assolto gli imputati dagli ulteriori addebiti ai medesimi contestati, con l’appello erano state proposte censure riguardo:
l’errata valutazione delle dichiarazioni del curatore, meramente attestate sul contenuto della relazione dell’amministratore giudiziario e senza l’effettiva analisi della documentazione societaria;
l’errata valutazione della relazione e del bilancio 2010, redatti dall’amministratore giudiziario, sul punto della prova della distrazione di somme a titolo di “compenso amministratori” e “liquidità”, per non aver potuto questi interloquire con la COGNOME per causa alla medesima non imputabile;
l’errata valutazione della consulenza tecnica contabile della difesa e dei documenti prodotti in allegato alla stessa, comprovanti la destinazione degli importi prelevati al pagamento dei creditori sociali, ritenuti inidonei alla esclusione della contestata distrazione;
mentre la Corte di merito avrebbe reso una motivazione illogica, privilegiando la sola portata dimostrativa del bilancio senza confrontarsi con le specifiche deduzioni di parte, invece dimostrative della lecita destinazione delle risorse sociali.
Si contesta, altresì, il punto della sentenza con la quale è stata ritenuta integrata l’aggravante di cui all’art. 219 I. fall.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce analoga censura quanto alla partecipazione di NOME COGNOME.
Anche in tal caso, a fronte delle puntuali censure svolte con l’appello in relazione al ruolo occasionale svolto dall’imputato in ambito societario, la Corte di merito avrebbe apoditticamente richiamato le testimonianze assunte in primo grado, senza confutare le avverse deduzioni.
2.3. Il terzo motivo contesta il diniego della qualificazione giuridica del fatto a termini dell’art. 217 I. fall.
Con la requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME, ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Con memoria del 22 settembre 2025, il difensore ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
1.11 primo motivo è, complessivamente, infondato.
1.1. Il punto della censura, con la quale si deduce vizio della motivazione in riferimento all’asserita preterizione delle censure proposte con l’appello è manifestamente infondato.
Già dalla lettura della sentenza impugnata si rileva come la Corte di merito abbia adottato un metodo di tipo evidentemente confutativo, ponendosi in dialettico confronto con i motivi di gravame, in piena aderenza allo standard giustificativo imposto al giudice di secondo grado.
La giurisprudenza di legittimità ha, invero, precisato come, in presenza di un atto di appello che non sia da ritenere inammissibile per carenza di specificità, il giudice d’appello non possa limitarsi al mero e tralatizio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, in quanto, anche laddove l’atto di gravame riproponga questioni già di fatto dedotte e decise in primo grado, egli ha l’obbligo di motivare, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente, in modo puntuale e analitico su ogni punto devoluto (ex plurimis, Sez. 3, n. 38126 del 06/06/2024, Amore,
Rv. 287104 – 01; Sez. 2, n. 43496 del 17/09/2021; Sez. 2, n. 20451 del 04/02/2020; Sez. 2, p. 39486 del 07/05/2020; Sez. 2, n. 254 del 12/07/2019; Sez. 2, n. 35485 del 23/05/2019; Sez. 2, n. 56295 del 23/11/2017, Rv. 271700; Sez. 4, n. 6779 del 18/12/2013, Rv. 259316; Sez. 3, n. 27416 del 01/04/2014; Rv. 259666). D’altra parte, anche le sentenze che hanno, a loro volta, tralatiziamente ribadito il principio secondo cui è consentito al giudice di appello di richiamare per relationem la motivazione di primo grado, qualora le censure formulate dall’appellante non contengano elementi di novità rispetto a quelle già condivisibilmente esaminate e disattese dalla sentenza richiamata (Sez. 2, n. 30838 del 19/03/2013; Sez. 6, n. 17912 del 07/03/2013; Sez. 6, n. 28411 del 13/11/2012, dep. 2013; Sez. 4, n. 38824 del 17/09/2008) non sono affatto insensibili al dovere di prendere comunque cognizione e fornire una risposta autonoma ai rilievi della difesa. Infatti, la motivazione per relationem di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando: a) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, ad un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b) fornisca la dimostrazione che il giudice abbia preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimenti di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; c) l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica e, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione (Sez. U., n. 17 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216664; Sez. 55199 del 29/05/2018, COGNOME, Rv. 274252; Sez. 6, n. 53420 del 04/11/2014, Rv. 2 1839). 1.2. Ebbene, nel caso di specie, la Corte di appello ha affrontato tutte le questioni proposte, rinviando alla narrativa dei profili in fatto resi nella decisione d primo grado. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Non sussiste, pertanto, il vizio di motivazione denunciato.
1.3. Le stesse censure sono, nel merito, genericamente formulate.
1.3.1. I ricorrenti lamentano, essenzialmente, una incompletezza documentale, ai medesimi non imputabile e tale da compromettere la dimostrazione che le somme, prelevate a titolo di compenso per gli amministratori, siano state effettivamente destinate all’esercizio dell’impresa; dimostrazione che, come noto, esclude la materialità del delitto di bancarotta contestato.
In altre parole, i ricorrenti assumono come, avendo potuto solo parzialmente dare conto della effettiva destinazione delle somme non rinvenute dal curatore, ma
comunque impiegate per fare fronte ai pagamenti insoluti, il residuo sarebbe stato loro ingiustificatamente ascritto a titolo di distrazione, laddove, invece, solo l’incuri degli organi della curatela avrebbe precluso l’esatta documentazione dell’integrale impiego delle risorse prelevate a fini sociali; e, con tale argomento, si introduce una sorta di forza maggiore, tale da esonerare gli imputati dal correlativo onere dimostrativo, postulato dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Sez. 5, n. 2732 del 16/12/2021, dep. 2022, Ciarolo, Rv. 282652 – 01, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l’obbligo di verità, penalmente sanzionato e gravante sul fallito ex art. 87 legge fall., unitamente alla sua responsabilità in ordine alla conservazione della garanzia patrimoniale, giustifica l’apparente inversione dell’onere della prova a suo carico, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato, senza che tanto interferisca col diritto al silenzio garantit all’imputato in sede processual-penale).
Nel quadro così delineato, la deduzione, in linea generale ammissibile, resta, tuttavia, nell’alveo della genericità, poiché i ricorrenti non specificano quali documenti, potenzialmente decisivi nella prospettiva invocata e dai medesimi incolpevolmente non offerti al curatore – che ne aveva comunque acquisito la disponibilità, senza disaminarli – ed all’amministratore giudiziario – che avrebbe redatto un bilancio inattendibile – avrebbero assolto all’onere dimostrativo sui medesimi incombente; indicazione che ben avrebbero potuto rivolgere gli stessi imputati già agli organi della curatela, non rivestendo l’impedimento prospettato dall’amministratrice COGNOME (restrizione agli arresti domicilíari nell’ambito di diverso procedimento) il carattere dell’assolutezza.
Ne discende che il ricorso è, sul punto, aspecifico, poiché prospetta una doglianza meramente esplorativa.
1.3.2. Quanto alla denunciata valutazione parziale della consulenza a discarico, il ricorso ripropone il medesimo argomento difensivo che, senza dare conto dell’effettiva destinazione sociale delle matrici di assegni tratti sul conto personale dell’imputata e solo in parte ritenuti giustificati, ribadisce la pretesa inattendibil delle prove a carico ma non introduce, neppure argonnentativamente, specifici elementi dimostrativi, in tesi ignorati.
1.4. Il punto del primo motivo che contesta la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 219 I. f. è inammissibile per carenza d’interesse.
1.4.1. Come correttamente annotato in ricorso, l’aggravante di cui all’art. 219 I.f. non è configurabile l’aggravante di più fatti di bancarotta nel caso di una pluralità di condotte distrattive, temporalmente contigue.
Nel solco di Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249667 – 01, questa Corte ha precisato che il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ha natura di reato a condotta eventualmente plurima, che può essere realizzato con uno o più atti, senza che la loro ripetizione, nell’ambito dello stesso fallimento, dia luogo ad una pluralità di reati in continuazione, non venendo meno il carattere unitario del reato quando le condotte previste dall’art. 216 legge fall. siano tra loro omogenee, perché lesive del medesimo bene giuridico, e temporalmente contigue (ex multis Sez. 5, n. 41539 del 10/10/2024, Tafuro, Rv. 287170-01;Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281031 – 01). E, nel caso in esame, il carattere unitario del reato è evidente, in presenza della contestazione di plurime poste, contabilizzate a diverso titolo, e non rinvenute.
1.4.2. A siffatta deduzione, tuttavia, gli stessi ricorrenti mostrano espressamente di non avere interesse poiché precisano che l’aggravante di cui all’art. 219 I.f. è stata ritenuta subvalente nel giudizio di comparazione con le concorrenti attenuanti generiche.
E, sul punto, questa Corte ha pacificamente affermato come sia inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’imputato finalizzata a ottenere l’esclusione di un’aggravante, nel caso in cui la stessa sia stata già ritenuta subvalente rispetto alle riconosciute attenuanti (Sez. 4, n. 15937 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286342 – 01).
La stessa aggravante non ha, inoltre, avuto incidenza riflessa neppure nella determinazione della pena, commisurata nel minimo edittale e, dunque, insuscettibile di ulteriori flessioni.
1.4.3. L’esclusione dell’aggravante avrebbe potuto, invece, dispiegare effetti sulla determinazione delle pene accessorie fallimentari che, alla luce della giurisprudenza costituzionale e del supremo consesso di questa Corte (Corte costituzionale n. 222 del 2018; Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286 – 01), assumono una spiccata finalità specialpreventiva e valorizzano, oltre alla gravità della condotta, anche tutti gli elementi fattuali indicativi della capacità delinquere dell’agente.
Sul punto, tuttavia, nessuna deduzione è stata articolata nel ricorso, con conseguente difetto della prospettazione di interesse alla relativa deduzione.
2.11 secondo motivo è infondato.
2.1. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, la qualifica di amministratore di fatto di una società non richiede l’esercizio di tutti i poteri tip dell’organo di gestione, essendo necessaria e sufficiente una significativa e continua
attività gestoria o cogestoria, svolta in modo non episodico o occasionale, anche solo in specifici settori, pur se non interessati dalle condotte illecite, tale da fornire ind sintomatici dell’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus”, nell’assetto societario (Sez. 5, n. 2514 del 04/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285881 01; N. 12912 del 2020 Rv. 279040 – 01, N. 45134 del 2019 Rv. 277540 – 01 Rv. 277540 – 01, N. 4865 del 2022 Rv. 282775 – 01).
2.2. La Corte di merito si è conformata a siffatti principi, valorizzando non solo l’ingerenza di COGNOME nelle vicende societarie, come emerso dalle fonti di prova, di cui non si denuncia alcun travisamento, ma anche la cointeressenza di entrambi gli imputati in altra società decotta, amministrata dal ricorrente, dante causa della cessione d’azienda operata proprio in favore di “RAGIONE_SOCIALE“, amministrata dalla coniuge COGNOME.
E siffatta, complessiva, valutazione, razionalmente giustificata e del tutto in linea con la motivazione di primo grado, si sottrae alle censure del ricorrente in quanto non si comprende quale sarebbe il tema di prova contraria, a carattere decisivo, che sarebbe stato ignorato.
Nel resto, le deduzioni propongono una rivisitazione di merito del ruolo del ricorrente che, oltre ad intercettare i limiti del controllo sulla motivazione in caso d “doppia conforme”, si estende in un ambito cognitivo precluso in questa sede.
3. Il terzo motivo resta assorbito.
Da quanto sin qui argomentato discende il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente