LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Amministratore di fatto: la Cassazione sulla prova

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta a carico dell’amministratore di diritto e dell’amministratore di fatto di una società fallita. La sentenza chiarisce che la prova del ruolo di amministratore di fatto può derivare da un insieme di indizi, come le testimonianze di dipendenti e clienti. Inoltre, viene ribadito che l’onere di dimostrare la destinazione dei beni aziendali mancanti grava sull’amministratore. Infine, la Corte ha specificato che una richiesta di patteggiamento non accolta dal GIP deve essere obbligatoriamente rinnovata dall’imputato prima dell’apertura del dibattimento.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Fatto: Responsabilità Penale e Prova

La figura dell’amministratore di fatto è centrale in una recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta a carico di due soggetti, uno formalmente investito della carica (amministratore di diritto) e l’altro che agiva come tale senza un incarico ufficiale. La decisione offre importanti chiarimenti su come la giustizia penale identifica e punisce chi gestisce un’impresa ‘dietro le quinte’, specialmente in contesti di crisi aziendale.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda il fallimento di una S.r.l., dichiarato nel 2015. A seguito delle indagini, l’amministratore di diritto e un altro soggetto, ritenuto l’amministratore di fatto, venivano accusati e condannati in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale. Le accuse specifiche erano di aver distratto liquidità, autoveicoli, macchinari e beni strumentali, alienandoli a un’altra società riconducibile all’amministratore di fatto senza alcun corrispettivo, e di aver sottratto le scritture contabili per danneggiare i creditori.

Le Questioni Giuridiche Affrontate

Il ricorso in Cassazione si basava su tre motivi principali:

1. Vizio procedurale: La difesa lamentava la mancata valutazione, da parte del giudice di primo grado, di una richiesta di patteggiamento presentata tempestivamente dopo la richiesta di giudizio immediato. Secondo i ricorrenti, tale omissione avrebbe dovuto comportare un annullamento con rinvio.
2. Insussistenza della distrazione: Si contestava la mancanza di prove sulla sottrazione dei beni, sostenendo che alcuni veicoli erano privi di valore e che il corrispettivo per altri beni era stato, seppur in parte tardivamente, versato.
3. Mancanza di prova del ruolo di amministratore di fatto: La difesa sosteneva che non vi fossero elementi sufficienti per dimostrare che uno degli imputati avesse effettivamente svolto funzioni gestorie all’interno della società fallita.

La Decisione della Cassazione sull’Amministratore di Fatto e la Bancarotta

La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi del ricorso, confermando la condanna. La sentenza è particolarmente rilevante per le argomentazioni utilizzate per respingere le doglianze degli imputati.

Sulla Richiesta di Patteggiamento

I giudici hanno chiarito che, nonostante l’omissione del Giudice per le Indagini Preliminari nel valutare la richiesta di patteggiamento, l’ordinamento prevede uno specifico rimedio. L’art. 448 del codice di procedura penale impone all’imputato l’onere di rinnovare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Non avendolo fatto, gli imputati hanno perso la possibilità di far valere tale vizio procedurale.

Sulla Prova della Distrazione e l’Onere dell’Amministratore

La Corte ha ribadito un principio consolidato: in caso di bancarotta, spetta all’amministratore dimostrare la destinazione dei beni che risultano mancanti dal patrimonio sociale. La semplice affermazione che i beni siano stati dismessi o che fossero privi di valore, senza alcuna prova documentale, non è sufficiente a escludere la responsabilità. Anche la distrazione di beni di valore esiguo, persino se obsoleti, costituisce reato, poiché tali beni avrebbero potuto comunque rappresentare una garanzia, seppur minima, per i creditori.

Le Motivazioni

Il fulcro della sentenza risiede nella disamina del ruolo dell’amministratore di fatto. La Corte ha ritenuto la decisione dei giudici di merito pienamente motivata e immune da vizi logici. La prova della funzione gestoria non è derivata da un singolo elemento, ma da una pluralità di indici concordanti. Tra questi, le dichiarazioni dei dipendenti che lo indicavano come il loro ‘titolare’ da cui ricevevano direttive e stipendi, le testimonianze dei clienti che trattavano direttamente con lui, il rinvenimento di documenti e macchinari della società fallita presso la sua abitazione e la sede di un’altra sua azienda. Inoltre, la Corte ha valorizzato la circostanza che quest’ultima società, con attività sovrapponibile a quella fallita, era stata iscritta nel registro delle imprese poco dopo il fallimento, assumendo anche alcuni degli ex dipendenti. Questi elementi, valutati nel loro complesso, hanno fornito una prova solida e convincente del suo inserimento organico nella gestione aziendale, rendendolo a tutti gli effetti corresponsabile dei reati fallimentari.

Le Conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla responsabilità penale dell’amministratore di fatto. Dimostra che il diritto non si ferma alle apparenze formali, ma va a colpire chi, nei fatti, ha governato le sorti di un’impresa portandola al dissesto a danno dei creditori. Per gli imprenditori, la lezione è chiara: la gestione di un’azienda comporta responsabilità precise, e l’onere di provare una condotta trasparente, soprattutto in caso di fallimento, ricade su chi ha esercitato il potere decisionale, a prescindere dalla carica formalmente ricoperta.

Chi è considerato ‘amministratore di fatto’ e come si prova il suo ruolo?
È considerato amministratore di fatto chi, pur senza una nomina ufficiale, esercita in modo continuativo e significativo poteri gestionali. Il suo ruolo può essere provato attraverso una serie di elementi indiziari (sintomatici), come le dichiarazioni di dipendenti e clienti, il suo coinvolgimento in operazioni aziendali cruciali, il rinvenimento di documenti societari presso la sua abitazione e la gestione delle risorse umane ed economiche.

Cosa succede se un imputato chiede il patteggiamento dopo un decreto di giudizio immediato ma il giudice non risponde?
Secondo la Corte, l’ordinamento impone all’imputato l’onere di rinnovare la richiesta di patteggiamento prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Se l’imputato non adempie a questo onere, non può successivamente lamentare l’omessa valutazione della sua richiesta originaria.

In un caso di bancarotta, chi deve dimostrare che fine hanno fatto i beni mancanti dell’azienda?
L’onere della prova grava sull’amministratore (sia di diritto che di fatto). È lui che deve fornire la dimostrazione puntuale della destinazione dei beni mancanti rispetto a quanto registrato nelle scritture contabili. L’assenza di tale prova può essere considerata un elemento a sostegno dell’accusa di distrazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati