Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14365 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14365 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a ACQUAFREDDA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/02/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale, dott. AVV_NOTAIOCOGNOME, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
udito l’AVV_NOTAIO che insiste per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 8 febbraio 2023 la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i fatti oggetto del presente processo e dei quali si dirà subito infra e quelli di cui alla sentenza del G.u.p. del Tribunale di Brescia del 11 maggio 2012, irrevocabile il 10 luglio 2012 e, ritenuti più gravi i fatti del presente processo, ha ridetermiNOME la pena complessivamente inflitta a NOME COGNOME in quattro anni di reclusione. La Corte d’appello ha inoltre revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con l’indicata sentenza del 11 maggio 2012 e ha ridetermiNOME la durata delle pene accessorie fallimentari.
COGNOME, nella qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 18 febbraio 2013, sono stati attribuiti fatti di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale.
Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. at cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte territoriale confermato l’affermazione di responsabilità pur in assenza di elementi idonei a superare la soglia dell’oltre ogni ragionevole dubbio. In particolare, si osserva: a) che già nella discussione in primo grado era stata sottolineata la genericità delle dichiarazioni del curatore in ordine al possesso, da parte del COGNOME, delle credenziali dispositive dei conti correnti della società fallita; b) che, del pari, era stata contestata la credibilità del narrato del coimputato, NOME COGNOME, amministratore di diritto della società, interessato a presentarsi come mera “testa di legno” e autore di dichiarazioni ondivaghe e contraddittorie; c) che, del resto, nelle more della fissazione dell’udienza di appello, era intervenuta la sentenza n. 154 del 2021 del Tribunale di Brescia, prodotta con i motivi aggiunti che, fondata su una piattaforma probatoria più ampia di quella del presente processo, aveva assolto, con decisione irrevocabile, il COGNOME dal reato fiscale di sottrazione delle scritture contabili che gli era stat contestato, nella qualità di amministratore di fatto della medesima società RAGIONE_SOCIALE; d) che, in particolare, quanto alle dichiarazioni rese dal COGNOME in quest’ultima sede, o esse, nella misura in cui chiamavano in correità il COGNOME, erano coerenti con quelle del presente processo – e allora l’epilogo decisorio doveva essere coerentemente lo stesso di assoluzione – o non lo erano, in tal modo difettando dei requisiti di precisione, coerenza interna e costanza; e) che,
del resto, anche nel processo conclusosi con l’assoluzione era presente la documentazione sequestrata presso l’abitazione del COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, rilevando che l’eventuale consegna del denaro, da parte del COGNOME, in favore del COGNOME era inquadrabile nel rapporto commerciale intrattenuto dalla società fallita con la RAGIONE_SOCIALE, amministrata dal ricorrente. D’altra parte, il ruolo di amministratore di fatto del COGNOME non poteva essere desunto dalla premessa che quest’ultimo manovrava l’ingresso del denaro sui conti correnti della fallita a mezzo del portale informatico. Questa affermazione non poteva essere correlata alla ritenuta disponibilità, da parte del COGNOME, delle credenziali dell’home banking della fallita, giacché per far affluire somme sul conto corrente della stessa tali credenziali erano del tutto irrilevanti.
2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla concreta applicazione della disciplina della continuazione.
In particolare, si contesta il criterio adoperato dalla Corte territoriale per individuare la violazione più grave, comparando la pena irrogata per i fatti già giudicati con quella irroganda per i reati al vaglio del decidente. Al contrario, si osserva, a fronte della irrogazione di pene di pari entità, si dovrebbe aver riguardo all’entità delle distrazioni e alla portata dei fatti di bancarotta attribuit all’imputato.
2.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della recidiva che la Corte territoriale ha ritenuto compatibile con il riconoscimento del vincolo della continuazione rispetto ai delitti oggetto della sentenza del G.u.p. del Tribunale di Brescia del 11 maggio 2012, affermando, ma non argomentando, in ordine all’insussistenza di un unitario momento volitivo. Si aggiunge che i reati oggetto dei due processi avrebbero potuto essere giudicati in un unico processo, senza che potesse darsi luogo alla contestazione della recidiva.
Sono stati trasmessi, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, motivi aggiunti nell’interesse del ricorrente, che, in realtà, sono costituiti da produzioni documentali dichiaratamente correlate ai motivi di ricorso.
All’udienza del 23 febbraio 2024 si è svolta la discussione orale.
Considerato in diritto
I primi due motivi, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.
Essi sono indirizzati a criticare, sotto vari profili, l’attribuzione al COGNOME del ruolo di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE
Per quanto concerne la portata della sentenza del Tribunale di Brescia del 5 febbraio 2021, l’assoluzione del COGNOME dal reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 (capo 8), attribuitogli nella qualità di amministratore di fatto della medesima società, è fondata, per quanto emerge dal testo della decisione, sulle dichiarazioni del COGNOME, come detto amministratore di diritto della stessa, che aveva riferito di avere svolto quest’ultimo ruolo su incarico di NOME COGNOME: quest’ultimo aveva di fatto gestito la società sino al 2012.
Ma siffatta puntualizzazione – che assume rilievo in relazione alla contestazione di occultamento o distruzione del libro giornale e dei registri Iva relativi agli anni 2011 e 2012 – non collide – si ripete, alla luce del testo delle decisioni e delle deduzioni contenute nel ricorso – con la ricostruzione della sentenza impugnata che, occupandosi di reati fallimentari, la cui data di consumazione si proietta in avanti sino alla dichiarazione di fallimento del 2013, valorizza il dato che il COGNOME, conosciuto dal COGNOME nell’estate nel 2011, ebbe a subentrare al COGNOME nella gestione di fatto.
Rispetto a tali indicazioni, come pure rispetto al tema della piattaforma probatoria dei due processi, che il ricorrente valorizza anche in vista della critica rispetto o al fondamento della decisione (nel caso di equivalenza dei dati) o di tenuta della coerenza delle dichiarazioni accusatorie del COGNOME (in caso di difformità dei dati), il ricorso è assertivo. Esso infatti opera una personale sintesi delle dichiarazioni del COGNOME. Inoltre, al netto della mancata considerazione delle dichiarazioni che, secondo la sentenza impugnata, quest’ultimo ha reso in sede di udienza preliminare, si osserva che, proprio alla luce dell’interrogatorio di garanzia del COGNOME del 25 luglio 2014, nuovamente allegato ai motivi aggiunti, emerge come quest’ultimo, parlando dei mesi gennaio – febbraio 2012, abbia indicato il COGNOME come “la nuova persona di riferimento” della società. Il ricorso neppure si confronta con la rilevanza che la successione del COGNOME al COGNOME, quale riferita dal COGNOME e quale recepita dalla sentenza impugnata, avrebbe sulle singole specifiche condotte attribuite nel presente processo, con la conseguenza che, sotto questo profilo, esso difetta dell’indispensabile requisito della specificità.
Resta da dire che, non incrinata la credibilità del COGNOME – fondata dalla Corte territoriale sulla coerenza delle circostanziate dichiarazioni rese – dalle generiche contestazioni del ricorso, il tema dei riscontri individualizzanti si alimenta dalla
disponibilità, da parte del COGNOME, delle credenziali che consentivano di accedere ai conti correnti della società fallita.
Il ricorrente torna poi a criticare in termini generici siffatto dato che riposa sulle dichiarazioni del curatore, che lo aveva acquisito dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza. E, tuttavia, si tratta, come detto, di rilievi difensivi privi di specificità, che, nell’atto di appello, rimandavano all’assenza di dati documentali che il P.M. avrebbe dovuto acquisire, ma che, non necessari in sé, ben potendo la conoscenza del fatto essere affidata ad una prova dichiarativa, non sono mai stati sollecitati da chi ha scelto di accedere al rito abbreviato.
Del tutto inconferente è poi che i prelievi oggetto delle distrazioni siano avvenuti ad opera del COGNOME, perché la disponibilità delle credenziali informatiche vale, nell’economia argomentativa della sentenza impugnata, a dimostrare essenzialmente il ruolo di amministratore di fatto del COGNOME, laddove poi il modo con il quale quest’ultimo faceva affluire il denaro, secondo le dichiarazioni del COGNOME, è un profilo di nessun rilievo, con la conseguenza che qualunque inesattezza ricostruttiva sul punto non ha carattere di decisività. Rispetto alle condotte distrattive, ciò che conta è la sottrazione delle risorse imprenditoriali per finalità diverse dallo svolgimento dell’attività economica e il cuore della motivazione della sentenza impugnata, come pure di quella di primo grado, è la incontestata fuoriuscita di denaro e l’assenza di qualunque giustificazione imprenditoriale. Né in senso contrario, assume rilievo la generica considerazione difensiva relativa al rapporto commerciale con la RAGIONE_SOCIALE amministrata dal COGNOME: si tratta di giustificazione che l’atto di appello neppure prospetta in termini specifici, sottolineando un altro dato – di sicuro irrilevante -: il fatto che le entrate e le uscite fossero sostanzialmente corrispondenti nell’importo. Inoltre a ciò la considerazione che i transiti sono “evidentemente estranei all’attività sociali” (in questi esatti termini si esprime l’appello. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2. Il terzo motivo è infondato. Esattamente il giudice di merito ha ritenuto che, nel caso di continuazione tra reati in parte decisi con sentenza definitiva ed in parte sub iudice, la valutazione circa la maggiore gravità delle violazioni deve essere compiuta confrontando la pena irrogata per i fatti già giudicati con quella irroganda per i reati al vaglio del decidente, attesa la necessità di rispettare le valutazioni in punto di determinazione della pena già coperte da giudicato e, nello stesso tempo, di rapportare grandezze omogenee (Sez. 2, n. 935 del 23/09/2015, dep. 2016, Vella, Rv. 265733 – 01; Sez. 6, n. 29404 del 06/06/2018, Assinnata, Rv. 273447 – 0).
In ogni caso, la valutazione concreta proposta dal ricorso, per un verso, opera un confronto tra bancarotte distrattive, senza considerare che il reato più
grave, nella sentenza impugnata, è stato ritenuto essere la bancarotta documentale e, per altro verso, con riguardo al confronto tra le bancarotte documentali dei due processi, valorizza, del tutto genericamente, fatti che sarebbero “idonei a integrare la violazione dell’art. 223, co. II, LF”, pur finendo poi per ammettere che questi ultimi non si sono mai tradotti in alcuna contestazione.
Il quarto motivo è infondato, dal momento che non sussiste incompatibilità tra l’istituto della recidiva e quello della continuazione, con conseguente applicazione, sussistendone i presupposti normativi, di entrambi, in quanto il secondo non comporta l’ontologica unificazione dei diversi reati avvinti dal vincolo del medesimo disegno criminoso, ma è fondata su una mera fidi° iuris a fini di temperamento del trattamento penale (Sez. 3, n. 54182 del 12/09/2018, Pettenon, Rv. 275296 – 01). Questo e non altro è il senso del riferimento giurisprudenziale all’autonoma volizione che sorregge ciascuna autonoma fattispecie di reato.
Del tutto congetturale è poi il tema della possibile trattazione unitaria dei diversi processi.
Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/02/2024