Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 38485 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 38485 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/04/2024
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 12 luglio 2023, la Corte di appello di Torino, ín parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Torino in data 6 luglio 2020, per quanto di interesse in questa sede, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME con riferimento al reato di occultamento o distruzione di scritture contabili, di cui al capo 3) dell’imputazione,
e rideterminato la pena in un anno di reclusione, negando la sospensione 4 GLYPH condizionale della pena e la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Secondo quanto ricostruito dai Giudici di merito, NOME COGNOME, nel corso del 2014, avrebbe occultato o distrutto, relativamente alla società “RAGIONE_SOCIALE“, della quale sarebbe stato amministratore di fatto, le scritture contabili ed i documenti di cui era obbligatoria la conservazione, in particolare con riguardo agli anni di imposta 2009, 2010, 2011 e 2012.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc: pen., avendo riguardo all’accertamento della penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000.
Si deduce, con riferimento alla ricostruzione della condotta, che la motivazione risulta: a) carente ed illogica, in quanto si limita a richiamare le valutazioni compiute dal giudice di primo grado e a spiegare con mere deduzioni di natura presuntiva il proprio convincimento in ordine alla istituzione e tenuta delle scritture contabili relative alla società “RAGIONE_SOCIALE“; b) contraddittoria, atteso la contestuale assoluzione dell’imputato dal medesimo reato, ascrittogli in relazione alla sua attività di libero professionista, pronunciata per il difetto di un quadro probatorio sufficiente a ritener provata l’esistenza della documentazione contabile a ciò relativa.
Si deduce, poi, che la sentenza impugnata, nell’indicare l’attuale ricorrente come amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“, per un verso, non fornisce l’indicazione di quegli elementi dai quali, secondo la giurisprudenza, sarebbe legittimo inferire tale qualità, come la titolarità di una procura generale ad negotia, la diretta partecipazione alla vita societaria, l’assenza dell’amministratore di diritto (si citano Sez. 5, n. 4865 del 25/11/2021, dep. 2022, e Sez. 1, n. 19874 del 18/02/2022); sotto altro profilo, omette di considerare le allegazioni della difesa, la quale aveva documentato come il medesimo imputato fosse consulente gestionale dell’impresa, e proprio per questa ragione la Commissione Tributaria Provinciale di Torino aveva escluso che lo stesso potesse essere considerato soggetto passivo dell’avviso di accertamento.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
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Si deduce che la Corte d’appello ha posto alla base della sua decisione in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche esclusivamente l’asserita assenza di elementi suscettibili di valutazione premiale, omettendo di procedere ad un’analisi complessiva di tutti gli elementi potenzialmente rilevanti a norma dell’art. 133 cod. pen. (si citano Sez. 3, n. 2945 del 2013 e Sez. 3, n. 22690 del 2013).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
Prive di specificità, e comunque manifestamente infondate, sono le censure esposte nel primo motivo, le quali contestano la dichiarazione di colpevolezza, deducendo che le conclusioni affermative della istituzione e tenuta delle scritture contabili relative alla società “RAGIONE_SOCIALE” e del ruolo dell’attuale ricorrente come amministratore di fatto di tale impresa si basano su meri dati presuntivi, in contrasto con le indicazioni della giurisprudenza, e non tengono conto delle indicazioni fornite dalla difesa.
Invero, sia l’affermazione dell’istituzione e della tenuta delle scritture contabili obbligatorie da parte della società “RAGIONE_SOCIALE“, sia l’affermazione della qualità di amministratore di fatto della stessa da parte dell’attuale ricorrente si fondano su circostanze precise, univoche e puntualmente indicate.
Per quanto attiene alla istituzione e tenuta delle scritture contabili obbligatorie, la Corte d’appello rappresenta che la società “RAGIONE_SOCIALE“: 1) ha emesso e ricevuto fatture; b) ha intrattenuto rapporti di lavoro subordinato regolarmente denunciati, comunicando in relazione agli stessi le ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni, mediante presentazione dei modelli NUMERO_DOCUMENTO; c) ha gestito tre punti di vendita in tre distinte località. Per chiarezza, può essere utile segnalare che, sempre secondo quanto indicato nella sentenza impugnata, non sono stati rinvenuti il registro degli acquisti, il registro delle fatture, il lib giornale di contabilità generale, il registro dei cespiti ammortizzabili, il libro inventari, il libro unico del lavoro.
Con riguardo, poi, alla qualità di amministratore di fatto svolta dall’attuale ricorrente, la Corte d’appello evidenzia che l’attuale ricorrente: a) aveva la delega ad operare sui due conti correnti della società “RAGIONE_SOCIALE” senza alcun limite, né specificazione, né obbligo di rendiconto; b) ha compiuto operazioni bancarie su tali conti significative per numero ed entità; c) nel corso della verifica fiscale, ha dichiarato di rappresentare la società “RAGIONE_SOCIALE” sottoscrivendo in tale veste
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il processo verbale di constatazione per conto della parte; 4) ha proposto ricorso in sede giurisdizionale tributaria contro il verbale di accertamento appena indicato.
A fronte di queste indicazioni, le censure che contestano la univocità e la contraddittorietà degli elementi valorizzati dalla Corte d’appello non si confrontano cA,9: compiutamente/gli stessi e sono meramente assertive. Le doglianze relative all’omessa considerazione che il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché l’attuale ricorrente si era qualificato consulente dell’impresa attengono ad unt ‘solo dei molteplici elementi valorizzati e sono anch’esse assertive, perché non denuncianti un vizio di travisamento della prova e non accompagnate dall’allegazione della sentenza del Giudice tributario.
Prive di specificità, e comunque manifestamente infondate, sono anche le censure formulate nel secondo motivo, che contestano il diniego delle circostanze attenuanti generiche, deducendo che la sentenza impugnata ha valorizzato esclusivamente l’assenza di elementi favorevoli all’imputato.
Invero, costituisce principio consolidato, condiviso dal Collegio, quello in forza del quale, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (cfr., per tutte, Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489-01, e Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986).
Ciò posto, deve ritenersi che, nella specie, legittimamente la sentenza impugnata ha negato all’imputato le circostanze attenuanti generiche e la non menzione. La stessa, peraltro, non si è limitata a valorizzare l’assenza di elementi favorevoli all’imputato, ma ha anche segnalato l’esistenza di un precedente penale a carico del medesimo e richiamato la gravità del fatto, per il lungo periodo di attività commerciale “occultata” attraverso la condotta illecita.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 05/04/2024