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Amministratore di fatto: la Cassazione e la prova

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta documentale a carico di due amministratori di fatto. La sentenza chiarisce che il ruolo dell’amministratore di fatto può essere provato attraverso un complesso di elementi, incluse testimonianze di dipendenti e consulenti, che dimostrino un esercizio continuativo di poteri gestionali. Viene inoltre ribadita la piena utilizzabilità, nel processo penale, della relazione e delle dichiarazioni raccolte dal curatore fallimentare, non equiparabile alla polizia giudiziaria. La Corte ha ritenuto irrilevanti le difese basate sulla mancata gestione diretta della contabilità, affermando che l’obbligo di tenuta delle scritture grava su chiunque eserciti la gestione dell’impresa.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Fatto: La Cassazione sulla Prova e la Responsabilità Penale

La figura dell’amministratore di fatto è centrale nel diritto penale societario, poiché la gestione effettiva di un’impresa comporta responsabilità precise, indipendentemente dalle cariche formali. Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha ribadito i criteri per accertarne il ruolo e la conseguente colpevolezza per il reato di bancarotta fraudolenta documentale, anche quando la difesa si concentra su aspetti procedurali e sulla presunta estraneità alla gestione contabile.

Il Caso: Bancarotta Documentale e Gestione Occulta

Il caso trae origine dal fallimento di una società operante nel settore della ristorazione, dichiarato nel 2015. La società aveva accumulato un passivo di quasi 5 milioni di euro, prevalentemente per debiti erariali, avendo omesso sistematicamente di versare le imposte sin dal 2006. Al momento del fallimento, il curatore non era stato in grado di rinvenire le scritture contabili, rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

Le indagini hanno rivelato che, a fronte di un amministratore di diritto risultato essere un mero prestanome, la gestione effettiva era nelle mani di altri due soggetti. Questi ultimi sono stati condannati in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta documentale, per aver occultato la contabilità al fine di recare pregiudizio ai creditori e procurarsi un ingiusto profitto. Gli imputati hanno quindi proposto ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso: Difese Tecniche e di Merito

Le difese degli imputati si sono concentrate su diversi punti, sia procedurali che di merito. In particolare, hanno sostenuto:

* L’inutilizzabilità delle prove: Secondo i ricorrenti, le dichiarazioni raccolte dal curatore fallimentare da parte di terzi e trasfuse nella sua relazione non potevano essere utilizzate come prova, in quanto assimilabili a una testimonianza indiretta vietata.
* La carenza di prova sul ruolo di amministratore di fatto: Si è argomentato che le attività svolte (gestione degli incassi, dei pagamenti, del personale) fossero “neutre” e riconducibili anche a un dipendente di alto livello, non sufficienti a qualificarli come gestori di fatto.
* L’assenza di dolo: Uno dei ricorrenti ha sostenuto di non potersi essere reso responsabile del reato perché si occupava solo della gestione operativa e non di quella contabile, e perché per un certo periodo era detenuto, non potendo quindi occultare materialmente i documenti.

Le Motivazioni della Cassazione: Come si Identifica l’Amministratore di Fatto

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, ritenendoli infondati. Le motivazioni della sentenza offrono chiarimenti cruciali su come si accerta la responsabilità dell’amministratore di fatto.

Innanzitutto, la Corte ha respinto le eccezioni procedurali. Ha chiarito che la relazione del curatore fallimentare è pienamente utilizzabile come prova documentale. Il curatore, infatti, non agisce come polizia giudiziaria e le sue attività non sono soggette ai limiti previsti per le dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria. La difesa, inoltre, avrebbe avuto la possibilità di chiamare a testimoniare direttamente le persone le cui dichiarazioni erano state raccolte dal curatore, ma non lo ha fatto.

Nel merito, la Corte ha confermato la solidità del quadro probatorio che ha portato a identificare gli imputati come amministratori di fatto. La loro qualifica non derivava da singoli atti, ma da un insieme convergente di prove, tra cui:

* Testimonianze di dipendenti e consulenti: Numerosi testi hanno confermato che gli imputati si occupavano di definire trattamenti economici e orari di lavoro, gestire il personale, i fornitori, gli incassi e i pagamenti.
* Esercizio di poteri tipici: L’affidamento di incarichi a professionisti esterni e la gestione dei rapporti con loro sono stati considerati atti tipici della funzione amministrativa.
* Percezione esterna: Gli imputati erano costantemente presenti e venivano percepiti da tutti come i veri gestori della società.

La Corte ha sottolineato che l’esercizio continuativo e significativo di questi poteri è sufficiente per integrare il ruolo di amministratore di fatto.

Infine, per quanto riguarda il dolo, la Cassazione ha ribadito che il fine di recare pregiudizio ai creditori può essere desunto da elementi oggettivi: la totale e prolungata assenza di scritture contabili, l’enorme esposizione debitoria e la sparizione di ogni bene o liquidità della società. Questi elementi creano una presunzione ragionevole che i ricavi siano stati incamerati dagli amministratori. L’obbligo di tenere la contabilità grava su chiunque gestisca l’impresa, a prescindere da una ripartizione interna dei compiti.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione in esame consolida un principio fondamentale: nel diritto penale d’impresa conta la sostanza, non la forma. Chiunque eserciti di fatto poteri gestionali apicali è equiparato all’amministratore di diritto e risponde penalmente delle proprie azioni, inclusa la mancata tenuta delle scritture contabili. La sentenza rafforza inoltre il ruolo del curatore fallimentare come fonte di prova cruciale nei processi per bancarotta, confermando la piena legittimità del suo operato investigativo ai fini della ricostruzione dei fatti. Per gli operatori economici, il messaggio è chiaro: la responsabilità penale non può essere elusa attraverso schermi formali o deleghe di compiti, ma è direttamente collegata all’esercizio effettivo del potere decisionale e gestionale.

Chi è considerato amministratore di fatto e come si prova il suo ruolo?
È considerato amministratore di fatto colui che, pur senza una nomina formale, esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici della gestione societaria. Il suo ruolo si prova non con un singolo atto, ma attraverso un insieme di elementi convergenti, come testimonianze di dipendenti, fornitori e consulenti, e la dimostrazione di aver compiuto atti gestionali concreti (es. assunzione di personale, gestione dei pagamenti, affidamento di incarichi).

La testimonianza del curatore fallimentare e la sua relazione sono prove valide in un processo penale per bancarotta?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la relazione del curatore e le dichiarazioni da lui raccolte sono ammissibili come prove documentali. Il curatore non è equiparabile alla polizia giudiziaria e, pertanto, non si applicano i limiti previsti per le dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o per la testimonianza indiretta, a meno che la difesa non richieda di sentire direttamente i testi di riferimento.

L’amministratore di fatto risponde per la mancata tenuta delle scritture contabili anche se non si occupava direttamente di contabilità?
Sì. L’obbligo giuridico di istituire e tenere le scritture contabili grava su tutti coloro che esercitano la gestione dell’impresa, siano essi amministratori di diritto o di fatto. Una ripartizione interna dei compiti non esonera dalla responsabilità penale per il reato di bancarotta documentale, il cui dolo specifico (il fine di danneggiare i creditori) può essere desunto da elementi oggettivi come la totale assenza di contabilità e l’ingente debito accumulato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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