Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12773 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12773 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 09/09/1974
avverso la sentenza del 20/05/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano che ne ha confermato la condanna per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta impropria da operazioni dolose.
Rilevato che con unico motivo articolato in più punti il ricorrente deduce violazione di legge e vi di motivazione in merito all’attendibilità dell’amministratore di diritto della società f principale fonte delle accuse mosse allo COGNOME ed all’attribuibilità a quest’ultimo della qual di amministratore di fatto della società medesima.
Ritenuto, quanto al primo profilo dedotto, che le le censure proposte risultano manifestamente infondate. Infatti, contrariamente a quanto eccepito, la Corte territoriale non solo ha evidenziat le ragioni della ritenuta attendibilità intrinseca delle dichiarazioni di COGNOME NOME, altresì individuato negli accertamenti compiuti dal curatore e dalla Guardia Finanza i riscontr estrinseci al suo narrato che ne corroborano la capacità di ergersi a prova della responsabilità dell’imputato. Ed in tal senso la sentenza ha altresì rinviato a quella conforme di primo grado, che, rimasta incontestata sullo specifico punto, aveva ricordato come nel corso della verifica fiscale condotta nei confronti della società fu, tra l’altro, lo stesso COGNOME a riferire agli di occuparsi in assoluta autonomia della gestione operativa della fallita, esattamente come dichiarato dal Benvenuti. Con tale apparato argomentativo – e come detto già prima nemmeno il gravame di merito – il ricorso non si è confrontato risultando, dunque, anche generico.
Ritenuto che siano manifestamente infondate e meramente contestative anche le doglianze afferenti al secondo profilo di censura in precedenza illustrato. Ed infatti con motivazione logic e coerente alle risultanze probatorie esposte i giudici del merito hanno dimostrato l’effettivo continuativo svolgimento da parte dello COGNOME di funzioni gestorie nel periodo in cui sono stat poste in essere le contestate operazioni dolose e ne è stata dissimulata la realizzazione sul versante contabile, rimanendo dunque implicitamente affermato nella sentenza impugnata che per il breve periodo successivo all’allontanamento dell’imputato dalla società egli non risponda del relativo segmento temporale di omessa tenuta dei libri contabili.
Rilevato, quanto alla eccepita violazione dell’art. 192 c.p.p., come sia sufficiente ricordare che inammissibile la deduzione di violazione di legge in relazione all’asserito malgoverno delle regole di valutazione della prova contenute nella disposizione citata, non trattandosi di norma la cui inosservanza è prevista a pena di nullità o inutilizzabilità, come invece richiesto dall’art. 606 l c) c.p.p. (ex multis Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027; Sez. 3, n. 44901 del 17 ottobre 2012, F., Rv. 253567; Sez. 1, n. 42207/17 del 20 ottobre 2016, COGNOME e altro, Rv. 271294). Né vale in senso contrario la qualificazione del vizio dedotto apparentemente operata dal ricorrente, alla luce della formale intestazione dei motivi di ricorso, come error in iudicando
in iure ai sensi della lett. b) dell’art. 606 c.p.p., posto che tale disposizione, per consolid insegnamento di questa Corte, riguarda solo l’errata applicazione della legge sostanziale, pena, altrimenti, l’aggiramento del limite posto dalla menzionata lett. c) dello stesso articolo a deducibilità della violazione di norme processuali (ex multis Sez. 3, n. 8962 del 3 luglio 1997, COGNOME, Rv. 208446; Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016, P.M. in proc. COGNOME e altri, Rv. 268404).
Ritenuto infine, quanto, al denegato riconoscimento delle attenuanti generiche, che quelle del ricorrente sono mere censure in fatto, per di più intrinsecamente generiche e prive di un esaustivo confronto con la motivazione della sentenza impugnata relativa al profilo indicato.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/03/2025