Amministratore di fatto: la Cassazione conferma il sequestro e definisce i limiti del ricorso
L’ordinanza in esame offre un’importante lezione sulla figura dell’amministratore di fatto e sui confini invalicabili tra il giudizio di merito e quello di legittimità. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso avverso un provvedimento di sequestro preventivo, ribadendo che la valutazione degli elementi indiziari per definire il ruolo gestorio di un soggetto spetta esclusivamente al giudice del merito.
I Fatti del Caso
Il Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo di denaro e beni di lusso, tra cui numerosi orologi di pregio, rinvenuti in una cassetta di sicurezza. Il provvedimento era legato a presunti reati tributari commessi attraverso una società. Un uomo, ritenuto il dominus dell’operazione, e sua moglie hanno proposto ricorso.
L’uomo sosteneva di essere un semplice intermediario nella compravendita di orologi per conto della società, negando di esserne l’amministratore e dichiarando di non conoscerne neppure i dati societari. La moglie, invece, contestava la proprietà dei beni sequestrati, affermando che il denaro le veniva corrisposto mensilmente dal marito e che gli altri oggetti erano beni personali, custoditi nella cassetta di sicurezza a lei intestata.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. Secondo i giudici, le doglianze sollevate dai ricorrenti non rientravano tra le censure consentite in sede di legittimità. Esse, infatti, riguardavano la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti, attività di esclusiva competenza del giudice di merito. Di conseguenza, i ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Le Motivazioni: la figura dell’Amministratore di Fatto e i limiti del giudizio di legittimità
Il cuore della pronuncia risiede nella motivazione con cui la Corte ha respinto le argomentazioni difensive. Il giudice di merito aveva correttamente evidenziato una serie di elementi che, nel loro complesso, delineavano in modo inequivocabile il ruolo dell’uomo come amministratore di fatto della società. Tra questi:
* La disponibilità dei conti societari: L’uomo aveva pieno accesso e controllo sui conti correnti della società.
* La documentazione: All’interno della sua abitazione erano stati trovati documenti relativi a pagamenti effettuati dalla società.
Questi elementi sono stati considerati “sintomatici” di una riconducibilità della gestione societaria all’imputato. La Corte ha inoltre sottolineato l’irrilevanza dell’assenza di comunicazioni dirette con l’amministratore di diritto, risultato essere un mero prestanome di una “società cartiera”, priva di una reale struttura operativa.
Per quanto riguarda la posizione della moglie, i giudici hanno confermato la ricostruzione del Tribunale: la cassetta di sicurezza, sebbene formalmente intestata a lei, era di fatto utilizzata dal marito per custodire gli orologi. Il denaro, inoltre, proveniva da prelievi in contanti effettuati dalla stessa donna, ma inseriti in un contesto che li collegava all’attività illecita del coniuge.
Le Conclusioni: implicazioni pratiche
Questa ordinanza consolida alcuni principi fondamentali. In primo luogo, la qualifica di amministratore di fatto può essere desunta da un quadro indiziario grave, preciso e concordante, anche in assenza di un ruolo formale. La disponibilità di conti e documenti aziendali costituisce una prova di notevole peso. In secondo luogo, viene riaffermato il principio secondo cui la Corte di Cassazione non può sostituirsi al giudice di merito nella valutazione delle prove. Se la motivazione di quest’ultimo è logica, congrua e completa, il suo giudizio sui fatti è insindacabile. Infine, la decisione chiarisce che l’intestazione formale di beni o strumenti finanziari (come una cassetta di sicurezza) può essere superata da prove che dimostrino un utilizzo e una disponibilità di fatto da parte di un soggetto diverso.
Come si può dimostrare il ruolo di amministratore di fatto secondo la Cassazione?
Il ruolo di amministratore di fatto può essere dimostrato attraverso elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Nel caso specifico, sono stati ritenuti decisivi la disponibilità dei conti correnti della società e il ritrovamento di documenti relativi ai pagamenti societari presso l’abitazione del soggetto.
È possibile contestare la valutazione delle prove in un ricorso per cassazione?
No, il ricorso per cassazione non permette di riesaminare la valutazione delle prove o la ricostruzione dei fatti. Il giudizio della Corte è limitato alla verifica della corretta applicazione della legge e alla logicità della motivazione del provvedimento impugnato.
L’intestazione formale di una cassetta di sicurezza è sufficiente a provare la proprietà dei beni contenuti?
No, secondo questa ordinanza, l’intestazione formale non è decisiva. Il giudice può stabilire che la proprietà effettiva dei beni appartiene a un’altra persona se emerge che quest’ultima utilizzava di fatto la cassetta per custodire i propri beni.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35739 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35739 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/05/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a ALZANO LOMBARDO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a BERGAMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/01/2025 del TRIB. LIBERTA’ di PAVIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
COGNOME NOME NOME COGNOME NOME propongono GLYPH ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Pavia di rigetto dell’istanza di riesame e di conferma decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca di danaro e di beni, disposto in rela alla contestazione provvisoria dei reati di cui agli artt. 5 e 8 del d.gls.74 del 2000, dedu con unico motivo di ricorso, vizio della motivazione e travisamento della prova in ord all’affermata qualifica del COGNOME quale amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE av effettuato l’acquisto di numerosi orologi Rolex e di altre marche presso diverse gioieller COGNOME assume di aver svolto il ruolo di intermediario della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE la compravendita orologi di lusso, società di cui non conosce neppure i dati, così come per la società RAGIONE_SOCIALE, moglie del COGNOME contesta la proprietà degli orologi e della somma in cont rinvenuta nella cassetta di sicurezza, beni oggetto di sequestro, trattandosi di denaro ch marito le corrispondeva mensilmente e di beni personali.
La doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimi investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riservati alla cog del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giurid seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, il giudice a qu evidenziato che dagli atti è emerso che il COGNOME aveva la disponibilità dei conti della s RAGIONE_SOCIALE, che all’interno della abitazione del COGNOME vi erano documenti relativi ai pagame della RAGIONE_SOCIALE e che questi elementi sono sintomatici della riconducibilità di fatto al Fa della società che effettuava gli acquisti degli orologi. Né rileva l’assenza di comunica intercorse tra il COGNOME, amministratore di fatto, e il COGNOME, amministratore di diritto, quest’ultimo un mero prestanome della società, peraltro società cartiera, che aveva ad oggetto il commercio di materiali per la costruzione, pur essendo priva di automezzi e di dipendenti.
Quanto alle deduzioni formulate dalla COGNOME, il giudice a quo ha affermato che la cassetta sicurezza era solo formalmente intestata alla donna, moglie del COGNOME, in quanto di fatto lui utilizzata per la custodia degli orologi e, quanto al denaro, che la COGNOME aveva eff prelevamenti di danaro in contanti che aveva posto all’interno della cassetta di sicurezza.
Stante l’inammissibilità dei ricorsi, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisa assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. Sent. n. 18 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processual
della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 30/05/2025
Il consiglier estens?
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Il Presidente