Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 18133 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 18133 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/03/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Calcinate il 03/12/1972
Avverso la sentenza emessa in data 11/06/2024 dalla Corte di Appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 11/06/2024, la Corte d’Appello di Brescia ha parzialmente riformato (riducendo la misura delle pene principali ed accessorie, e confermando nel resto) la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa con rito abbreviato dal G.u.p. del Tribunale di Bergamo, in data 08/02/2022, nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME in relazione ai delitti di omessa dichiarazione continuata (capo 1, contestato al ricorrente in qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in concorso con l’amministratore di diritto), dichiarazione fraudolenta (capo 2, contestato in qualità di amministratore di fatto della
RAGIONE_SOCIALE, in concorso con l’amministrazione di diritto) e di emissione continuata di fatture per operazioni inesistenti (capo 3, contestato al COGNOME nella qualità di cui al capo 1).
Ricorre per cassazione il COGNOME a mezzo del proprio difensore, deducendo:
2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto delle due società, per essere la motivazione del tutto priva di effettivi riferimenti ai poteri gestori asseritament esercitati dal COGNOME
In particolare, quanto alla RAGIONE_SOCIALE, la difesa censura la valorizzazione delle dichiarazioni rese dall’amministratore di diritto, COGNOME NOMECOGNOME sia perché doveva dubitarsi – essendosi ella dichiarata del tutto estranea alle vicende della RAGIONE_SOCIALE – della sua effettiva conoscenza in ordine al soggetto che gestiva la società, sia perché la COGNOME, invitata due giorni dopo tali dichiarazioni a riferire in ordine ai rapporti tra la società e la propria individuale RAGIONE_SOCIALE NOMECOGNOME aveva sostenuto che le fatture emesse dalla prima nei confronti della seconda erano riferite a lavori realmente eseguiti e da lei ordinati. Si lamenta il mancato apprezzamento di tali aspetti di evidente contraddittorietà (la COGNOME si era dichiarata pienamente a conoscenza delle fatture e delle attività svolte dalla società in favore della ditta individuale), superabile – come sostenuto dalla Corte d’Appello – attraverso la deposizione dell’altro teste COGNOME COGNOME avente in realtà una valenza neutra, dal momento che non era possibile desumere da essa un inserimento stabile del COGNOME nell’organizzazione della società.
Quanto invece alla RAGIONE_SOCIALE, si censura l’attribuzione di una decisiva rilevanza alle dichiarazioni dell’impiegata COGNOME NOME (dalle quali era partita la verifica fiscale), trattandosi di apporto non idoneo a superare i principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al ritenuto superamento, con l’omessa dichiarazione per l’anno 2014 da parte della RAGIONE_SOCIALE, delle soglie di punibilità stabilite nell’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché con riferimento alla ritenuta sussistenza, in capo al COGNOME, del dolo specifico richiesto per tale reato.
Quanto alla prima questione, si contesta il superamento della soglia di Euro 50.000 quanto all’IVA evasa, che doveva essere quantificata in Euro 28.276,00 come da tabella contenuta nell’informativa dell’Agenzia delle Entrate.
In ordine al secondo profilo, si lamenta il mancato apprezzamento del fatto che la RAGIONE_SOCIALE era del tutto sconosciuta al fisco, non avendo mai adempiuto, sin dalla costituzione, agli obblighi su di essa gravanti.
Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’omessa motivazione quanto alla misura degli aumenti disposti a titolo di continuazione, e alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Si censura, quanto al primo aspetto, l’inottemperanza all’obbligo motivazionale sancito, sul punto, dalle Sezioni Unite della Suprema Corte; quanto al secondo profilo, si lamenta il mancato apprezzamento degli elementi favorevoli all’applicazione dell’art. 62-bis cod. pen.
Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla confisca per equivalente, anche quanto al difetto di proporzionalità. Si censura il riferimento della Corte territoriale all’assoluta assenza di discrezionalità nell’applicazione, all luce dell’informazione provvisoria relativa alla recentissima decisione delle Sezioni Unite, e all’imputazione a titolo di concorso nei reati di cui ai capi 1) e 2).
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il Procuratore Generale sollecita il rigetto del ricorso, ritenendo nel complesso infondate le censure difensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Per ciò che riguarda il primo ordine di censure, volto a contestare l’attribuzione al COGNOME della qualifica di amministratore di fatto delle società coinvolte nei reati tributari in contestazione, è opportuno prendere le mosse dal consolidato insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui «in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, d credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01). Altrettanto consolidata, d’altro lato, è l’affermazione per cui «ai fini del controllo di legittimità sul viz motivazione, ricorre la cd. ‘doppia conforme’ quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati n valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale» (Sez.
2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; nello stesso senso, tra le altre, cfr. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, i rilievi difensivi non superano lo scritinio di ammissibilità, risolvendosi in censur del merito delle valutazioni espresse dalla Corte territoriale (in piena sintonia con il primo giudice) in ordine alle risultanze acquisite, e nella prospettazione di una diversa e più favorevole lettura delle risultanze medesime il cui apprezzamento, in questa sede, deve evidentemente ritenersi precluso.
2.1. In particolare, quanto alla RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’Appello ha valorizzato quanto già posto in evidenza nella sentenza di primo grado in ordine all’esposto dell’impiegata COGNOME NOME, la quale aveva denunciato la registrazione di fatture passive per operazioni inesistenti, a fini di abbattimento dell’IVA per l’anno 2014, disposta dall’odierno ricorrente, ed aveva altresì precisato che quest’ultimo aveva avuto comportamenti analoghi anche a proposito di altre società di cui era amministratore di fatto: consentendo quindi l’emersione di ulteriori condotte illecite, tra cui quelle concernenti la RAGIONE_SOCIALE (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata). Al riguardo, la Corte territoriale ha evidenziato sia l’assenza di motivi per dubitare dell’attendibilità della COGNOME, sia la indiscutibile valenza “gestoria” della condotta da lei specificamente descritta.
Si tratta di un percorso argomentativo tutt’altro che illogico, rimasto privo di effettiva confutazione da parte della difesa ricorrente, se non attraverso generici riferimenti al principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
2.2. Per ciò che riguarda invece la RAGIONE_SOCIALE, la difesa ricorrente ha in questa sede riproposto i propri rilievi sulle dichiarazioni di COGNOME NOME, formale amministratore della società, la quale aveva da un lato riferito di essersi limitata a sottoscrivere qualche atto su richiesta del COGNOME, e di essere quindi del tutto all’oscuro dell’attività della RAGIONE_SOCIALE e dei suoi clienti (si era trattato di una cortesia fatta al COGNOME, che un cliente dell’impresa di giardinaggio del marito: cfr. pa . 6 della sentenza); tali affermazioni dovevano peraltro ritenersi inattendibili perché in contrasto con quanto riferito dalla stess COGNOME, titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE in ordine all’effettività delle operazioni riportate dalle fatture emesse nei confronti quest’ultima dalla RAGIONE_SOCIALE
Deve peraltro osservarsi che risulta assorbente la genericità del ricorso, che evita di confrontarsi compiutamente con il percorso argomentativo della Corte territoriale: quest’ultima, oltre a sottolineare che la RAGIONE_SOCIALE era una società sconosciuta al fisco sin dalla sua costituzione, aveva ritenuto dirimente la convergenza delle deposizioni rese dai legali rappresentanti della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE (soggetti entrambi privi di interesse a rendere false dichiarazioni), i quali avevano concordemente riferito che, nei rapporti intrattenuti con la RAGIONE_SOCIALE avevano avuto come esclusivo referente il
COGNOME, al di là del soggetto investito formalmente della carica amministrativa. Sul punto, la Corte d’Appello aveva posto in rilievo l’autosufficienza di tali contributi dichiarativi, e la loro congruenza con il ruolo amministratore di fatto pure ribadito dalla COGNOME.
Ad avviso di questo Collegio, se è vero che i distinguo di quest’ultima ben potevano essere dettati dall’intento di salvaguardare la propria posizione (tenuto anche conto di quanto precisato dai giudici di merito in ordine alla fattura emessa dalla sua ditta individuale nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, di importo pari a 25.000 Euro saldati prima dell’emissione della fattura medesima: cfr. la seconda pagina della sentenza di primo grado, e pag. 6 della sentenza impugnata), altrettanto vero è che la difesa avrebbe dovuto adeguatamente contrastare le osservazioni della Corte territoriale in ordine alle dichiarazioni dei du imprenditori, perfettamente in linea con la posizione della COGNOME nell’attribuire al COGNOME la qualifica di amministratore di fatto.
L’assenza di una compiuta ed adeguata confutazione del percorso argomentativo complessivamente tracciato dalla sentenza impugnata induce a ritenere generico, in parte qua, il motivo di ricorso.
Ad analoghe conclusioni di inammissibilità deve pervenirsi con riferimento alle censure proposte in ordine al reato di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000, co particolare riguardo al superamento della soglia di punibilità e alla configurabilità del dolo specifico di evasione.
3.1. Per ciò che riguarda la prima questione, risulta dirimente il carattere reiterativo e generico della doglianza, avendo il ricorrente evitato di confrontarsi con le argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, imperniate sulla necessità di computare, ai fini del superamento della soglia, anche VIVA dovuta in relazione alle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti.
Tale ottica interpretativa, fatta propria dalla Corte d’Appello, risult pienamente in linea con il consolidato principio secondo cui «in tema di reati finanziari e tributari, il delitto di omessa dichiarazione a fini I.V.A. è configura anche nel caso in cui siano state emesse fatture per operazioni inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effettivo incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione» (Sez. 3, n. 32500 del 06/06/2018, Brancaleon, Rv. 273697 – 01. In senso conforme, tra le altre, cfr. da ultimo Sez. 3, n. 47599 del 05/11/2024, Domizio).
3.2. Il motivo concernente l’elemento soggettivo del reato è inammissibile, perché reiterativo ed in parte generico.
Deve invero osservarsi che la Corte territoriale ha motivato sul punto in termini del tutto in linea con la giurisprudenza di legittimità: senza ovviamente “accontentarsi” della sola consapevolezza dell’omissione dichiarativa, la sentenza impugnata (pag. 12) ha posto l’accento sul fatto che il COGNOME aveva reiterato la condotta omissiva per più anni di imposta, e non aveva adempiuto neanche
tardivamente agli obblighi tributari conseguenti, né aveva palesato alcun interesse ad intervenire nelle verifiche tributarie avviate nei confronti delle socie amministrate di fatto.
Tali considerazioni, tutt’altro che illogiche, risultano perfettamente aderenti, come già accennato, all’insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «in tema di omessa dichiarazione, la mera consapevolezza dell’entità dell’imposta evasa non è sufficiente a provare la sussistenza del dolo specifico, richiesto per la configurabilità del reato, essendo necessario, a tal fine, che ricorrano elementi ulteriori, quali il mancato pagamento postumo di tale imposta in tempi ragionevoli o la reiterazione dell’omissione per più anni, dai quali possa essere tratta la convinzione che l’omissione sia finalizzata all’evasione» (Sez. 3, n. 44170 del 04/07/2023, Marra, Rv. 285221 – 01).
Sul punto, la difesa ricorrente si è limitata a riproporre la te dell’inconfigurabilità del dolo specifico in capo all’amministratore di una società del tutto inattiva. Va peraltro evidenziato – al di là dell’intrinseca scarsa consistenz della prospettazione – che anche tale assunto è stato puntualmente disatteso dalla Corte territoriale, la quale ha posto in rilievo l’effettività di alcune operaz commerciali (diverse da quelle sottese alle fatture per cui è causa), accertate dalla Guardia di Finanza e confermate dalle già richiamate deposizioni del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (cfr. pag. 12, cit.).
Il motivo concernente il difetto di motivazione sugli aumenti apportati a titolo di continuazione deve ritenersi precluso, perché non dedotto in appello.
È invero pacifico che le censure in punto di pena avevano avuto esclusivamente ad oggetto la misura della pena base, senza alcun riferimento al difetto motivazionale lamentato in questa sede.
Per ciò che riguarda il diniego delle attenuanti generiche, va evidenziato che – anche in questo caso – la difesa ricorrente ha contrastato con argomentazioni del tutto generiche (pur se precedute da ampi richiami giurisprudenziali) la motivazione della Corte d’Appello, la quale ha posto in rilievo l’assenza di elementi concretamente indicativi della necessità di un intervento riequilibratore GLYPH del GLYPH trattamento GLYPH sanzionatorio GLYPH (certo GLYPH non GLYPH ravvisabili nell’applicazione di una pena lievemente superiore al minimo), tra l’altro in un contesto in cui la condotta del COGNOME (reiterata e disinvolta nell’utilizzare società formalmente riferibili ad altri compiacenti soggetti) non aveva evidenziato alcun profilo meritevole di apprezzamento nel senso auspicato. Né, d’altra parte, si ritiene possibile pervenire a diverse conclusioni sulla scorta dei generici riferimenti, contenuti nel motivo di ricorso, al comportamento processuale tenuto dal COGNOME e alla sua condotta successiva.
Anche il motivo concernente il difetto di proporzionalità della confisca appare inammissibile, non essendo la questione stata dedotta con un corrispondente motivo di appello.
In quella sede, infatti, la difesa si era limitata a contestare l’applicazione dell confisca sulla base della diversa ricostruzione fattuale offerta in ricorso, imperniata
sulla erroneità dell’attribuzione al COGNOME della qualifica di amministratore di fatto e sull’insussistenza dei reati contestati: prospettazione disattesa dalla Corte
territoriale all’esito del percorso argomentativo già in precedenza richiamato, ed in forza dell’obbligatorietà della confisca prevista dall’art. 12-bis d.lgs. n. 74 (c
pag. 13 della sentenza impugnata). La mancanza di rilievi critici, in appello, sulla proporzionalità dell’intervento ablativo preclude la possibilità di esaminare, in
questa sede, le censure prospettate al riguardo,
7. Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibiltà del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 21 marzo 2025
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Il Presidente