Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12628 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12628 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a EMPOLI il 01/12/1963
avverso la sentenza del 16/04/2024 della CORTE d’APPELLO di FIRENZE dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che NOME COGNOME ricorre a mezzo del difensore avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze indicata in epigrafe, che ha confermato la pronunzia del G.u.p. del Tribunale della stessa città, all’esito del giudizio abbreviato, con la quale l’imputato era sta ritenuto responsabile dei delitti di bancarotta fraudolenta societaria per distrazione (capo Al) bancarotta societaria fraudolenta documentale di tipo generico (capo A2), nonché atti dolosi per effetto dei quali si cagionava il fallimento (capo B), il tutto commesso nella qualità amministratore di fatto della società fallita RAGIONE_SOCIALE
Considerato che il ricorso è articolato sei motivi: con il primo si lamenta violazione di legg penale in relazione agli artt. 216, 229, 223 I. fall.; con il secondo analoga violazione per carenza di riscontri analitici sui documenti bancari; con il terzo il vizio di motivazione in ordine al di amministratore di fatto dell’imputato; con il quarto la violazione di legge penale in ordine al mancata descrizione delle condotte distrattive e alla contestazione del concorso in assenza di concorrenti nel reato; con il quinto, il vizio di motivazione in ordine alla scriminante della f maggiore; con il sesto la violazione di legge penale in ordine alla eccessività e sproporzione della pena inflitta;
Rilevato, quanto ai motivi dal primo al quarto, reiterativi di analoghe doglianz trattati congiuntamente perché strettamente connessi: in particolare, le doglia confuse, oltre che reiterative di motivi di appello – ai , quali la sentenza impugnata ha offert risposta non manifestamente illogica e congrua, oltre che corretta – nonché aspe quanto, quando lamentano l’omessa rinnovazione istruttoria, non si confrontano con l impugnata che dava atto che i documenti offerti dalla difesa fossero stati acquisit valutati. Si trattava della comunicazione di assunzione come dipendente, della mali COGNOME–COGNOME, della documentazione relativa al ruolo di COGNOME NOME, come emerge al fo motivazione, che rende conto del valore probatorio non decisivo di tali allegazi consolidato è il principio per cui nel giudizio abbreviato d’appello, siccome l d’integrazione probatoria consentita è quella esercitabile offìciosamente, non è conf vero e proprio diritto alla prova di una delle parti cui corrisponda uno specular controparte alla prova contraria, con la conseguenza che il mancato esercizio da parte d’appello dei poteri officiosi di integrazione probatoria, non può mai integrare, all’art. 606, comma primo, lett. d) c.p.p. Nel giudizio abbreviato d’appello le parti una mera facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercita “ex officio” nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell’art. 603, comma 3, atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un dir della prova in termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale faco di primo grado (Sez. 2 – , Sentenza n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 01; Sez. 1, n. 37588 del 18 giugno 2014, Amaníera, Rv. 260840). Nè in tal senso è con un obbligo per il giudice di motivare il diniego della richiesta di attivazione dei obbligo invece sussistente qualora gli stessi poteri vengano esercitati (ex multis S del 18 gennaio 2011, COGNOME e altri, Rv. 249161). I motivi – che richiamano profili alle indagini, valutati in doppia conforme – riguardano l’evolversi degli accer curatore, che però risultano espressivi della fisiologica evoluzione delle ver fallimentare e non possono certamente integrare vizio di motivazione della sentenza i d’altro canto, tale fisiologica evoluzione viene ricapitolata dalla Corte di appell quella di primo grado, dal fol. 5, ripercorrendo come il curatore abbia preso cos mano che verificava la documentazione della fallita, del ruolo di COGNOME che ris più terzo, bensì amministratore di fatto della stessa. Si tratta di motivazione non m illogica. Quanto, poi, alla carenza di contraddittorio nella formazione delle prove ricorrente che si tratta di conseguenza del rito abbreviato prescelto dall’imputato costituzionalmente assicurata dall’art. 111 Cost. che evidentemente non può essere doglianza in questa sede; le doglianze sono quindi manifestamente infondate; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerato, inoltre, che i motivi lamentano come le condotte distrattive no causato il fallimento, deve ricordarsi che il reato di bancarotta fraudolenta per dist di pericolo (ex multis Sez. 5, n. 11633 del 8 febbraio 2012, COGNOME COGNOME, Rv. 252307 senso che, essendo l’oggetto della tutela identificabile nell’interesse dei creditori
mezzi di garanzia, l’art. 216 legge fall. prende in considerazione non solo la sua effettiva lesion dovuta al cagionamento di un danno al ceto creditorio – che non è elemento costitutivo della fattispecie tipizzata – bensì anche il pericolo conseguente alla mera possibilità che questo s verifichi, cosicchè la doglianza sul punto è manifestamente infondata. Quanto alla lamentata parziale analisi della documentazione bancaria, deve rilevarsi per un verso che al fol. 9 della sentenza impugnata emerge come il curatore abbia certamente provveduto ad una analisi a campione, ma che le condotte distrattive indicate nell’imputazione risultino esiti di una verific effettiva, risultando riscontrate dalla documentazione puntualmente valutata e rifluita nell’imputazione. Per altro, la doglianza si sostanza in una deduzione di travisamento per omissione, in ordine alla valutazione della consulenza tecnica di parte ma, sul punto, per un verso non ne viene dedotta la necessaria decisività, essendo la doglianza ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermo restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilit della valutazione nel merito del risultato probatorio; per altro verso, il motivo è aspecifico quanto non viene allegato l’elaborato di parte con l’evidenziazione dei punti non valutati, a front della motivazione impugnata che al fol. 15 indica la natura indimostrata della tesi difensiva fondata sulla relazione del consulente di parte, sia in ordine alla non corretta registrazione de dati contabili, sia in relazione alla destinazione sociale dei prelievi di contate effet dall’imputato e all’uso della carta di credito. A tal ultimo proposito, le doglianze che deducono difetto di prova o l’utilizzo del metodo induttivo di stampo tributario risultano manifestament infondate, in quanto spetta all’amministratore dimostrare la destinazione sociale dei beni, a fronte della prova del prelievo o della distrazione offerta dalle sentenze di merito in doppi conforme: deve trovare applicazione il consolidato principio per cui la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita.deve trarsi dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, Aucello, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, COGNOME, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, COGNOME, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, COGNOME, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, COGNOME, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, COGNOME, Rv. 231411). Solo nel caso in cui vi sia una indicazione specifica della destinazione aziendale dei beni da parte del fallito, il giudice non pu ignorarne l’affermazione, quando però le informazioni fornite alla curatela, al fine di consentir il rinvenimento dei beni potenzialmente distratti, siano specifiche e consentano il recupero degli stessi ovvero l’individuazione della effettiva destinazione (Sez. 5, n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 – 01; mass. conf. n. 19896 del 2014 Rv. 259848 – 01): ma nel caso in esame non risulta alcuna informazione fornita alla curatela di carattere specifico, né il ricorso ne evidenzia la mancata valutazione in modo dettagliato; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato, inoltre, che reiterate sono anche le doglianze relative al deficit di prova in ordine alla qualità di amministratore di fatto, che invece è in modo non manifestamente illogico
affermata dalla sentenza impugnata: prova di tale qualità è tratta dalla Corte di appello – che al fol. 14 richiama la sentenza di primo grado – sia dalle dichiarazioni rese dai dipendenti della fallita, dai fornitori della stessa, oltre che dai professionisti che si occupavano della contabi della società, che indicavano COGNOME come interfaccia della società per i rispettivi ambiti, si anche aggiungendovi la destinazione delle risorse della società in favore di COGNOME (disponendo bonifici in proprio favore e di carte di credito operanti sui conti della società fall sia infine il ruolo assunto di dominus quale regista delle vicende societarie, dovendo ritenersi il ruolo di dipendente come ‘mera copertura’ e rilevando come l’esistenza degli amministratori di diritto eventualmente scelti da COGNOME NOME, seconda la prospettazione difensiva, non risultavano avere la gestione di fatto della società. La motivazione della Corte territoriale non né manifestamente illogica né manifestamente infondata, anzi risulta coerente, nonché corretta nella argomentazione, per i consolidati principi – oggetto di buon governo da parte della Corte di appello – per cui ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore “di fatto” è necess la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque se gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatt insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019 – dep. 06/11/2019, COGNOME, Rv. 27754001; inoltre, a proposito del concorso di altri gestori della società, come la sorella o gli amministratori di diritto, la dogli anche è infondata in quanto la previsione di cui all’art. 2639 cod. civ. non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza co l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – in tempi successivi contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti all qualifica o alla funzione (Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, COGNOME, Rv. 279040 – 01); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Considerato che anche la doglianza relativa alla circostanza che la Corte di appello non avrebbe indicato gli indici di fraudolenza è aspecifica. A ben vedere la Corte riporta la sentenza di primo grado, condividendola: chiarisce i rapporti fra la fallita e le società facenti cap COGNOME, subentranti nella stessa sede e nel medesimo oggetto sociale, con spoliazione della fallita anche quanto ai dipendenti – RAGIONE_SOCIALE o la RAGIONE_SOCIALE in Romania – descrivendo il meccanismo di spoliazione dei beni della fallita- attraverso le cessioni di azienda e di beni, non garantite adeguatamente le ragioni della fallita – in favore di COGNOME e delle sue società ulteriori, il che collima e risponde in modo congruo a quanto richiede questa Corte di cassazione, che invita il giudice del merito, in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, pe l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dol generico, a valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”. Gli stessi sono rinvenibili, ad esempi nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore
rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore de squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altr all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017 – dep. 01/08/2017, COGNOME e altro, Rv. 27076301);
Rilevato, ancora, che la doglianza relativa contestazione del concorso di persone, venuto meno per il patteggiamento che ha riguardato uno dei coimputati e per l’assoluzione dell’altro, non integra alcuna nullità, sia perché anche la sentenza di patteggiamento a tali fini si atteggia come sentenza di condanna, sia anche perché i delitti in contestazione sono a concorso cd. eventuale, essendo reati monosoggettivi, cosicché anche il venir meno del concorso non determinerebbe alcuna radicale trasformazione della condotta, che sola potrebbe determinare la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.; e, d’altro canto, costante è l’orientamento che esclud la violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza quando, contestato a taluno un reato commesso “uti singulus”, se ne affermi la responsabilità in concorso con altri (Sez. 2, n. 22173 del 24/04/2019, COGNOME, Rv. 276535 – 01; Sez. 6, n. 21358 del 05/05/2011, Rv. 250072; Sez. 4, n. 31676 del 04/06/2010, Rv. 24810; n. 24438 del 2005 Rv. 231855 – 01, n. 2794 del 1998 Rv. 210005 – 01), il che vale anché nel caso inverso. Anche corretta è la motivazione quanto al capo B): le doglianze sul punto, per quanto generiche, sono comunque manifestamente infondate. Infatti la sentenza impugnata è in piena sintonia con i principi in materia: integra il delitto di atti dolosi causativi del fallimento o del suo aggravamento – i quanto è sufficiente l’aggravamento ulteriore del dissesto – l’imputato che non abbia adempiuto agli obblighi tributari e previdenziali continuativamente, facendo crescere l’esposizione debitoria, in quanto le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, legge fall. ben possono consistere nel sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali, frutto di una consapevole scelta gestionale da parte degli amministratori della società, da cui consegue il prevedibile aumento della sua esposizione debitoria nei confronti dell’erario e degli enti previdenziali (Sez. 5, n. 24752 del 19/02/2018, COGNOME, Rv. 273337 – 01; conf. n. 12426 del 2014 Rv. 259997 – 01, n. 29586 del 2014 Rv. 260492 – 01, n. 47621 del 2014 Rv. 261684 – 01, n. 15281 del 2017 Rv. 270046 – 01; nello stesso senso Sez. 5, n. 22765 del 18/02/2021, COGNOME, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato, quanto alle ulteriori doglianze, relative alla natura non distrattiva di operazioni scritture private, si verte in tema di doglianze versate in fatto a fronte di motivazioni manifestamente illogiche, con la proposta di alternative ricostruzioni non consentite in sede di legittimità: va infatti ricordato che la valutazione di merito è insindacabile nel giudizi legittimità, salva l’ipotesi in cui essa risulti manifestamente illogica e che sono inammissibi pertanto, tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano
una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, d credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747 – 01; Sez. 6, n. 13809 del 17 marzo 2015, 0., Rv. 262965): in definitiva, le diverse censure del ricorrente non scalfiscono l’impostazione della motivazione e non fanno emergere profili di manifesta illogicità della stessa, finendo per risolversi in prospettazioni di diverse interpretazioni del materiale probatorio non proponibili in questa sede;
Considerato, quanto alla parte del quinto motivo che evoca la forza maggiore, che per un verso la censura non è formulata con l’atto di appello e, quindi, non è consentita perché inedita: secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, «deve ritenersi sistematicamente non consentita (non soltanto per le violazioni di legge, per le quali cfr. espressamente art. 606 comma 3, c.p.p.) la proponibilità per la prima volta in sede di legittimità, con riferimento ad capo e ad un punto della decisione già oggetto di appello, di uno dei possibili vizi della motivazione con riferimento ad elementi fattuali richiamabili, ma non richiamati, nell’atto d appello. Solo in tal modo è, infatti, possibile porre rimedio al rischio concreto che il giudice legittimità possa disporre un annullamento del provvedimento impugnato in relazione ad un punto della decisione in ipotesi inficiato dalla mancata/contraddittoria/manifestamente illogica considerazione di elementi idonei a fondare il dedotto vizio di motivazione, ma intenzionalmente sottratti alla cognizione del giudice di appello. Ricorrendo tale situazione, invero, da un iato giudice della legittimità sarebbe indebitamente chiamato ad operare valutazioni di natura fattuale funzionalmente devolute alla competenza del giudice d’appello, dall’altro, sarebbe facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della sentenza d’appello con riguardo al punto della decisione oggetto di appello, in riferimento ad elementi fattuali che in quella sede non avevano costituito oggetto della richiesta di verifica giurisdiziona rivolta alla Corte di appello, ma siano stati richiamati solo ex post a fondamento del ricorso per cassazione» (così Sez. 2, n. 32780 del 13/07/2021 , COGNOME, Rv. 281813; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062, in motivazione; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306; Sez. 3, n. 27256 del 23/07/2020, COGNOME, Rv. 279903; Sez. 3, n. 57116 del 29/09/2017, B., Rv. 271869; Sez. 2 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368). Per altro verso la forza maggiore, come prospettata, afferisce ai motivi dell’agire, nel senso che l’imputato non avrebbe adempiuto alle obbligazioni verso i creditori pubblici perchè impossibilitato, ma ciò, oltre a dover essere provato, contrasta con le distrazioni ritenute provate dalle sentenze di merito in doppia conforme, cosicché parte delle risorse non sono state destinate all’adempimento delle obbligazioni tributarie ma a fini privati. Per altro l’esimente della forza maggiore di cui all’ar cod. pen., sussiste in tutte le ipotesi in cui l’agente abbia fatto quanto era in suo potere p uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti dalla sua volontà non vi era la possibilità di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
impedire l’evento o la condotta antigiuridica (Sez. 5, n. 23026 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270145 – 01), il che collide con la condotta distrattiva;
Rilevato, quanto al sesto motivo, che lo stesso è manifestamente infondato, in quanto la dosimetria della pena superiore al minimo edittale ma decisamente inferiore alla misura media della stessa – anni quattro e mesi sei ridotta per il rito ad anni tre di reclusione – e la doglianza reiterativa di quella di appello, trova risposta nell’aver ravvisato i giudici del merito una strat imprenditoriale spregiudicata realizzata da un soggetto che ha tratto vantaggio dal fallimento della società. Si tratta di argomentazione congrua, tenuto in conto che non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288 – 01). Infatti, quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i crite oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale (Sez. 6, n. 35346 del 12/06/2008, COGNOME, Rv. 241189); tuttavia, nel caso in cui venga irrogata, come nel caso in esame, una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 co pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283), ovvero se il parametro valutativo è desumibile dal testo della sentenza nel suo complesso argomentativo e non necessariamente solo dalla parte destinata alla quantificazione della pena (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949). Requisiti motivazionali sussistenti nella sentenza impugnata, che conducono alla manifesta infondatezza del motivo;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/02/2025