Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 33720 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 33720 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CREMONA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a MONCALIERI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale, COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 31 ottobre 2023 dalla Corte di appello di Milano, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Sondrio che aveva condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME, per diverse fattispecie di
bancarotta, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita il ottobre 2009.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, il COGNOME e il COGNOME – il primo nella qualità direttore finanziario e coamministratore di fatt il secondo nella qualità di consulente e coamministratore di fatto – avrebbero cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose, il fallimento della società. In particolare: senza alcuna giustificazione, avrebbero effettuato una serie di pagamenti in favore di un proprio fornitore, la “RAGIONE_SOCIALE“, per l’importo complessivo di euro 494.116,15; avrebbero stipulato un contratto di finanziamento a favore di quest’ultima società, con conseguente erogazione di credito da parte della Banca Popolare di Sondrio per la somma di euro 4000.000,00, prestando garanzia ipotecaria con un immobile di proprietà della fallita; avrebbero pagato una rata relativa a un finanziamento contratto dalla “RAGIONE_SOCIALE“; avrebbero acquisito la società “RAGIONE_SOCIALE“, dopo che questa aveva già venduto ad altri il proprio unico bene strumentale, costituito da un capannone industriale, facendo così diventare la fallita società controllante di «una scatola vuota», che non aveva alcun valore, in cambio di un’ingente somma di denaro, che veniva ingiustamente conseguita dai soci della “RAGIONE_SOCIALE“.
Gli imputati, nella medesima qualità, avrebbero distratto, in favore di loro stessi nonché di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, ingenti somme di danaro.
Avrebbero concorso a cagionare il dissesto della società, mediante un’operazione dolosa di sopravvalutazione dell’attivo sociale, posta in essere con l’intenzione di ingannare i soci e il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altr un ingiusto profitto.
Avrebbero, infine, tenuto le scritture contabili in guisa da impedire la ricostruzione del reale patrimonio e dell’effettivo movimento degli affari della società.
Contro la sentenza della Corte di appello, entrambi gli imputati, con separati atti, hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei loro difensori di fiducia.
Il ricorso dell’AVV_NOTAIO, per RAGIONE_SOCIALE, si compone di tre motivi.
3.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di inosservanza della legge penale, in relazione agli artt. 223 legge fall. e 530 e 533 cod. proc. pen.
Contesta la qualifica di amministratore di fatto riconosciuta dai giudici di merito all’imputato. Sostiene che il Tribunale e la Corte di appello non avrebbero
indicato gli elementi di fatto dai quali poter desumere che l’imputato avesse svolto il ruolo non di mero consulente, ma di gestore della società.
Richiama alcune dichiarazioni rese dai testi COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, dalle quali non emergerebbero elementi a supporto della tesi accusatoria. Contesta, inoltre, l’utilizzazione per la decisione delle dichiarazioni rese dal correo COGNOME NOME, sostenendo che esse sarebbero condizionate dall’evidente interesse del propalante a ridimensionare le proprie responsabilità.
Il ricorrente sostiene che la Corte di appello, anziché individuare in maniera specifica gli elementi dai quali desumere che l’imputato svolgesse attività di gestione di fatto della società, si sarebbe limitata a descrivere i fatti distrattivi che l’imputato avrebbe realizzato insieme ai componenti della RAGIONE_SOCIALE COGNOME. La partecipazione a tali fatti, tuttavia, non sarebbe sufficiente a dimostrare che l’imputato avesse di fatto gestito la società. Sotto tale profilo, il ricorre evidenzia che, in assenza della dimostrazione del ruolo di amministratore di fatto svolto dall’imputato, la partecipazione alle attività distrattive compiute da componenti della RAGIONE_SOCIALE, al più, potrebbe rilevare come concorso «dell’extraneus» nel reato proprio commesso «dall’intraneus».
3.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 192, 526, 530 e 533 cod. proc. pen.
Il ricorrente sostiene che le dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME NOME, poste dai giudici di merito a fondamento del giudizio di responsabilità, sarebbero condizionate dall’evidente interesse del coimputato a ridimensionare le proprie responsabilità, sarebbero prive di riscontri estrinseci e sarebbero inutilizzabili, non essendo state acquisite nel contraddittorio tra le parti.
3.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 81 e 99 cod. pen.
Contesta l’applicazione della recidiva reiterata specifica e infraquinquennale, sostenendo che l’imputato, nei cinque anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, non avrebbe riportato alcuna condanna per delitti non colposi della stessa indole di quelli contestati nel presente processo.
Il ricorso dell’AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, si compone di quattro motivi.
4.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 81 cod. pen. e 649 e 669 cod. proc. pen.
Sostiene che la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto logico con le sentenze nn. 236/2012 e 2229/14, emesse dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Modena, relative ai fallimenti della “RAGIONE_SOCIALE” e dell
“RAGIONE_SOCIALE“, con le quali l’imputato era stato condannato per il reato di bancarotta, in ordine a condotte commesse in favore della “RAGIONE_SOCIALE“. Secondo il ricorrente, sarebbe illogico che l’imputato, da un lato, avesse «arrecato danno» alla “RAGIONE_SOCIALE” in favore delle altre due società (come sostenuto nella sentenza impugnata) e, dall’altro, avesse arrecato danno a queste ultime, avvantaggiando la “RAGIONE_SOCIALE” (come sostenuto nelle altre due sentenze).
4.2. Con un secondo motivo, deduce i medesimi vizi di motivazione e di inosservanza della legge penale dedotti dal RAGIONE_SOCIALE con il suo primo motivo di ricorso, contestando, mediante le medesime argomentazioni dell’altro ricorrente, la qualifica di amministratore di fatto riconosciuta dai giudici di merito all’imputato
4.3. Con un terzo motivo, deduce il medesimo vizio di inosservanza di norme processuali dedotto dal RAGIONE_SOCIALE con il suo secondo motivo di ricorso, contestando, mediante le medesime argomentazioni dell’altro ricorrente, le dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME NOME.
3.4. Con un quarto motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 81 e 99 cod. pen.
Sostiene che giudici di merito avrebbero erroneamente applicato la recidiva. L’imputato, infatti, nei cinque anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento (risalente al 21 ottobre 2009) non avrebbe riportato alcuna condanna per delitti non colposi della stessa indole di quelli contestati nel presente processo.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
AVV_NOTAIO, per la parte civile, ha depositato una memoria con la quale ha chiesto di confermare la sentenza impugnata.
L’AVV_NOTAIO e l’AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, e l’AVV_NOTAIO, per COGNOME NOME, hanno depositato memorie difensive, con le quali hanno chiesto di accogliere i ricorsi o di dichiarare la prescrizione dei reat Sotto quest’ultimo profilo, hanno sostenuto che la corretta qualificazione della recidiva comporterebbe l’applicazione di un più breve termine di prescrizione, in considerazione del quale i reati risulterebbero estinti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati.
Il ricorso di COGNOME NOME deve essere rigettato.
2.1. Il primo motivo del ricorso di COGNOME NOME e il secondo motivo di COGNOME NOME – che possono essere trattati congiuntamente, proponendo le medesime questioni di merito – sono inammissibili.
I ricorrenti, infatti, hanno articolato censure che sono all’evidenza dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dal Tribunale e dalla Corte di appello (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, COGNOME). In realtà, non deducono alcun travisamento della prova o una manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, ma offrono al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari che tendono a sollecitare un’inammissibile rivalutazione dei fatti. Al riguardo, deve essere ribadito che esula «dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, NOME).
Va, in ogni caso, rilevato che i giudici di merito hanno reso una motivazione precisa e coerente in ordine al ruolo di amministratore di fatto svolto dagli imputati, indicando, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, in maniera analitica i poteri di gestione della società da loro svolti (cfr. pagina 14 dell sentenza impugnata). In particolare, il COGNOME impartiva direttive sulla gestione amministrativa, contabile e finanziaria della fallita, intratteneva direttamente i rapporti con gli istituti di credito, interveniva nella scelta dei fornitori da paga emetteva assegni e impartiva specifiche direttive rispetto alla compilazione delle fatture. Il COGNOME impartiva direttive operative sulla gestione contabile finanziaria, curava i rapporti con gli istituti di credito, forniva direttive specif ai dipendenti e dava disposizione in merito al pagamento dei vari fornitori. Entrambi, inoltre, concordavano con COGNOME NOME le operazioni societarie e finanziarie da intraprendere.
Quanto alle dichiarazioni rese da COGNOME NOME, i giudici di merito hanno evidenziato che esse erano riscontrate dalle dichiarazioni rese dai testi (cfr. pagine 14 e 15 della sentenza impugnata e pagine 14, 15, 16 e 17 della sentenza di primo grado).
2.2. Il secondo motivo del ricorso di COGNOME NOME e il terzo motivo di COGNOME NOME – che possono essere trattati congiuntamente, proponendo la medesima questione – sono infondati.
Va precisato che, come emerge dalla sentenza di primo grado, i giudici di merito hanno dato rilievo alla testimonianza del curatore fallimentare, che ha fatto
riferimento anche alle dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME NOME (cfr. pagine 14 e 15 della sentenza di primo grado).
Tanto premesso, va ribadito che, «nel caso in cui l’imputato o il suo difensore non abbiano chiesto l’esame del coimputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie resegli da un coimputato non comparso al dibattimento, e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell’art. 33 I. fall., è utilizzabile quale prova a carico dell’imputato» (S 5, n. 24781 del 08/03/2017, Corrieri, Rv. 270599; Sez. 5, n. 3885 del 09/12/2014, Tusa, Rv. 262230). Non avendo i ricorrenti dedotto di avere chiesto l’esame del coimputato, risulta infondata la censura relativa all’inutilizzabilità del dichiarazioni rese dal COGNOME.
Sotto altro profilo, va rilevato che i giudici di merito hanno basato la loro decisione anche e soprattutto sulle dichiarazioni rese dai dipendenti della società oltre che sugli accertamenti diretti effettuati dal curatore e dalla polizia giudiziar (cfr. pagine 14 e ss. della sentenza impugnata e pagine 14 e ss. della sentenza di primo grado).
2.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Va rilevato, invero, che – dall’incontestata sintesi dei motivi di appello, pe come riportata nella sentenza impugnata, e dallo stesso atto di appello – non risulta che il deducente avesse formulato doglianze in ordine al tema dedotto con il ricorso in cassazione.
Al riguardo, deve essere ribadito che, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o che non sarebbe stato possibile dedurre in precedenza, «non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perché non devolute alla sua cognizione» (Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, COGNOME, Rv. 269632; Sez. 2, n. 6131 del 29/01/2016, COGNOME, Rv. 266202; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Va, in ogni caso, posto in rilievo che risulta del tutto infondata la richiesta d prescrizione avanzata dal ricorrente con la memoria scritta, atteso che è contestata l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, che determina un aumento della pena fino alla metà. Per effetto di tale aggravante, anche se si escludesse la recidiva, il termine massimo di prescrizione risulterebbe pari a 18 anni e 9 mesi e risulterebbe decorso solo nel luglio 2028.
Il ricorso di NOME deve essere rigettato.
3.1. Il primo motivo è infondato.
Con riferimento alla sentenza n 236/12 del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Modena (relativa al fallimento di “RAGIONE_SOCIALE“), non è neppure configurabile un eventuale contrasto di giudicati. Invero, l’unica condotta
che in quella sentenza è riferita alla “RAGIONE_SOCIALE” è quella che la “RAGIONE_SOCIALE” avrebbe concesso alla “RAGIONE_SOCIALE” finanziamenti privi adeguata garanzia. Nel presente processo, vi è il riferimento a un prestito che la “RAGIONE_SOCIALE” aveva ottenuto dalla “RAGIONE_SOCIALE“, al fine di acquistare proprio le quote di quest’ultima società, ma tale vicenda non è contestata come condotta effettuata in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, bensì a favore dei soci di quest’ultima, che ricevevano ingenti somme per la vendita delle quote della “RAGIONE_SOCIALE“, che era una società orami priva di effettivo valore. Non c’è quindi alcun possibile contrasto di giudicati, in considerazione del fatto che, in una sentenza, si è contestata una condotta in favore della “RAGIONE_SOCIALE” e, nell’altra, una condotta in favore dei soci della “RAGIONE_SOCIALE“.
Con riferimento alla sentenza n. 2229/12 (relativa al fallimento di “RAGIONE_SOCIALE“) del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Modena, va rilevato che, in essa, vi è il riferimento a due condotte che sarebbero state effettuate in favore della “RAGIONE_SOCIALE“: una cessione di materiale per circa 10.000,00 euro e un prestito di euro 47.000,00.
Va, in primo luogo, evidenziato che quelle due condotte si inseriscono nell’ambito di numerose altre condotte distrattive effettuate in favore di altr soggetti. Va, soprattutto, evidenziato che quelle due specifiche operazioni non sono contestate nell’ambito del presente procedimento e, dunque, il contrasto potrebbe essere posto solo in termini generici e non strettamente giuridici, nel senso che, in un processo, viene contestato una condotta che ha «arrecato danno» alla “RAGIONE_SOCIALE” in favore delle altre due società e, nell’altro, una diver condotta che ha arrecato danno a queste ultime, avvantaggiando la “RAGIONE_SOCIALE“.
In termini così generici, tuttavia, non può configurarsi alcun effettivo contrasto di giudicati, mancando l’identità dei “fatti”. Nel nostro ordinamento processuale, invero, la sentenza passata in giudicato ha un’efficacia preclusiva soltanto nei confronti del medesimo imputato e quanto al medesimo fatto.
Va rilevato, peraltro, che non sembra sussistere contrasto neppure sotto il profilo meramente logico: nulla esclude che, nel corso del tempo, gli imputati possono avere assunto atteggiamenti diversi nei confronti delle società da loro gestite, in considerazione delle loro convenienze personali. Dalla sentenza di primo grado, infatti, emerge che le condotte assunte dagli imputati nell’ambito delle varie società da loro gestite avevano quale finalità ultima quella di “svuotarle”, dirottandone le risorse in loro favore e in favore di COGNOME NOME (come evidenziato, seppur in maniera sintetica, dalla stessa Corte di appello). Le decisioni prese dagli imputati nell’ambito delle società da loro gestite – ora in favore
dell’una, poi in favore dell’altra -, dunque, ben potevano trovare giustificazione nel fine ultimo da loro perseguito.
3.2. Il secondo motivo è inammissibile per i motivi già esposti nella parte della sentenza nella quale è stato analizzato il primo motivo del ricorso del COGNOME, alla quale si rinvia.
3.3. Il terzo motivo è inammissibile per i motivi già esposti nella parte della sentenza nella quale è stato analizzato il secondo motivo del ricorso del COGNOME, alla quale si rinvia.
3.4. Il quarto motivo è inammissibile.
Anche con riferimento alla posizione del COGNOME, va rilevato che dall’incontestata sintesi dei motivi di appello, per come riportata nella sentenza impugnata, e dallo stesso atto di appello – non risulta che il deducente avesse formulato doglianze in ordine al tema dedotto con il ricorso in cassazione.
Anche il ricorso del COGNOME, nel motivo relativo alla recidiva, risulta, dunque, inedito e, anche con riferimento alla posizione di tale ricorrente, va rilevato che la richiesta di prescrizione avanzata dalla difesa con la memoria scritta risulta infondata, atteso che, anche a non voler tener conto della recidiva, il termine massimo di prescrizione, comunque, risulterebbe decorso solo nel luglio 2028.
Al rigetto dei ricorsi, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., l condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Nulla può essere liquidato per le spese sostenute dalla parte civile, atteso che essa, sostanzialmente, si è limitata a chiedere la conferma della decisione impugnata con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi d’impugnazione proposti (cfr. Sez. U., n. 877 del 14 luglio 2022, COGNOME).
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese della parte civile. Così deciso, il 14 giugno 2024.