Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37087 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37087 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a BERGAMO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CLUSONE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/12/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Sostituto Procuratore Generale COGNOME
che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso presentato dall’imputato ricorrente COGNOME NOME e il rigetto del ricorso presentato dall’imputato ricorrente COGNOME NOME.
uditi i difensori:
l’avvocato NOME COGNOME, che si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento insistendo per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato; l’avvocato NOME COGNOME insiste nell’accoglimento del ricorso.
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RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Genova, in parziale riforma della decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Savona il 17.02.2021, ha ridotto la pena inflitta nei confronti di NOME COGNOME, portandola ad anni tre e mesi due di reclusione. Ha confermato nel resto la decisione del Tribunale, in particolare la condanna del coimputato NOME COGNOME alla pena di anni quattro di reclusione e di entrambi alle pene accessorie fallimentari per la durata di anni cinque, oltre che al risarcimento del danno alla parte civile costituita (il fallimento RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore fallimentare).
Gli imputati sono stati dichiarati responsabili dei reati di:
concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo 1), per la distrazione della somma di 110.000 euro (poi rideterminata in 102.000 euro) e di quella di 72.000 euro circa, dalle casse della fallita società RAGIONE_SOCIALE di cui entrambi erano stati amministratori di fatto (insieme ad un terzo coimputato, NOME COGNOME, la cui posizione è stata definita separatamente) e COGNOME anche amministratore di diritto sino alla data del fallimento, dichiarato il 18.10.2013;
concorso in bancarotta fraudolenta documentale, per avere tenuto i libri sociali, il libro inventario e il libro giornale in modo incompleto e in alcuni casi no veridico, annotando crediti o uscite inesistenti e pagamenti in relazione ai quali non era possibile risalire ai beneficiari.
Avverso la citata sentenza d’appello hanno proposto distinti atti di ricorso gli imputati, tramite i rispettivi difensori di fiducia.
Il ricorso di NOME COGNOME si compone di sei distinti motivi di censura.
3.1. Il primo argomento di critica eccepisce violazione di legge processuale e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’omessa rinnovazione degli atti in seguito al mutamento del collegio nel corso del processo di primo grado, denunciando la nullità assoluta della sentenza emessa e il suo omesso rilievo.
Il ricorrente eccepisce di non avere prestato alcun consenso implicito all’utilizzabilità delle prove raccolte dal collegio in diversa composizione, come invece affermato dalla Corte d’Appello nella sentenza impugnata, poiché la difesa aveva solo preannunciato di consentire alla rinnovazione mediante lettura.
3.2. La seconda ragione difensiva rappresenta violazione di legge con riguardo all’art. 2639 cod. civ. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza con cui si è affermata la qualifica di amministratore di fatto del ricorrente.
In particolare, si contesta il salto logico che ha condotto la Corte territoriale a ricavare la qualità gestoria principalmente dall’essere stato presente l’imputato alla stipula del contratto di affitto di ramo d’azienda il 1 marzo 2011, nonché la mancata verifica dell’attendibilità dei due testimoni “assistiti”, perché coimputati, NOME COGNOME e NOME COGNOME; inoltre, sarebbe illogico anche ricavare la capacità gestionale dall’interesse diretto dell’imputato nella gestione aziendale, connesso alla sua diversa qualità di socio della fallita, e dalla sua presenza con cadenze fisse presso la sede della società. Anche le testimonianze agli atti del processo – che vengono sinteticamente ripercorse nel ricorso – non avvalorano la tesi della qualifica di amministratore di fatto attribuita al ricorrente, né questa può desumersi dal percepimento sporadico di somme di danaro dalle casse societarie. Mancherebbe quella continuità e significatività della gestione di fatto che costituiscono gli indicatori giurisprudenziali della qualità di amministratore in capo a chi non sia formalmente tale.
3.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione di legge in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva, in particolare lamentando violazione di legge e vizio di manifesta illogicità della motivazione con cui si è affermata la colpevolezza dell’imputato per il delitto di bancarotta distrattiva.
Si contesta la natura distrattiva delle operazioni e la determinazione del loro ammontare, che il ricorrente ritiene non adeguatamente spiegata dai giudici d’appello, nonostante il preciso motivo di impugnazione cui non si è data sufficiente risposta.
Soprattutto si rappresenta la sussistenza di una giustificazione economica degli esborsi in favore di NOME COGNOME, a seguito della stipula del contratt di affitto di azienda, necessario alla sopravvivenza della società poi fallita.
3.4. Il quarto motivo di ricorso eccepisce violazione di legge e vizio di manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in relazione alla qualificazione delle condotte descritte al capo 2 dell’imputazione nell’alveo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, nonché mancanza di motivazione quanto all’elemento soggettivo del reato contestato.
Il ricorrente lamenta l’omessa risposta della Corte d’Appello al motivo di impugnazione con cui si criticava la sussistenza del ritenuto reato previsto dalla seconda parte dell’art. 216, primo comma, n. 2, I. fall., là dove si sarebbe dovuto ragionare in termini di bancarotta fraudolenta documentale prevista dalla prima parte di tale disposizione, che presuppone il dolo specifico di voler recare pregiudizio ai creditori, non esplorato dalla sentenza impugnata, che si limita a richiamare quella di primo grado sul punto.
3.5. La quinta ragione difensiva eccepisce violazione di legge e manifesta illogicità della sentenza impugnata ancora in relazione alla condanna del ricorrente
per il delitto di cui al capo 2, sostenendo la tesi della configurabilità, in base al prove in atti, di una mera ipotesi di bancarotta semplice documentale, in ragione della breve vita della società fallita (costituita meno di tre anni prima del fallimento). In ogni caso, si contesta l’approssimazione con cui si è ritenuto sussistente il reato, senza specificare di quali libri e scritture contabili si lame l’irregolare tenuta e facendo un mero riferimento apodittico alla circostanza che tale irregolare tenuta abbia impedito la corretta ricostruzione del patrimonio sociale, in mancanza di un accertamento in tal senso da parte della stessa curatrice fallimentare.
3.6. Il sesto motivo di ricorso ha dedotto violazione di legge e mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla commisurazione della pena (sia di quella principale che di quella accessoria). La difesa lamenta l’omesso riferimento ai parametri di legge per la determinazione del trattamento sanzionatorio e l’irragionevolezza di tale determinazione rispetto alla diminuita dosimetria per il coimputato COGNOME, che avrebbe avuto un ruolo di maggior peso nella vicenda criminale, essendo stato anche l’amministratore formale della società fallita. In ogni caso, non vi è stata alcuna risposta al preciso motivo d’appello formulato riguardo al trattamento sanzionatorio inflitto al ricorrente, ritenuto eccessivo e immotivato, anche con riguardo alla quantificazione delle pene accessorie.
Il ricorso di NOME COGNOME si struttura in un unico motivo.
La difesa rileva violazione di legge e vizio di motivazione contraddittoria quanto all’eccezione processuale di nullità assoluta della sentenza, sollevata con il motivo d’appello e relativa all’omessa notifica all’imputato del decreto di rinvio d’ufficio fuori udienza del processo (datato 14.04.2020), in ragione dell’epidemia da COVID 19.
Il decreto è stato notificato soltanto al difensore d’ufficio nominato ex art. 97, comma 1, cod. proc. pen. e a lui per conto dell’imputato ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen., in spregio degli orientamenti di legittimità che imponevano la notifica all’imputato se assistito da un difensore d’ufficio (si cita Sez. 4, n. 45605 del 13/12/2021).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi sono fondati, per le ragioni che si indicheranno di seguito.
Il ricorso di NOME COGNOME è centrato nelle ragioni relative alla contestazione dell’affermazione di responsabilità per i reati contestatigli.
2.1. Il primo motivo di critica, di ordine processuale, non può essere condiviso.
L’eccezione di nullità per omessa rinnovazione degli atti in seguito al mutamento del collegio nel corso del processo di primo grado non tiene conto del fatto che la difesa, anche volendo prendere atto che avesse solo preannunciato di consentire alla rinnovazione degli atti dinanzi al nuovo collegio mediante loro lettura (la sentenza impugnata ha invece riportato un vero e proprio consenso prestato), non ha comunque eccepito alcuna obiezione al momento della chiusura dell’istruttoria dibattimentale con dichiarazione di utilizzabilità degli atti.
La mancata opposizione, soprattutto se, come nel caso di specie, accompagnata da una preliminare indicazione difensiva di consenso alla rinnovazione, è, infatti, un chiaro indice di tale consenso all’utilizzabilità (cfr., altra fattispecie, Sez. 2, n. 4940 del 12/12/2016, dep. 2017, Amato, Rv. 268988 – 01), che può essere anche implicito, per fatti concludenti, se inequivoco (Sez. 3, n. 17692 del 14/12/2018, dep. 2019, Rv. 275172 – 01).
Si tratta, invero, di far valere un diritto su istanza di parte che, qualora non azionato, non può essere riproposto come causa di nullità.
Anche la nuova norma di cui all’art. 495, comma 1-ter, cod. proc. pen., del resto – pur se nata quasi come “reazione” al diritto vivente che aveva stabilito la regola, in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, della non necessità del consenso delle parti alla lettura degli atti già assunti dal giudice di originaria composizione in relazione agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non richiesta, non ammessa o non più possibile (Sez. U, n. 41736 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 276754 – 03) – ragiona in termini di diritto potestativo su istanza di parte.
2.2. Il secondo motivo è fondato.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, la qualità di amministratore di fatto, che consente la riferibilità dei reati di bancarotta a chi non rivesta qualifiche formali all’interno della società fallita, non richiede l’esercizio di tutti i poteri dell’organo di gestione, essendo necessaria e sufficiente una significativa e continua attività gestoria o cogestoria, svolta in modo non episodico o occasionale, anche solo in specifici settori, pur se non interessati dalle condotte illecite, tale da fornire indici sintomatici dell’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus”, nell’assetto societario (cfr., tra le molte, Sez. 5, n. 2514 del 04/12/2023, dep. 2024, Commodaro, Rv. 285881 – 01; Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, Desiata, Rv. 283850 – 01).
Il COGNOME relativo accertamento della COGNOME presenza di elementi COGNOME sintomatici dell’inserimento organico, pur se non formalizzato, del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, costituisce oggetto di una valutazione di fatt
insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (cfr., tra le più recenti massimate, Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Bonelli, Rv. 277540 – 01).
Deve aversi riguardo, infatti, alle qualità sostanziali e alle concrete funzioni esercitate nell’azienda e non alle qualifiche formali per individuare i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 I. fall. (ex multis, Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, Fontani, Rv. 279497 – 01).
Ciò posto, nel caso di specie, la sentenza impugnata, pur dedicando la dovuta attenzione all’analogo motivo di appello e indicando alcuni elementi di fatto sicuramente rilevanti per la verifica del ruolo gestorio del ricorrente (cfr. pag. 10, ove si spiega che alcuni testimoni hanno riferito che la società era riferibile al ricorrente, nonché si evoca il pagamento di obbligazioni personali contratte con la controparte del contratto di affitto di azienda COGNOME), sbaglia nella prospettiva entro cui si muove, facendo riferimento all’interesse personale e diretto nella gestione della società da parte dell’imputato nella sua qualità di socio.
Bisogna distinguere, infatti, tra capacità gestoria e interesse alla gestione dell’ente di cui si è soci.
La prima non può essere desunta, neppure in parte, dalla qualità di socio, poiché quest’ultimo ha tutto il diritto di interessarsi della gestione, parteciparvi osservandola direttamente e criticarla, senza per questo dovere essere ritenuto coinvolto, di fatto e automaticamente, nell’amministrazione della società, sotto il profilo della responsabilità connessa alla capacità di guida, direzione e scelta aziendali.
Neppure è determinante la presenza fissa in azienda del socio che, di per sé, non è a sua volta indicativa di capacità gestoria ma di puro, giustificato interesse alla vita della società.
Senza dubbio può rilevare il compimento di operazioni dispositive dei ricavi di cassa (cfr. pag. 11), ma la commissione di eventuali condotte rilevanti ai fini della bancarotta fraudolenta distrattiva può essere valutata sotto l’egida non soltanto del reato proprio, quale amministratore di fatto, bensì anche quale concorso dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore, di fatto o di diritto che sia, e non giustifica tout court l’attribuzione del ruolo gestorio.
Dunque, COGNOME l’analisi COGNOME degli COGNOME elementi COGNOME concreti COGNOME recuperati COGNOME dall’istruttoria dibattimentale deve essere supportata dalla logica che deriva dai richiamati orientamenti di legittimità in tema di individuazione della qualità di amministratore di fatto, sgombrando il campo dall’equivoco, che traspare dalla sentenza impugnata, di volere abbinare tale qualifica all’esercizio di prerogative proprie del socio e del tutto legittime.
2.3. Il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, dedicati a contestare l sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione sotto il profilo oggettivo e del reato di bancarotta fraudolenta documentale – agitando sia la mancata verifica del coefficiente del dolo specifico che la possibilità di configurare un’ipotesi di bancarotta semplice, non adeguatamente esplorata – sono ovviamente coinvolti nell’annullamento che deriva dalla centralità del nuovo giudizio sulla qualità soggettiva di amministratore di fatto del ricorrente.
Tuttavia, è necessario segnalare come colga nel segno la censura riferita alla necessità di rieditare la sequenza ricostruttiva logico-fattuale del meccanismo distrattivo da parte dei giudici di merito.
Le distrazioni sono descritte a pag. 4 e a pag. 12 della sentenza impugnata, là dove per quelle ammontanti a circa 110.000 euro si argomenta sulla base del fatto che non erano specificati i fornitori ai quali le elargizioni erano destinate da parte della società fallita, mentre per quelle ammontati a circa 72.000 euro si evidenzia come la causale giustificativa non sia stata ritrovata, non risultando dalla contabilità.
I giudici di appello ritengono, in proposito, che non avrebbe rilievo la circostanza, invocata dalla difesa, che le somme ritenute distratte siano state destinate a pagare il debito sorto in favore di NOME, in forza del contratto preliminare prodromico al contratto di affitto di azienda del 01.03.2012 stipulato dalla fallita e solo in parte da questo ripreso; ciò perché le operazioni negoziali erano state stipulate tra singole persone fisiche e non coinvolgevano la società poi fallita (non succeduta nella titolarità del preliminare), dalla quale, di contro, s facevano uscire le risorse economiche per l’operazione.
Se, infatti, la destinazione delle somme è avvenuta in favore della controparte del contratto di affitto di azienda, certamente riferibile alla fallita, allora non p ritenersi che le dazioni configurino operazioni estranee alla società fallita.
Sia per chiarire tale punto, dunque, sia per superare le imprecisioni concettuali (contenute a pag. 13 della sentenza impugnata) tra il dolo, specifico o generico, del reato di bancarotta fraudolenta documentale, a seconda che sia configurata la prima piuttosto che la seconda delle due fattispecie criminose previste dall’art. 216, primo comma, n. 2 I.fall. (in tema, cfr., per tutte, da ultimo Sez. 5, n. 42546 del 07/11/2024, Cocozza, Rv. 287175 – 01, nonchè Sez. 5, n. 6556 del 22/11/2024, dep. 2025, non mass.), è necessario disporre l’annullamento anche sotto il profilo parallelo a quelli già enunciati della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale: andranno chiarite le condotte accertate e, rispetto a queste, dovrà essere dichiarato il corretto inquadramento della fattispecie nella disposizione incriminatrice, seguendo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità richiamata.
6 COGNOME
ok
L’analisi condotta determinerà, automaticamente, la valutazione anche della questione sottoposta alla Corte di cassazione nel quinto motivo di ricorso e relativa alla richiesta di riconfigurare il reato in quello previsto dall’art. 217 I. f (bancarotta semplice documentale).
2.4. Il motivo relativo al trattamento sanzionatorio è da ritenersi assorbito.
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato.
3.1. Il Tribunale, all’udienza del 16.11.2019, ha rigettato l’eccezione proposta dal difensore di ufficio del ricorrente, relativa all’omessa notifica all’imputato, ne domicilio dichiarato, del decreto con cui il Tribunale aveva disposto, in data 14.04.2020 e fuori udienza, il rinvio d’ufficio dell’udienza per l’emergenza epidemiologica da COVID 19.
Le argomentazioni hanno fatto leva sulle affermazioni di Sez. 2, n. 8729 del 12/11/2019, dep. 2020, Libri, Rv. 278426 – 01, secondo cui il decreto con il quale, ai sensi dell’art. 465 cod. proc. pen., è disposta l’anticipazione o il rinvio de dibattimento fuori udienza non deve essere notificato personalmente all’imputato, già dichiarato contumace o assente, essendo sufficiente la notifica al difensore che lo rappresenta.
Tuttavia, la disciplina prevista per le posizioni di assenza, quale è quella dell’imputato nel caso concreto, deve essere raccordata con le regole delle notifiche processuali, di natura peculiare, introdotte dal legislatore durante il periodo della pandemia da COVID 19.
La disposizione di cui al comma 13 dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020 stabilisce che: “Le comunicazioni e le notificazioni relative agli avvisi e ai provvedimenti adottati nei procedimenti penali ai sensi del presente articolo, nonché dell’articolo 10 del decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, sono effettuate attraverso il Sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali ai sensi dell’articolo 16 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o attraverso sistemi telematici individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia.
Il comma 14 del citato art. 83 prevede che le comunicazioni e le notificazioni degli avvisi e dei provvedimenti indicati al comma 13 – ovverosia quelli inerenti ai processi penali di cui sia disposta la sospensione ex lege, ai sensi dei commi 1 e 3 del medesimo articolo – agli imputati e alle altre parti sono eseguite mediante invio all’indirizzo di posta elettronica certificata di sistema del difensore di fiducia, ferm restando le notifiche che per legge si effettuano presso il difensore d’ufficio.
Come ha condivisibilmente notato Sez. 4, n. 45605 del 2021, la disciplina eccezionale derogatoria delle disposizioni di cui all’art. 148 cod. proc. pen.
giustificata dall’emergenza pandemica Covid-19, che estende all’imputato la disciplina di cui all’art. 16, comma 4 d.l. 179/2012, conv con mod. nella I. 221/2011 comporta un’evidente semplificazione degli adempimenti, rivolta a ridurre tutte le attività processuali, non solo di giudici ed avvocati, ma anche del personale amministrativo che deve assicurare materialmente le attività necessarie per la celebrazione del processo.
In gioco vi erano, infatti, le garanzie della piena difesa dell’imputato e delle parti private e, di contro, la salute di tutti coloro che partecipano o assicurano la celebrazione del giudizio.
L’invio delle comunicazioni o notificazioni al solo difensore anziché anche all’imputato si legittima, tuttavia, allorquando si tratti di difensore di fiduc espressamente prevedendo il mantenimento delle modalità ordinarie nelle ipotesi in cui l’imputato sia difeso da difensore nominato di ufficio.
In questo senso, infatti, è ragionevole intendere la clausola di salvezza posta dall’ultima parte della disposizione di cui al comma 14 dell’art. 83, appena richiamato (“ferme restando le notifiche che per legge si effettuano presso il difensore d’ufficio”).
L’opzione normativa, in tal modo, trova una sua razionale attuazione facendo perno sul rapporto fiduciario che lega l’imputato al difensore dal medesimo nominato, che consente di limitare il suo diritto personale all’informazione processuale, in una situazione straordinaria come quella pandemica.
L’assenza di un rapporto fiduciario con il difensore impone, nel bilanciamento degli interessi in gioco, il mantenimento delle ordinarie modalità di comunicazione e notificazione nei confronti dell’imputato privo del difensore di fiducia.
Ne consegue che la comunicazione del rinvio dell’udienza, ai sensi dell’art. 83, comma 1 d.l. 18/2020, a data successiva al 15 aprile 2020, all’imputato privo di difensore di fiducia doveva essere fatta secondo le regole ordinarie, altrimenti generandosi una nullità a regime intermedio (cfr. in tal senso, sebbene con riguardo alla disposizione di cui all’art. 1, comma 1, del d.l. 8 marzo 2020 n. 11, la cui ratio è la medesima che informa l’art. 83, comma 1 del d.l. 18/2020, si è espressa già Sez. 5, n. 27903 del 09/04/2021, R., Rv. 28160).
3.2. Nel caso di specie, il rinvio d’ufficio dell’udienza fissata non è stato notificato all’imputato non munito di difensore di fiducia ma soltanto al suo difensore di ufficio, nominato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen., sicché la sentenza pronunciata nei suoi confronti è affetta da nullità, non sanata poiché dedotta, dal difensore di ufficio stabilmente nominato ex art. 97, comma 1, cod. proc. pen., nei termini di cui all’art. 180 cod. proc. pen., all’udienza del 16.11.2020 (come accertato dal Collegio che, data la natura del vizio, ha avuto accesso agli atti).
Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata e di quella di primo grado, con restituzione degli atti al Tribunale di Savona per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e quella di primo grado nei confronti di COGNOME NOME, disponendosi la trasmissione degli atti al Tribunale di Savona, per l’ulteriore corso.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Genova.