Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8922 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8922 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/06/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME COGNOME, che ha chiesto l’annullamento con rinvio limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto;
lette le conclusioni del Difensore, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha riformato solo sotto il profilo sanzionatorio la pronuncia con la quale il Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Milano, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato NOME COGNOME per fatti di bancarotta contestatigli come commessi nella veste di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita in data 8 febbraio 2018.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con atto sottoscritto dal difensore AVV_NOTAIO, articolando i motivi di seguito enunciati negli stretti limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della qualità di amministratore di fatto in capo al ricorrente.
La Corte di appello avrebbe errato nell’applicazione dell’art. 2639 cod. civ. ed avrebbe reso una motivazione palesemente illogica.
Da un lato la Corte territoriale ha ritenuto che il ricorrente abbia svolto il ruolo gestorio per un periodo molto lungo, di circa 20 anni, nonostante il parziale contemporaneo impegno nella gestione di un bar per alcuni anni; nondimeno, ha ritenuto sintomatici della posizione di gestore di fatto alcuni indici sporadici ed occasionali che, se letti in rapporto al lungo periodo di cui discorre la Corte, perdono ogni consistenza.
Il primo elemento è la procura rilasciata a favore del ricorrente: procura che, quali che fossero i poteri conferiti, non fornisce alcuna prova dell’avvenuto esercizio dei poteri tipici dell’amministratore.
Il secondo elemento è costituito dall’avere l’imputato proceduto a tre licenziamenti individuali: tre singoli episodi nell’arco di un tempo così lungo come quello indicato dalla Corte territoriale sono di per sé non significativi; in ogni caso, si trattava di poteri tipicamente conferiti dalla procura (il cui contenuto si trae dalla visura allegata al ricorso) e corrispondenti alle funzioni di direttore del personale svolte dal ricorrente.
Infine, la Corte ha valorizzato dichiarazioni di tre dipendenti della società che, nel corso del tempo, ne ha impiegato centinaia. In ogni caso, anche le dichiarazioni di quei pochi dipendenti sarebbero state travisate (sicché, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, la difesa allega i verbali contenenti le dichiarazioni) giacché generiche affermazioni come quella secondo
la quale il COGNOME era «persona di riferimento» non bastano a delineare in modo sufficiente i contorni dell’amministratore di fatto.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, astrattamente possibili in ragione della misura della pena inflitta e della circostanza che i precedenti penali dell’imputato sono condanne a pena pecuniaria.
Sul punto la Corte avrebbe reso una motivazione apodittica, attraverso un inconferente riferimento all’ostatività dei precedenti.
Il Procuratore generale ha concluso per iscritto chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con declaratoria di inammissibilità del ricorso nel resto.
Il Difensore ha concluso per iscritto insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Come è noto, «la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive – in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare – il quale costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione» (Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269101; conf. Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283850; Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Cimoli, Rv. 280550; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497; Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, COGNOME, Rv. 279040).
Ed è pure vero che la prova della qualifica di amministratore di fatto «può trarsi anche dal conferimento di una procura generale “ad negotia”, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, sia sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale» (Sez. 5, n. 2793 del 22/10/2014, dep. 2015, Senneraro, Rv. 262630), purché naturalmente non ci si limiti a considerare il contenuto della procura, senza
verificare che vi sia stato svolgimento effettivo dell’attività che la procura autorizzava a compiere (cfr. Sez. 5, n. 4865 del 25/11/2021, dep. 2022, Capece, Rv. 282775).
Alla luce dei richiamati principi, sul punto la sentenza è esente da rilievi.
Per quanto attiene al vizio di violazione di legge, va ricordato che l’art. 2639 cod. civ. la cui errata interpretazione viene dedotta dal ricorrente, prevede la figura di colui che «esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione». La Corte di appello ha giustificato l’affermazione circa l’esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici dell’amministratore, da parte del ricorrente, attraverso il riferimento ad una procura che è stata utilizzata per compiere operazioni per conto della società sin dal 1997 e fino al 2017; dal fatto che l’imputato nelle comunicazioni esterne si firmava appunto quale “procuratore” e non quale “direttore del personale”, a dimostrazione di un rivendicato ruolo di rappresentanza piena della società; dal fatto che dal 2004 in avanti, e dunque per un periodo molto significativo, tra i poteri attribuitigli non vi erano soltanto quelli, tipici di chi dirige il personale, d quali parla il ricorso, bensì anche i poteri relativi all’acquisto e vendita di automezzi della società.
Accanto a ciò, la Corte ha valorizzato le dichiarazioni di alcuni dipendenti, che – valutate in modo non parcellizzato ma unitamente alle considerazioni appena svolte con riguardo alla procura speciale ed alle operazioni gestorie realmente compiute – sono sintomatiche dello svolgimento significativo, da parte del ricorrente, di mansioni più ampie rispetto a quelle del direttore del personale, mansioni che hanno portato i predetti lavoratori a ritenere il COGNOME un vero e proprio amministratore, al pari degli altri due soci. Infine, la Corte ha valorizzato la circostanza che i medesimi tre soci abbiano costituito altre due società e che l’amministrazione di tutte e tre le società fosse gestita dalle stesse persone, al punto da giungere all’affermazione secondo la quale, manifestatosi lo stato di insolvenza della società poi fallita, vi sia stata una vera e propria sostituzione di quella società con altre due dotate della medesima compagine.
Non sussiste dunque nemmeno il dedotto vizio di motivazione.
Il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti né l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:
l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;
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l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
Con l’ulteriore precisazione, quanto alla l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, che deve essere evidente (“manifesta illogicità”), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074).
Ed allora, la valutazione che la Corte di cassazione è chiamata a fare non concerne la maggiore o minore capacità persuasiva delle fonti di prova citate dal ricorrente rispetto a quelle valorizzate dal giudice del merito, e nemmeno la corretta lettura che a tali ultime fonti di prova il giudice del merito abbia dato, salvo il caso del travisamento della prova.
Tale ultimo vizio vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazion nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370).
Anche da questo punto di vista il motivo di ricorso non può essere accolto.
Anzitutto, le dichiarazioni dei testi non sono state “travisate”, nel senso che il contenuto delle deposizioni non è stato mal riportato ovvero misconosciuto dalla Corte di appello e ciò che il ricorrente invoca è una diversa loro lettura. Per esempio, l’apprezzamento del verbale delle dichiarazioni di NOME COGNOME, reso possibile dalla sua allegazione ad opera del ricorrente che ne deduce il travisamento, consente di verificare che la Corte di appello ha effettivamente attribuito alle dichiarazioni il “significante” che le stesse avevano, laddove ha riportato le parole esatte del dichiarante, corrispondenti a quanto verbalizzato, nel senso che le tre società erano gestite dal medesimo ufficio amministrativo e che l’imputato era “persona di riferimento”.
Quel che il ricorrente chiede, dunque, è che la Corte di cassazione censuri il significato probatorio attribuito alle dichiarazioni, ma ciò esula dai limiti del travisamento della prova.
In altra parte il ricorso invoca un travisamento per omissione, laddove accusa la Corte di appello di aver preternnesso l’esame di altre dichiarazioni, tra le quali cita quelle del teste NOME COGNOME. Ebbene, anche in tal caso il
travisamento della prova non è riscontrabile, perché si omette di dimostrare la decisività delle dichiarazioni asseritamente pretermesse dall’orizzonte motivazionale del giudice, cioè la loro idoneità a travolgere il risultato probatorio raggiunto attraverso le ulteriori richiamate fonti di prova.
È fondato il secondo motivo, limitatamente al punto della decisione relativo alla sospensione condizionale della pena.
La Corte di appello, dopo avere dato atto della richiesta dei benefici di legge previa rideterminazione del trattamento sanzionatorio, ha apoditticamente affermato che «i precedenti impediscono la concessione dei benefici di legge».
Come è evidenziato nel ricorso (e nel certificato del casellario ad esso allegato, in ossequio al principio di autosufficienza), l’imputato è gravato da due precedenti condanne per omesso versamento di ritenute in relazione a condotte collocabili nel 2012-2013, con riferimento alle quali la pena della reclusione è stata convertita in pena pecuniaria (eseguita). L’art. 57, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nel disciplinare gli effetti delle pene sostitutive, stabilisce che la pena pecuniaria si considera sempre tale, anche se sostitutiva di quella detentiva. Da ciò consegue che la condanna alla reclusione, sostituita con la pena pecuniaria, non è ostativa ai fini della sospensione condizionale della pena (Sez. 1, n. 1006 del 03/02/1999, COGNOME Vivo, Rv. 213014).
In applicazione di tale regola, nel caso di specie, il giudice di merito non poteva limitarsi ad affermare che i precedenti penali ostano alla concessione della sospensione condizionale, dovendo, piuttosto, formulare una specifica valutazione prognostica di presumibile futura non astensione dell’imputato dalla commissione di altri reati (Sez. 7, n. 37402 del 30/06/2016, COGNOME, Rv. 267951).
La semplice ed assertiva affermazione secondo la quale «i precedenti ostano» non permette infatti di scorgere una valutazione della Corte di appello circa la concreta attitudine di quei precedenti a fondare una prognosi negativa sulla futura astensione dell’imputato dalla commissione di nuovi delitti (ciò che appunto impedirebbe l’applicazione del beneficio della sospensione condizionale, invocato nell’atto di appello in via subordinata rispetto all’accoglimento dei motivi sulla responsabilità), ed appare piuttosto espressione di una ritenuta incompatibilità astratta dei precedenti giudiziari con la concessione, per la prima volta, della sospensione condizionale.
Sul punto specifico il motivo merita dunque accoglimento e la sentenza va annullata.
All’orientamento secondo il quale «l’omessa pronuncia della Corte d’appello sulla richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena determina l’annullamento della sentenza con rinvio, non potendo la Corte di cassazione operare una valutazione che involga questioni di merito, anche con riferimento al giudizio prognostico di cui all’art. 164 cod. pen.» (Sez. 4, n. 465 del 14/10/2021, dep. 2022, Catabbo, Rv. 282562) si affianca l’orientamento che ammette la possibilità di ricorrere all’annullamento senza rinvio, purché dalla sentenza impugnata una prognosi positivamente formulata in tal senso: «In tema di sospensione condizionale della pena, ove nella sentenza di appello il giudizio prognostico di ricaduta nel reato non sia espresso in modo esplicito, ma dal percorso argonnentativo emerga con chiarezza la prognosi effettuata dal giudice, la Corte di cassazione può fare ricorso ai poteri conferiti dall’art. 620, lett. I), cod. proc. pen., mentre si impone l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito quando nella motivazione non vi siano elementi utili per la concessione del beneficio in sede di legittimità» (Sez. 2, n. 17010 del 17/03/2022, NOME, Rv. 283114).
Nel caso di specie, l’annullamento va dunque disposto con rinvio.
Il medesimo motivo è invece manifestamente infondato laddove si riferisce alla non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale: alla concessione del beneficio, infatti, osta la semplice presenza di precedenti condanne (cfr. art. 175 cod. pen.).
In definitiva, la sentenza va annullata con rinvio, sul solo punto della decisione inerente la sospensione condizionale della pena.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso
Così deciso il 08/02/2024