Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7353 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7353 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 27/09/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a SAN NOME VESUVIANO il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a SAN NOME VESUVIANO il DATA_NASCITA
ANNUNZIATA CONCETTA NOME a TERZIGNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/05/2022 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO AVV_NOTAIOCOGNOME, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, e le conclusioni trasmesse nell’interesse dei COGNOME, con le quali si insiste per l’accoglimento del ricorso
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 18 maggio 2022 la Corte d’appello di Napoli, salvo rideterminare la durata delle pene accessorie fallimentari, ha confermato la decisione di primo grado che aveva condanNOME alla pena di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, i primi due quali amministratori di fatto, la terza nella qualità di liquidatrice dal 20 febbraio 2008 sino dalla data del fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita in data 27 giugno 2013, in relazione ai delitti di cagionamento con operazioni dolose del dissesto della società e di bancarotta fraudolenta documentale.
Nell’interesse degli imputati sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione, affidato ai motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
3.1. Con il primo motivo si lamenta violazione degli artt. (503, comma 2, e 495, comma 1, cod. proc. pen., e correlato vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale disatteso la richiesta di rinnovazione istruttoria formulata già con l’atto di appello, al fine di acquisire, ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., la sentenza del 15 ottobre 2019 del Tribunale di Noia, divenuta irrevocabile in data 3 marzo 2020, con la quale era stato escluso che i germani COGNOME avessero ricoperto il ruolo di amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, ossia di due società che, secondo la prospettazione accusatoria, avrebbero fatto parte del cd. RAGIONE_SOCIALE la cui composizione era stata posta dalle sentenze di primo e di secondo grado del presente procedimento a fondamento della ricostruzione che aveva condotto all’affermazione di responsabilità dei ricorrenti.
Con i motivi nuovi era stata richiesta anche l’acquisizione: a) della sentenza del Tribunale di Nola del 2 luglio 2020, divenuta irrevocabile in data 16 novembre 2020, la quale aveva del pari escluso che i germani COGNOME avessero assunto il ruolo di amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE e, prima ancora, RAGIONE_SOCIALE, ossia della società che sarebbe stata al vertice del menzioNOME RAGIONE_SOCIALE; b) della annotazione di p.g. del 6 novembre 2014, redatta dal maresciallo COGNOME, e dell’allegato verbale di s.i.t. rese da NOME COGNOME, dalle quali risultava l’assenza del ruolo di amministratori di fatto dei COGNOME, come pure del provvedimento del 31 aprile 2010, con il quale il Tribunale fallimentare di Nola aveva rigettato la richiesta di
estensione del fallimento di una delle società del cd. RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, ai fratelli COGNOME, quali amministratori di fatto.
Osservano i ricorrenti che venendo in rilievo «prove nuove», in quanto sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, il criterio di giudizio che la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare, per decidere in ordine alla richiesta di rinnovazione istruttoria, era quello di cui all’art. 603, comma 2, cod. proc. pen. e non quello di cui al precedente comma 1, al quale aveva fatto riferimento.
Si aggiunge: a) che le due sentenze appena indicate avevano, con l’autorità di cosa giudicata, accertato che i fratelli COGNOME non erano stati gli amministratori di fatto di tre delle società appartenenti al cd. RAGIONE_SOCIALE, ponendo, fra l’altro, una questione di conflitto tra giudicati, rilevante ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. ipen.; b) che l’annotazione di p.g. sopra ricordata era stata redatta dal maresciallo COGNOME, ossia proprio dall’autore delle dichiarazioni richiamate dalla sentenza impugnata a fondamento dell’affermazione di responsabilità dei ricorrenti.
3.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla ritenuta sussistenza della qualifica di amministratori di fatto dei ricorrenti, tenuto conto: a) che le dichiarazioni di NOME COGNOME, valorizzate dai giudici di merito, oltre ad essere generiche, provenivano da soggetto che solo per un ristretto periodo (dal 2007 al 2008) era stato alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE, per poi lavorare a favore della RAGIONE_SOCIALE, ossia di società per la quale era stato escluso il ruolo di amministratori di fatto dei ricorrenti; b) che le dichiarazioni di NOME COGNOME non provenivano, secondo quanto assunto dalla sentenza impugnata, da un t:este, ma da un coimputato, la cui posizione era stata separatamente definita e, in ogni caso, non consentivano di ricostruire gli indici indicativi del continuativo esercizio di funzioni gestorie da parte dei ricorrenti.
3.3. Con il terzo motivo si lamenta, in via gradata, violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., con riguardo alle sentenze di patteggiamento del Tribunale di Noia del 23 marzo 2011 (rilevante in relazione alle imputazioni di cui ai capi d, f, g (3 e 10 d.lgs. 74 del 2000), h (simulazione di reato) e del 7 dicembre 2010 (rilevante in relazione alle imputazioni di cui ai capi o (art. 4 d.lgs. 74 del 2000), p (art. 10 d.lgs. 74 del 2000 ), q (10-ter d.lgs. 74 del 2000).
Ricorso proposto nell’interesse della COGNOME.
4.1. Con il primo motivo si lamenta violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, rilevando che la contestazione del delitto di
cagionamento del dissesto per operazioni dolose non aveva letteralmente riguardato la COGNOME.
4.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione dell’art. 649 cod. proc. pen., svolgendo considerazioni analoghe a quelle di cui al terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse dei COGNOME.
4.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato senza approfondire la sussistenza nella ricorrente, mera prestanome, di una reale consapevolezza in ordine alla tenuta delle scritture contabili.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO‘AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi e le conclusioni scritte del difensore dei COGNOME
Considerato in diritto
Ricorso proposto nell’interesse dei COGNOME.
1. Il primo motivo di ricorso è fondato, dal momento che, essendo state dedotte prove sopravvenute, il criterio di valutazione che avrebbe dovuto orientare la Corte territoriale non era quello – al contrario valorizzato nella sentenza impugnata – dell’impossibilità di decidere allo stato degli atti, ma quello, tracciato dal comma 2 dell’art. 603 cocl. proc. pen., che rinvia all’art. 495, comma 1 dello stesso codice: quest’ultimo, attraverso il rirvio al comma 1 dell’art. 190, consente di escludere solo le prove vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti.
D’altra parte, il confronto con le risultanze indicate nell’atto di appello era tanto più indispensabile in quanto la sentenza impugnata muove dal presupposto dell’esistenza di un gruppo di società riferibile ai COGNOME che appare, sia pure con riguardo ad alcune di tale società, smentito dalla documentazione della quale i ricorrenti chiedevano l’acquisizione.
L’esigenza di evitare contraddittorietà di giudicati e comunque di affrontare le prospettazioni difensive specificamente dedotte nell’atto di appello avrebbe appunto richiesto, prima ancora che una disamina degli argomenti, una puntuale verifica, alla stregua delle regole processuali sopra ricordate, della richiesta di ampliamento della piattaforma probatoria.
Fondato risulta in conseguenza il secondo motivo nella misura in cui la Corte d’appello, con una motivazione assertiva, omette di confrontarsi con le censure che, anche in relazione al portato delle sentenze delle quali era stata chiesta l’acquisizione, avevano criticato la significatività degli apporti testimoniali valorizzati ai fini dell’affermazione di responsabilità.
Infondato è il terzo motivo del ricorso, dal momento che, in relazione ai reati fiscali di cui alle due sentenze invocate dal ricorrente, questa Corte ha già chiarito: a) che non sussiste la violazione del principio del ne bis in idem (art. 649 cod. proc. pen.), qualora alla condanna per illecito tributario (nella specie per occultamento e distruzione di documenti contabili, previsto dall’art. 10 del d.lgs. n. 74 del 2000) faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispec:ie incriminatrici, richiedendo quella penai- tributaria la impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari, intesa come impossibilità di accertare il risultato economico di quelle sole operazioni connesse alla documentazione occultata o distrutta; diversamente, l’azione fraudolenta sottesa dall’art. 216, primo comma, n. 2, I. fall. si concreta in un evento da cui discende la lesione degli interessi creditori, rapportato all’intero corredo documentale, risultando irrilevante l’obbligo normativo della relativa tenuta, ben potendosi apprezzare la lesione anche dalla sottrazione di scritture meramente facoltative. Inoltre, nell’ipotesi fallimentare la volontà del soggetto agente si concreta nella specifica volontà di procurare a sé o ad altro ingiusto profitto o, alternativamente di recare pregiudizio ai ai creditori, finalità non presente nella fattispecie fiscale (Sez. 5, n. 16360 del 01/03/2011, Ronnele, Rv. 250175 – 01; per l’ammissibilità del concorso tra le due fattispecie incriminatrici, v. Sez. 5, n. 11049 del 13/11/2017, dep. 2018, Ghelli, Rv. 272839 – 01); b) che integra il delitto di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose previsto dall’art. 223, secondo comma, n. 2), I. fall., l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto e dei contributi previdenziali e assistenziali che abbia causato il dissesto della società, potendo il reato fallimentare concorrere con quello tributario e con quello previdenziale in ragione della diversità sia dei beni tutelati sia della struttura dei reati (Sez. 5, n. 30735 del 05/04/2019, Cassano, Rv. 276996 – 01, con principi estensibili alla generalità dei casi nei quali si ponga il problema delle conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni tributarie rispetto al cagionamento del fallimento). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nessun rapporto di identità con i reati oggetto del presente procedimento ha poi la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 367 cod. pen.
Ricorso proposto nell’interesse dell’COGNOME.
Il primo motivo è infondato, dal momento che la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo; ne consegue che detta violazione non può essere dedotta, come nella specie, per la prima volta in sede di legittimità (per l’affermazione del principio, v. Sez. 4, n. 19043 del 29/03/2017, Privitera, Rv. 269886 – 01).
Il secondo motivo è infondato per le stesse ragioni sviluppate supra sub 3 del Considerato in diritto.
Fondato è il terzo motivo dal momento che, a fronte di un atto di appello che censurava in termini specifici l’attribuibilità dei fatti alla ricorrente, qual mera prestanome, la sentenza impugnata si è limitata a ritenere sussistente la responsabilità concorsuale dell’COGNOME «sia per la qualifica dalla stessa rivestita, sia per la consapevolezza dalla stessa, pienamente manifestata di volere, con la propria condotta contribuire alla realizzazione degli illeciti in oggetto». Al di là di tali indicazioni null’altro è dato ravvisare quanto al fondamento obiettivo di tali conclusioni che finiscono per radicare la responsabilità della ricorrente sul mero ruolo di legale rappresentante, senza esplorare il tema della consapevolezza delle attività illecite compiute dalla società per il tramite dell’amministratore di fatto (v., fra le molte, Sez. 5, n. 32413 del 24/09/2020, Loda, Rv. 279831 – 0).
Alla luce delle superiori considerazioni si impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso il 27/09/2023