Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 629 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 629 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il 15/05/1956
avverso la sentenza del 13/11/2023 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME N quale ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile, l’avv. NOME COGNOME che, richiamando la memoria depositata, ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi per la difesa del ricorrente, gli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Trieste riformava parzialmente la pronuncia assolutoria di primo grado, resa nelle forme del rito abbreviato, nei confronti del COGNOME, condannando lo stesso per i delitti di cui ai capi n. 4) e n. 7) dell’imputazione, nella ritenuta veste di socio e amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, società anonimaG1-yiy4t-ie- di diritto lussemburghese, che aveva il controllo delle tre società fallite e, di qui, d amministratore di fatto anche di queste ultime.
In particolare, rispetto alla prospettazione accusatoria delineata nel capo 7) della rubrica, il ricorrente era ritenuto responsabile dei delitti di cui agli artt. 2 219, 223, comma 1, n. 2, I. fall. poiché, mediante una serie di operazioni finanziarie e societarie dolose, aveva cagionato il dissesto sia della RAGIONE_SOCIALE che della RAGIONE_SOCIALE (determinanti poi i fallimenti dichiarati, rispettivamente, dal Tribunale di Udine il 22 maggio e il 14 luglio 2014).
Quanto al capo 4) dell’imputazione, il COGNOME era condannato per avere, sempre nelle indicate qualità, commesso i delitti di cui agli artt. 216, 219 e 223 I. fall., per la distrazione di alcune somme erogate dalla società fallita RAGIONE_SOCIALE senza alcuna valida ragione, ad altre società del gruppo, ossia alla controllante RAGIONE_SOCIALE, alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE
Avverso la richiamata sentenza della Corte d’Appello di Trieste NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, mediante il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando dieci motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo l’imputato lamenta, in relazione al capo 7), ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., erronea applicazione degli artt. 40 cod. pen. e 223, secondo comma, n. 2, I. fall. rispetto al rapporto di causalità tra l’operazione economica di leveraged buy out (d’ora innanzi, I.b.o.) e il dissesto di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Con tale articolata censura il ricorrente premette, in particolare, che la sentenza impugnata si sarebbe limitata ad argomentare la sussistenza del nesso di causalità poiché la predetta operazione avrebbe privato la società RAGIONE_SOCIALE della maggior parte dei propri cespiti immobiliari e al contempo gravato di una mole molto rilevante di debiti la società RAGIONE_SOCIALE, ritenendo che la crisi economica dell’anno 2008 non avrebbe comunque potuto considerarsi che fattore di aggravamento di un dissesto comunque inevitabile.
Di qui il COGNOME lamenta che, compiendo tale sintetica valutazione, la Corte territoriale avrebbe omesso di scindere, come sarebbe stato necessario, le vicende delle società coinvolte in tre distinti periodi temporali, ossia: quello dal giugno 2005 al dicembre 2010 nel quale il gruppo versava in condizioni floride; quello degli esercizi 2011 e 2012 in cui si manifestavano i primi segnali di crisi, da ascrivere agli effetti di medio termine della crisi mondiale nonché alla forte scossa di terremoto che investiva la pianura padana emiliana e distruggeva lo stabilimento industriale della RAGIONE_SOCIALE di Mirabello acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE e che costituiva una determinante articolazione produttiva del gruppo industriale; quello degli anni 2013-2014, nel quale il controllo del gruppo era stato trasferito all’Ing. NOME COGNOME di Celso, il quale non era riuscito a finanziare il ciclo industriale delle aziende a causa della crisi del sistema bancario.
Alla luce di ciò, la sentenza avrebbe motivato apoditticamente, con un vizio ancor più rilevante stante l’onere di motivazione rafforzata a fronte del ribaltamento del precedente esito assolutorio, sulla sussistenza di un nesso causale tra l’operazione di I.b.o. e l’intervenuto dissesto, anche in considerazione del lungo lasso temporale intercorso tra i due eventi, idoneo a far venir meno qualsivoglia presunzione di prevedibilità del dissesto e, comunque, ad ingenerare un ragionevole dubbio in tale direzione.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, con riferimento allo stesso capo 7) dell’imputazione, erronea applicazione dell’art. 223, secondo comma, n. 2, I.fall. in relazione alla qualificazione come dolosa dell’operazione economica attuata nella fattispecie concreta e correlato vizio di motivazione.
Mediante tale parimenti articolata censura il COGNOME sottolinea che la decisione impugnata ha osservato che i costi di acquisizione della RAGIONE_SOCIALE erano stati sostenuti da un’altra società priva di liquidità perché non svolgeva un’attività propria e che la spregiudicatezza dell’operazione era ulteriormente corroborata dall’assenza del progetto richiesto dall’art. 2501-bis cod. civ. e dalla realizzazione di essa non nella forma canonica della fusione tra la newco e la società target, bensì attraverso la scissione tra le stesse.
Secondo la prospettazione difensiva le relative valutazioni della Corte territoriale non si sarebbero confrontate con una serie di prove decisive, ovvero:
il patrimonio netto della RAGIONE_SOCIALE era rimasto integro sino all’anno 2010 e quello della RAGIONE_SOCIALE si era raddoppiato nel periodo dal 2006 al 2010;
la RAGIONE_SOCIALE quale proprietaria al 60% della RAGIONE_SOCIALE non era stata gravata da debiti per essa insostenibili;
nel “Term Sheet” del 21 giugno 2005 e nel promemoria interno del 29 giugno 2005 la Banca Unicredit aveva esaminato in maniera approfondita la sostenibilità economico-finanziaria dell’operazione di I.b.o. anche rispetto alle previste modalità di rimborso e ritenuto la stessa intrinsecamente coerente;
nella lettera Memorandum di Unicredit del 2 ottobre 2006 era stata vagliata positivamente anche la sopravvenuta revisione della struttura originaria con la previsione, in luogo della fusione, della scissione societaria del conferimento a RAGIONE_SOCIALE del 60% delle azioni della RAGIONE_SOCIALE
Il ricorrente rappresenta, inoltre, che la Corte d’Appello di Trieste, nell’assumere che per provvedere al pagamento della RAGIONE_SOCIALE la stessa sarebbe stata privata delle riserve, omette di considerare la prova decisiva costituita dalla delibera dell’assemblea della società del 23 giugno 2005 in cui legittimamente alla presenza del precedente dominus storico dell’azienda era stata deliberata la distribuzione delle riserve disponibili per l’importo di euro 4.368.000 al medesimo COGNOME, trattandosi di riserve che erano state costituite dal medesimo con gli utili da egli stesso maturati e accantonati nei bilanci.
D’altra parte, se è vero che non era stato redatto il progetto di cui all’art. 2501-bis cod. civ., a differenza di quanto assunto dalla decisione impugnata, l’operazione economica industriale era stata in concreto attuata, come attestato dall’acquisizione della rinomata azienda RAGIONE_SOCIALE, che produceva catene industriali ed automobilistiche, dell’azienda industriale RAGIONE_SOCIALE e della filiale in Russia RAGIONE_SOCIALE
Ulteriormente, il ricorrente pone in rilievo la congruità, attestata anche dalla perizia giurata che aveva prodotto, del canone di locazione pagato da RAGIONE_SOCIALE per la conduzione degli immobili assegnati dopo la scissione a RAGIONE_SOCIALE, canone corrispondente al 5% del valore di detti immobili.
Alla luce del complesso di tali argomentazioni, il COGNOME assume che erroneamente, allora, la decisione impugnata ha ritenuto di natura dolosa l’operazione posta in essere, che tale avrebbe dovuto essere vagliata guardando ai dati esistenti in una prospettiva ex ante, nella quale non avrebbe potuto essere in concreto prevista la crisi mondiale del settore, intervenuta solo nell’anno 2008.
2.3. Con il terzo motivo, riguardante sempre il capo 7) dell’imputazione, il COGNOME deduce erronea applicazione dell’art. 2639 cod. civ. e vizio di motivazione quanto all’attribuzione del ruolo di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE
In particolare, il ricorrente lamenta che, ribaltando, proprio nel ritenere tale qualifica soggettiva, la pronuncia assolutoria di primo grado, la Corte territoriale non avrebbe vagliato prove testimoniali e documentali decisive idonee a dimostrare che egli era stato semplicemente il legale della holding e delle società del gruppo, senza mai porre in essere alcun atto di ingerenza o di gestione delle società controllate.
Sottolinea, in tale prospettiva, che, a differenza di quanto argomentato dalla pronuncia impugnata, era intervenuto nelle assemblee ai sensi dell’art. 2372 cod. civ. sempre su delega del socio RAGIONE_SOCIALE ed aveva assistito la società in numerosi giudizi. Inoltre, rileva che la stessa fideiussione prestata in favore di Unicredit per garantire l’operazione di acquisto della RAGIONE_SOCIALE trovava giustificazione nell’intensa collaborazione professionale con il dottor COGNOME e con la predetta società. Peraltro, la Corte territoriale non aveva valutato che il rilascio della fideiussione non era stato determinante per l’erogazione del credito, avvenuto soprattutto grazie alle garanzie reali, ossia grazie al pegno che la Unicredit si era riservata sul 100% delle azioni della RAGIONE_SOCIALE
Ulteriormente, il ricorrente lamenta che la decisione impugnata non si è confrontata con la circostanza che egli stesso aveva perso i propri risparmi, pari ad euro 780.000,00, per acquistare un’opzione di partecipazione non esercitata, con un’operazione che era stata puntualmente descritta, e che, a seguito del fallimento delle società, anche i propri crediti professionali non erano stati recuperati.
Evidenzia, poi, l’assoluta apoditticità e contraddittorietà intrinseca della decisione, nelle pag. da 14 a 21, laddove postula una sua ingerenza nella gestione della società senza indicare in cosa si concretizzavano tali atti gestori e riconoscendo, peraltro, che tali atti non erano posti in essere quando era amministratore l’COGNOME, ossia sino al 28 dicembre 2012.
D’altra parte, lamenta ancora il ricorrente un’omessa valutazione di prove decisive circa l’insussistenza del suo contributo all’ideazione dell’operazione di I.b.o., essendo emerso anche dall’istruttoria svolta che la stessa era stata predisposta dal venditore COGNOME e dall’NOME COGNOME, mentre egli era intervenuto solo nella sua veste professionale di avvocato.
Il COGNOME denuncia, ancora, l’illegittimità della decisione impugnata nella misura in cui ha assunto che egli aveva posto in essere, con concreti atti gestori, il ruolo di amministratore di fatto della società controllante, nonostante le dichiarazioni rese in senso contrario nel corso delle investigazioni svolte dalla polizia giudiziaria sia dai sindaci di RAGIONE_SOCIALE che dai dipendenti dell medesima società, i quali avevano rimarcato il suo ruolo solo professionale e
individuato, invece, nell’COGNOME l’ideatore dell’operazione ed il gestore della società.
Il ricorrente assume, di poi, che anche l’asserzione della pronuncia della Corte territoriale secondo cui dopo le dimissioni dell’NOME COGNOME si era ingerito in maniera ancora più evidente nella gestione delle società controllate tradiva un vaglio manifestamente illogico delle deposizioni rese dai sommari informatori COGNOME, COGNOME e COGNOME dalle quali era ancora una volta emerso solo il ruolo professionale che aveva svolto anche per conto della proprietà della controllante nella vicenda.
Ancora, deduce che un ruolo di gestione
non potrebbe essergli attribuito in forza della sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 840 del 2017, confermata dalla Corte di cassazione con la pronuncia n. 46213 del 2018, che in materia penai tributaria si sarebbero limitate ad affermare, genericamente, che egli non poteva dirsi estraneo alle vicende del gruppo societario senza predicarne il ben più pregnante ruolo di amministratore di fatto.
In definitiva lamenta il COGNOME, con riferimento all’attribuzione della responsabilità per il delitto di cui al capo 7), che erroneamente è stato considerato amministratore di fatto della società controllante senza un vaglio effettivo degli indici richiesti all’uopo dall’art. 2639 cod. civ. in assenza concreti atti gestori e di ingerenza nelle società controllate.
2.4. Mediante il quarto motivo il ricorrente, con riferimento al capo 4) dell’imputazione, censura la decisione della Corte d’Appello di Trieste per violazione dell’art. 2639 cod. civ. e vizio di motivazione quanto all’attribuzione del ruolo di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE ovvero di concorrente estraneo.
In particolare, l’imputato lamenta che la sentenza impugnata, a pag. 21, nel terzo capoverso, esclude una sua ingerenza gestionale nelle società controllate e di qui una responsabilità per i reati ascritti ai capi 3) e 6), salvo poi contraddir tale premessa nel quarto capoverso della stessa pagina per quanto attiene alle somme distratte dalla RAGIONE_SOCIALE in virtù della contestazione di cui al capo 4). Evidenzia che la relativa ascrizione di responsabilità è stata argomentata poiché egli, nella veste di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, avrebbe concorso alla ideazione e alla realizzazione delle condotte illecite, senza tuttavia indicare i fatt concreti e le forme specifiche mediante le quali ciò si sarebbe realizzato, così attribuendogli una sorta di responsabilità derivante “automaticamente” dall’originaria operazione di leveraged buy-out.
Sottolinea che la carenza argomentativa è vieppiù grave a fronte dell’avvenuta assoluzione in primo grado anche per le condotte ascritte al capo 4) dell’imputazione in virtù del non riconosciuto ruolo di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e gravando, dunque, sulla Corte territoriale l’onere di rendere una motivazione rafforzata a fronte dell’overturning sfavorevole.
2.5. Con il quinto motivo, il COGNOME, sulla premessa di avere conoscenza delle relative vicende solo quale legale delle società e di essere dunque estraneo ad ogni ipotesi di reato, denuncia vizio di motivazione, sempre in relazione alle condotte distrattive di cui al capo 4), rispetto all’avvenuta configurabilità in dett termini delle relative operazioni.
Nello specifico, quanto all’erogazione della somma di euro 500.000,00 da parte della società RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE per pagare la penale relativa al contratto preliminare di vendita immobiliare del 10 dicembre 2008, lamenta che la Corte territoriale ha trascurato di considerare che, come risultante anche dalle relazioni del curatore, l’acquisto dello stabilimento di Mirabello, che poi non si era perfezionato per i gravissimi danni che esso aveva subito a seguito del terremoto in Emilia Romagna del 2012, sarebbe avvenuto nell’interesse (e di qui il vantaggio compensativo infra-gruppo) della società RAGIONE_SOCIALE stante la possibilità di incrementare la propria produzione attraverso lo stesso.
Con riguardo all’erogazione dell’importo di euro 1.000.000,00 alla società RAGIONE_SOCIALE nel luglio 2008 tramite Banca Unicredit, il COGNOME evidenzia che, come risultante anche dalle relazioni della curatela negli anni 2007 e 2008, la società RAGIONE_SOCIALE aveva deliberato legittimamente la distribuzione di dividendi ai soci, e dunque che detta somma era stata corrisposta alla RAGIONE_SOCIALE a tale titolo.
Quanto alla somma di euro 299.680,00 “transitata” sul conto della RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente osserva che la Corte territoriale non ha argomentato in alcun modo perché si tratterebbe di un’operazione distrattiva potendo essere verosimilmente riconducibile alla distribuzione di dividenti in favore della medesima RAGIONE_SOCIALE da parte della RAGIONE_SOCIALE
Con riferimento alla somma di euro 100.000,00 il COGNOME lamenta che né dagli estratti conto né da altri documenti, ma solo da un riferimento operato dal consulente tecnico del Pubblico Ministero, risulta che in data 22 luglio 2008 è stato effettuato detto pagamento da parte della società fallita RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE
Il COGNOME denuncia difetto di motivazione rafforzata ad opera della decisione impugnata ai fini del ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado quanto alla sussistenza delle distrazioni cui al capo 4), evidenziando che la
motivazione, piuttosto che contrapporre solide argomentazioni rispetto alla decisione del Tribunale di Udine, senza alcuna spiegazione, con espressioni di carattere perplesso (ad esempio, “non è stata spiegata”, “non si comprende la ragione”) ne conferma la responsabilità penale.
2.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta inosservanza degli artt. 438, primo comma, e 441, quinto comma, cod. proc. pen., con conseguente nullità ed inutilizzabilità degli interrogatori resi dal coimputato NOME COGNOME.
A fondamento delle proprie doglianze l’imputato osserva che egli, sin dalla data del 30 gennaio 2017, aveva formulato richiesta di rito abbreviato c.d. incondizionato e che, dunque, a detta data, avrebbe dovuto cristallizzarsi, anche in forza dei principi enunciati dalla sentenza n. 115 del 2001 della Corte costituzionale, la base cognitiva della decisione, senza possibilità per il Pubblico Ministero di far confluire nel fascicolo attività di indagine svolta successivamente.
Adduce la decisività, poi, delle informazioni acquisite con l’interrogatorio dell’NOME COGNOME in ragione dell’incertezza del quadro probatorio a suo carico corroborata proprio dalle dichiarazioni dello stesso.
2.7. Mediante il settimo motivo il COGNOME denuncia vizio di motivazione della decisione impugnata rispetto alla valutazione delle dichiarazioni del coimputato NOME COGNOME, violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. per l’assenza di elementi di riscontro di dette dichiarazioni ed omesso vaglio delle differenti e contraddittorie dichiarazioni rese anche quanto alla sua posizione dallo stesso coimputato nel contraddittorio documentale nel giudizio a carico di altri coimputati concluso con la sentenza n. 1250 del 2021 del Tribunale di Udine.
Nell’articolata censura, in sostanza, l’imputato pone in rilievo che, innanzi tutto, dalla maggior parte delle propalazioni dello stesso NOME COGNOME emergerebbe la sua partecipazione alla “vita” delle società solo nella sua veste di legale e che altre dichiarazioni da cui potrebbe assumersi una sua partecipazione in altra veste sono assolutamente generiche ed imprecise, e si pongono in contrasto sia con le dichiarazioni di plurimi soggetti assunti a sommarie informazioni che hanno ribadito che egli svolgeva solo il ruolo di legale della società, sia con le dichiarazioni rese in sede dibattimentale nel giudizio definito con la predetta sentenza del Tribunale di Udine nel quale il NOME COGNOME aveva più volte ribadito che esso ricorrente operava solo quale professionista.
2.8. Con l’ottavo motivo, il COGNOME lamenta, nuovamente, vizio motivazione della decisione impugnata rispetto alla valutazione delle
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dichiarazioni del coimputato NOME COGNOME, violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. per l’assenza di elementi di riscontro di dette dichiarazioni ed omesso vaglio delle differenti e contraddittorie dichiarazioni rese anche quanto alla sua posizione dallo stesso coimputato nel contraddittorio documentale nel giudizio a carico di altri coimputati concluso con la sentenza n. 1250 del 2021 del Tribunale di Udine.
In particolare, nel motivo in questione appunta le proprie censure sull’assenza di motivazione della decisione impugnata in ordine alla valutazione frazionata delle dichiarazioni dell’NOME COGNOME, peraltro valutate in maniera assolutamente illogica poiché da esse non potrebbe comunque desumersi alcun suo coinvolgimento nella gestione delle società.
2.9. Nel nono motivo il COGNOME, con riferimento al capo 7) dell’imputazione, denuncia erronea applicazione in relazione al delitto di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, I.fall. degli art. 42 e 43 cod. pen. in punto di elemento soggettivo, anche nella forma della ricorrenza di un ragionevole dubbio e vizio di motivazione.
Segnatamente lamenta, in primo luogo, che la Corte territoriale non avrebbe considerato, valorizzando – anzi – detti elementi in senso contrario, che egli stesso aveva creduto nelle prospettive favorevoli del gruppo, avendo investito per acquisire un diritto di opzione nelle casse sociali di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE l’ingente somma di euro 780.000,00 che non aveva mai recuperato.
La motivazione della decisione sarebbe inoltre carente quanto alla consapevolezza degli elementi strutturali dell’operazione di I.b.o. atteso che, quando essa era stata realizzata, il quadro era assolutamente favorevole, ed il dissesto imprevedibile.
Di qui lamenta che difetterebbe il richiesto elemento psicologico del delitto, sia che esso voglia essere riguardato come dolo eventuale che come a sfondo preterintenzionale poiché nell’anno 2005, e così per diversi anni successivi, la situazione della società RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE nella quale era confluito il patrimonio immobiliare della prima per effetto dell’operazione di I.b.o. era rimasta molto positiva e non era prevedibile il mutamento della situazione per effetto della crisi economica globale.
2.10. Con il decimo motivo l’imputato denuncia assenza carente motivazione in ordine all’elemento soggettivo quanto al delitto di cui al capo 4) della rubrica.
In data 24 giugno 2024, il COGNOME ha depositato, a firma del prof. avv. NOME COGNOME una memoria difensiva nella quale ha ripercorso le argomentazioni sottese ai motivi di ricorso.
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3.1. In primo luogo, nella memoria è stata sottolineata la violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata da parte della decisione della Corte territoriale, che si sarebbe limitata a riassumere il ragionamento operato dal giudice di primo grado per poi accantonarlo, senza tuttavia superarlo con argomentazioni specifiche.
3.2. E’ stato inoltre ribadito che la sentenza avrebbe disapplicato i principi affermati nella giurisprudenza di legittimità quanto agli indici, desumibili dall’art 2639 cod. civ., che consentono di desumere, in forza di un parametro di tipo quantitativo-temporale e di un altro di carattere qualitativo, afferente la significatività degli atti posti in essere, la responsabilità dell’amministratore d fatto. E’ dedotto, in particolare, che la decisione impugnata ha individuato la stessa in forza di indici inadeguati, come rappresentato nel terzo motivo del ricorso.
3.3. Il COGNOME sottolinea, poi, in relazione ai motivi n. 3 e n. 4 del ricorso, che la sua responsabilità penale è stata desunta dall’assunta carica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in assenza del necessario contributo causale nell’attività delle società fallite.
3.4. In relazione ai motivi n. 1, 2 e 9 del ricorso, ossia in ordine al delitto di bancarotta impropria per operazioni dolose, l’imputato ribadisce che alcuna responsabilità può essergli ascritta sul piano soggettivo, non essedo ragionevolmente prevedibile, quando è stata effettuata l’operazione di scissione,. il successivo stato di dissesto, intervenuto per cause ulteriori ed avendo dettai operazione un obiettivo industriale di crescita del gruppo e non meramente speculativo.
3.5. Quanto ai motivi n. 5 e 10 del ricorso, relativi all’assunto delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il COGNOME ribadisce l’assenza di pericolo concreto al momento in cui sono state poste in essere le operazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Per ragioni di priorità logica deve essere esaminato, innanzi tutto, il sesto motivo di ricorso con il quale l’imputato deduce che, dopo la sua richiesta di giudizio abbreviato non condizionato che all’espletamento del proprio
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interrogatorio, sono stati illegittimamente effettuati ulteriori atti di indagine d Pubblico Ministero e, in particolare, acquisite le dichiarazioni di NOME COGNOME
1.1.A riguardo occorre premettere, quanto alla ricostruzione della vicenda processuale, resa possibile dall’esame degli atti del fascicolo d’ufficio a fronte della deduzione di un vizio di carattere processuale (Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 22009- 01) che:
all’udienza del 30 gennaio 2017 il ricorrente chiedeva procedersi a giudizio abbreviato;
la decisione su tale richiesta era rinviata all’udienza del 7 marzo 2017;
il giorno precedente a quello previsto per la celebrazione dell’udienza, il difensore del COGNOME depositava una memoria ai sensi dell’art. 121 cod. proc. pen. corredata da ampia documentazione;
nel corso dell’udienza del 7 marzo 2017 il Pubblico Ministero depositava, a propria volta, il verbale di interrogatorio del giorno precedente dell’Azzano COGNOME, e chiedeva rinvio per esaminare la memoria del ricorrente;
alla successiva udienza del 25 marzo 2017 il Pubblico Ministero depositava ulteriore documentazione rispetto alla memoria prodotta dalla difesa del COGNOME e alla documentazione allegata;
il rito abbreviato era ammesso il 4 aprile 2017.
1.2. Ciò posto va considerato che nella giurisprudenza di legittimità è stato effettivamente affermato che la richiesta di giudizio abbreviato c.d. “secco”, di cui all’art. 438, comma primo, cod. proc. pen., comporta la definizione del processo allo stato degli atti, che determina la formazione della “res iudicanda” sulla base del quadro probatorio già esistente, con la conseguenza che nessuna prova, documentale od orale, può essere successivamente acquisita, salva la facoltà dell’imputato, ammesso al giudizio abbreviato, di sollecitare il giudice all’esercizio dei poteri di cui all’art. 441, comma quinto, cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 51950 del 15/11/2016, COGNOME, Rv. 268694 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 5457 del 28/11/2013, dep. 2014, Mauro, Rv. 258020 – 01).
Tali precedenti, tuttavia, si riferiscono, come è evidente dalla lettura delle motivazioni delle decisioni, alla posizione dell’imputato e trovano, dunque, il loro logico fondamento nella circostanza per la quale, se un soggetto ha richiesto il rito abbreviato non condizionandolo ad alcuna acquisizione probatoria, non può, nelle more della decisione sulla propria istanza, surrettiziamente richiedere l’ammissione di altre prove orali o, più semplicemente, produrre prove documentali.
D’altra parte, i riti alternativi a contenuto premiale costituiscono una delle modalità più qualificanti di esercizio del diritto di difesa, il che si esplica anc nella scelta di un rito abbreviato non condizionato all’assunzione di ulteriori mezzi di prova (ex aliis, Corte Cost. sent. n. 237/2012; n. 148/2004, n. 219/2004, n. 70/1996, n. 497/1995 e n. 76/1993).
1.3. Ben diversa è la problematica sollevata dalla difesa del COGNOME, ossia quella che riguarda la sussistenza del potere del Pubblico Ministero, nel tempo che eventualmente intercorra tra l’istanza di definizione del processo secondo il rito abbreviato c.d. secco presentata dall’imputato e l’ordinanza di ammissione di tale rito da parte dell’autorità giudiziaria, di effettuare ulteriori inda facendone confluire gli esiti nel fascicolo processuale. E ciò in quanto non è stata la parte pubblica a richiedere una definizione del giudizio allo stato degli atti.
Ne deriva che, successivamente alla richiesta dell’imputato di ammissione al rito speciale, quando questo non sia stato disposto dal giudice con ordinanza, è ancora in corso l’udienza preliminare e sono consentite al Pubblico Ministero tutte quelle modifiche che invece verrebbero paralizzate dalla ammissione del rito “allo stato degli atti”, come la formulazione di una contestazione suppletiva e l’arricchimento dell’apparato probatorio (Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, Rv. 279040-01, in motivazione).
Quanto rilevato, del resto, non comporta alcuna violazione dei diritti dell’imputato.
Sotto un primo aspetto, occorre invero rimarcare che la richiesta di giudizio abbreviato è revocabile fino al provvedimento del giudice che lo dispone (v., tra le altre, Sez. 6, n. 22480 del 08/05/2013, P.M. in proc. Bujor, Rv. 256645-01) e finanche, giusta il disposto dell’art. 441-bis, comma 4, cod. proc. pen., successivamente a tale ammissione nell’ipotesi di nuove contestazioni ai sensi dell’art. 423, comma 1, dello stesso codice (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE ed altri, Rv. 253212-01).
Sotto altro e concorrente profilo, ciò che costituisce presupposto essenziale affinché possano essere acquisiti gli esiti delle indagini svolte dal Pubblico Ministero prima dell’ammissione del rito abbreviato richiesto dall’imputato è che su tali integrazioni probatorie si sia realizzato il contraddittorio tra le parti, i.e., che l’imputato abbia avuto formale contezza delle nuove prove al fine di poter vagliare la revoca della sua richiesta di definizione del processo nelle forme del rito abbreviato.
1.4. Nella fattispecie processuale in esame, per come ricostruita, alcuna violazione del diritto del contraddittorio del COGNOME, violazione che avrebbe
potuto determinare l’inutilizzabilità delle risultanze delle attività di indagin svolte dal Pubblico Ministero dopo la sua richiesta di rito abbreviato, si è realizzata.
Occorre anzi sottolineare che, a fronte della produzione, all’udienza del 7 marzo 2017, del verbale di interrogatorio di NOME COGNOME la difesa del ricorrente non ha chiesto alcun termine per esaminare tale atto, essendo di contro un termine stato richiesto dal Pubblico Ministero per esaminare la memoria, corredata di ampia documentazione, che, pur dopo l’istanza di rito abbreviato “secco”, aveva prodotto l’imputato.
Il terzo e il quarto motivo di ricorso, il cui esame può essere svolto in maniera unitaria, devono essere vagliati, per ragioni di priorità logica, prima degli altri.
Tali motivi sono fondati.
2.1. Occorre premettere, a riguardo, che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto il ricorrente amministratore di fatto non solo della società controllante ma anche delle società fallite e, dunque, responsabile dei delitti ascritti, ha ribaltato la decisione assolutoria di primo grado.
Ne deriva che, sotto un primo aspetto, trova applicazione, ai fini del vaglio della motivazione in parte qua della pronuncia della Corte territoriale, il principio, da lungo tempo sancito anche dalle Sezioni Unite, per il quale il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679 – 01).
Come è stato puntualizzato anche nella giurisprudenza successiva, tale onere di motivazione c.d. rafforzata implica che il giudice d’appello non possa, in un’ipotesi siffatta, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (ex ceteris, Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, p.c. in proc. COGNOME, Rv. 254638 01; Sez. 4, n. 2474 del 15/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282612 – 01). In sostanza, il giudice d’appello deve, sulla base di uno sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del “decisum” impugnato, metterne in luce le carenze o le aporie, che ne giustificano l’integrale riforma (Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, P.C. in proc. Fu e altri, Rv. 261327 – 01).
2.2. Quanto alle questioni giuridiche che si ponevano all’attenzione della Corte d’Appello di Trieste, nell’esaminare la posizione del COGNOME rispetto alle società fallite, occorre considerare che, come è stato evidenziato anche nella giurisprudenza delle Sezioni Civili, la sussistenza di uno o più amministratori di fatto è senz’altro compatibile con la collocazione della società così gestita in un gruppo di società. Infatti, l’esistenza di un gruppo, con conseguente assetto giuridico predisposto per una direzione unitaria, e l’amministrazione di fatto di singole società del gruppo stesso non sono situazioni incompatibili poiché, mentre la prima corrisponde ad una situazione di diritto nella quale la controllante svolge l’attività di direzione della società controllata nel rispet della relativa autonomia e delle regole che presiedono al suo funzionamento, la seconda, invece, corrisponde ad una situazione di fatto nella quale i poteri di amministrazione sono esercitati direttamente da chi sia privo di una qualsivoglia investitura, ancorché irregolare o implicita. Ne consegue che un soggetto, cui pure siano attribuiti poteri di direzione in quanto amministratore di una holding (o in quanto socio dì una società di fatto che ne svolge le funzioni), può, di fatto, esercitare poteri di amministrazione e, al contempo, disattendendo l’autonomia della società controllata e riducendo i relativi amministratori a meri esecutori dei propri ordini, comportarsi come se ne fosse l’amministratore, pur utilizzando, formalmente, gli strumenti propri della direzione unitaria, quali le direttive sicché egli risponde delle condotte relative all’amministrazione delle società controllate (Cass., Sez. 1 civ., n. 2952 del 13/02/2015, Rv. 634700 – 01).
La possibilità, dunque, di ritenere un soggetto allo stesso tempo amministratore di fatto della società controllante e delle società controllate, affermata rispetto alla posizione del ricorrente dalla decisione impugnata, postula, tuttavia, che vengano esercitati in concreto poteri differenti da quelli normalmente propri di chi ha il controllo e la direzione della società controllata e che si traducano nello svolgimento, di fatto, di ruoli gestori “attivi” nelle societ controllate tali da rendere gli amministratori di questi soggetti privi di ogn autonomo potere.
Quanto osservato comporta che, in tema di reati fallimentari, anche la titolarità della carica di amministratore della società capogruppo non implica, di per sé, la qualifica di amministratore di fatto delle società controllate, salvo che l’esercizio dei poteri di direzione e coordinamento si sostanzi in atti specificamente gestori di fasi o settori dell’attività di queste, limitandone l’autonomia e riducendo gli amministratori a meri esecutori materiali delle direttive impartite (Sez. 5, n. 36865 del 27/10/2020, COGNOME, Rv. 280107 – 01).
2.3. La decisione impugnata non ha correttamente applicato né i princip richiamati nel § 2.1., né quelli di cui al § 2.2.
Sotto un primo aspetto, infatti, essa si è limitata a ripercorrere le documentali e dichiarative considerate nel giudizio di primo grado e a fornire u differente valutazione delle stesse, senza tuttavia assolvere all’onere di spi le ragioni per le quali la pronuncia del GUP aveva operato un vaglio incompleto incoerente delle emergenze istruttorie.
Il che si è riverberato, sotto un secondo aspetto, nell’evidenziare, a dell’affermazione, fondante l’overturning sfavorevole, per la quale il ricorrente sarebbe stato amministratore di fatto non solo della società controllante anche delle società fallite, di elementi inidonei a concretare l’esercizio di u e proprio potere di gestione all’interno delle predette società, tale da rend amministratori formali meri esecutori della volontà dell’imputato, potere quin ben diverso da quello che si concreta nella (parimenti contestata) attivi direzione e controllo nell’esercizio del suo ruolo di amministratore d controllante.
2.3.1. Nell’indicata prospettiva, la decisione impugnata non ha spiegato, primo luogo, perché alcune attività, come la partecipazione alle assemblee, no potessero essere state svolte dal RAGIONE_SOCIALE nella propria veste di legale, né quali ragioni la prestazione di una fideiussione e il successivo finanziament una delle società attraverso l’acquisto di un diritto di opzione non potes essere espressione di una cointeressenza nelle relative attività piuttosto socio di fatto.
2.3.2. Ma, soprattutto, anche a voler ritenere sussistenti più consis elementi ritraibili dalla decisione impugnata per i quali potrebbe assume adeguata la relativa motivazione nella parte in cui ha considerato ch ricorrente abbia, rispetto alla controllante lussemburghese, operato quale ver e proprio dominus e non mero legale, il problema cruciale è l’assenza, nella decisione impugnata, di indici concreti adeguati, ex art. 2639 cod. civ., per affermare, ai finì dell’ascrizione della responsabilità penale allo stesso per di cui ai capi 4) e 7) dell’imputazione, che il ricorrente abbia posto in esse e propri atti gestori nelle singole società controllate.
D’altra parte, la sovrapposizione operata dalla Corte territoriale tra il rivestito dall’imputato nella controllante lussemburghese e nelle soc controllate è palesata con evidenza in alcuni passaggi della sentenza oggetto ricorso laddove, ad esempio, si sottolinea che egli “ha espresso la volontà d RAGIONE_SOCIALE facendola valere in modo decisivo nelle scelte delle società controll
(pag. 14) oppure “manifesta sostanzialmente la volontà della società proprietaria” (pag. 15).
In definitiva occorre distinguere tra l’esercizio dei poteri di direzione e coordinamento esercitati dagli amministratori della società controllante, che si concretano in una pluralità sistematica e costante di atti che incidono sulle scelte gestorie della società subordinata, ossia, sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale riguardanti gli affari sociali dall svolgimento, da parte degli amministratori (anche di fatto) della società controllante medesima di concreti atti gestori nelle società controllate, atti gestori che devono essere ritratti, invece, dalla ricorrenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico dell’imputato, con funzioni direttive, in una fase dell’attività organizzativa, produttiva o gestionale della società o in un settore gestionale della stessa.
Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste.
Così deciso in Roma il 6 novembre 2024
Il Consigliere COGNOME
Il Presidente