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Amministratore di fatto: il ricorso è inammissibile

Un imprenditore, condannato per bancarotta fraudolenta e semplice, ha presentato ricorso in Cassazione contestando la sua qualifica di amministratore di fatto. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che la qualifica di amministratore di fatto dipende dall’effettivo esercizio di funzioni gestorie, rendendo irrilevanti le conclusioni di altri procedimenti civili. Anche gli altri motivi, relativi alla distrazione di beni e all’aggravamento del dissesto, sono stati giudicati manifestamente infondati.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di fatto: quando la sostanza prevale sulla forma

La recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, fornisce importanti chiarimenti sulla figura dell’amministratore di fatto e sulla sua responsabilità nei reati di bancarotta. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: per la legge, conta chi esercita effettivamente il potere gestorio, a prescindere dalle cariche formali. Questa decisione mette in luce come i tentativi di difendersi appellandosi a formalismi legali o a esiti di altri procedimenti siano destinati a fallire di fronte all’accertamento concreto delle funzioni manageriali svolte.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Torino, che aveva confermato la condanna di un imprenditore per i reati di bancarotta fraudolenta e semplice. L’imputato, ritenuto l’amministratore di fatto della società fallita, ha deciso di impugnare la decisione davanti alla Corte di Cassazione, presentando tre distinti motivi di ricorso per smontare l’impianto accusatorio.

I Motivi del Ricorso e la figura dell’Amministratore di Fatto

La difesa dell’imputato si è concentrata su tre punti principali:

1. Contestazione della qualifica di amministratore di fatto: L’imputato sosteneva che non poteva essere considerato tale, portando come prova il rigetto della domanda di estensione del fallimento nei suoi confronti da parte della curatela. Secondo la sua tesi, se non era stato considerato socio di fatto in sede fallimentare, non poteva essere ritenuto amministratore di fatto in sede penale.
2. Distrazione di beni: Veniva contestato un episodio specifico di distrazione di una somma di oltre 16.000 euro, sostenendo che l’oggetto della distrazione non fosse il denaro, ma dei beni trasferiti e non pagati.
3. Bancarotta semplice: Si contestava la responsabilità per l’aggravamento del dissesto, lamentando una non corretta applicazione della normativa fallimentare.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando ogni motivo di doglianza con argomentazioni nette e precise.

In primo luogo, riguardo alla qualifica di amministratore di fatto, i giudici hanno chiarito che l’esito della procedura di estensione del fallimento è del tutto irrilevante ai fini del processo penale. La decisione in sede fallimentare si basava sull’accertamento dell’esistenza di un rapporto societario di fatto, un presupposto diverso e non coincidente con l’accertamento delle funzioni gestorie svolte dall’imputato. La Corte ha ribadito che la qualità di amministratore di fatto si fonda sull’analisi concreta delle attività svolte: chi dà ordini, prende decisioni strategiche e gestisce la società, ne è amministratore ai fini della responsabilità penale, indipendentemente da nomine ufficiali.

Anche gli altri due motivi sono stati giudicati manifestamente infondati. Sulla bancarotta semplice, la Corte ha evidenziato come il ricorrente non avesse tenuto conto dell’esplicito dato normativo di riferimento (art. 227 l. fall.). Per quanto riguarda la distrazione, i giudici hanno sottolineato che l’argomento difensivo era fallace: l’oggetto della distrazione non era un semplice credito, ma i beni aziendali che erano stati sottratti al patrimonio sociale senza ricevere un corrispettivo, causando un danno diretto ai creditori.

Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un principio cardine del diritto penale societario: la responsabilità penale segue la gestione effettiva e non le apparenze formali. Chiunque agisca come dominus di un’impresa, anche senza un’investitura ufficiale, risponde delle conseguenze delle proprie azioni, specialmente in caso di fallimento. Questa ordinanza serve da monito: nascondersi dietro cavilli procedurali o esiti di altri giudizi non è una strategia valida per eludere le proprie responsabilità. La giustizia guarda alla sostanza dei rapporti e all’effettivo esercizio del potere decisionale all’interno dell’azienda.

Cosa definisce un amministratore di fatto secondo la Cassazione?
La qualifica di amministratore di fatto dipende dall’esercizio concreto e continuativo di poteri gestionali e direttivi all’interno di una società, a prescindere da una nomina formale. La sostanza dell’attività prevale sulla forma.

La mancata estensione del fallimento a una persona esclude la sua responsabilità penale come amministratore di fatto?
No. La Corte ha chiarito che la decisione di non estendere il fallimento si basa su presupposti diversi (come l’esistenza di una società di fatto) e non incide sull’accertamento, in sede penale, dello svolgimento di funzioni gestorie che fondano la responsabilità per i reati fallimentari.

In caso di bancarotta, cosa si intende per distrazione di beni?
La distrazione consiste nel sottrarre beni dal patrimonio della società destinato a soddisfare i creditori. Come specificato nel caso in esame, l’oggetto della distrazione sono i beni fisici trasferiti senza incassare il relativo pagamento, e non il mero credito teorico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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