Amministratore di Fatto: Quando il Ricorso in Cassazione Diventa Inammissibile
L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un’importante lezione sui limiti del ricorso nel giudizio di legittimità, specialmente quando si contesta la figura dell’amministratore di fatto in ambito di reati tributari. Il caso riguarda due soggetti condannati per omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali, i quali hanno cercato di rimettere in discussione la loro posizione di gestori occulti di una società formalmente amministrata da una “testa di legno”.
I Fatti del Caso: La Gestione Occulta e l’Omessa Dichiarazione
La vicenda processuale ha origine dalla condanna emessa dalla Corte d’Appello di Milano nei confronti di due persone per il reato previsto dall’art. 5 del D.Lgs. 74/2000. L’accusa era quella di non aver presentato le dichiarazioni fiscali obbligatorie per conto di una società. La particolarità del caso risiedeva nel fatto che i due imputati non ricoprivano formalmente alcuna carica sociale. La Corte di merito, tuttavia, li aveva identificati come amministratore di fatto della società, ovvero come i reali gestori che, operando dietro le quinte, prendevano le decisioni e impartivano le direttive, utilizzando un prestanome per le cariche ufficiali.
I Motivi del Ricorso: Una Difesa Contro i Fatti
Gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, basando la loro difesa su due motivi principali:
1. Vizio di motivazione sulla qualifica di amministratori di fatto: Sostenevano che la Corte d’Appello avesse errato nel ricostruire i fatti e nel valutare le prove (in particolare, una testimonianza e delle prove documentali) che li identificavano come gestori effettivi della società.
2. Vizio di motivazione sulla pena: Contestavano la dosimetria della pena e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ritenendo la motivazione della Corte insufficiente e contraddittoria.
L’Amministratore di Fatto e i Limiti del Giudizio di Cassazione
Il cuore della decisione della Suprema Corte risiede nella natura stessa del giudizio di cassazione. Questo giudizio, detto “di legittimità”, non serve a riesaminare i fatti o a fornire una nuova valutazione delle prove, compiti che spettano ai giudici di primo e secondo grado. La Cassazione interviene solo per verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e per controllare che la motivazione della sentenza impugnata sia logica, coerente e non contraddittoria.
Contestare la propria qualifica di amministratore di fatto basandosi su una diversa interpretazione delle prove significa chiedere alla Corte di Cassazione di svolgere un’attività che le è preclusa per legge: un nuovo giudizio di merito.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i motivi di ricorso inammissibili, fornendo chiarimenti essenziali.
Sul primo motivo, i giudici hanno affermato che le doglianze relative alla ricostruzione del ruolo di gestori di fatto erano inammissibili perché miravano a una “diversa valutazione delle prove”, attività estranea al sindacato di legittimità. La Corte ha sottolineato che la sentenza d’appello presentava una motivazione “non illogica” riguardo alle funzioni gestorie svolte dagli imputati, rendendo così la contestazione infondata in quella sede.
Anche il secondo motivo, relativo alla pena, è stato respinto. La Corte ha ritenuto che la decisione dei giudici d’appello fosse supportata da una motivazione “sufficiente e non contraddittoria” e da un’adeguata analisi delle argomentazioni difensive. Pertanto, anche questa critica rientrava in un ambito di merito non sindacabile in Cassazione.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
La pronuncia consolida un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. Per chi è accusato di essere un amministratore di fatto, ciò significa che le battaglie sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle prove devono essere combattute e vinte nei primi due gradi di giudizio. Una volta che una Corte d’Appello ha fornito una motivazione logica e coerente, le possibilità di ribaltare tale valutazione in Cassazione diventano estremamente ridotte. La decisione comporta la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a conferma della temerarietà di un ricorso che invade la sfera di competenza del giudice di merito.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione del giudice sul ruolo di amministratore di fatto?
No, non è possibile se la motivazione della sentenza d’appello è logica e non contraddittoria. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti o le prove, ma solo verificare la corretta applicazione della legge. La valutazione del ruolo di amministratore di fatto è considerata una ricostruzione fattuale di competenza dei giudici di merito.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una sanzione di 3.000 euro per ciascun ricorrente.
Perché il motivo sulla dosimetria della pena è stato respinto?
Il motivo è stato respinto perché la Corte di Cassazione ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse fornito una motivazione sufficiente, non contraddittoria e adeguata riguardo alla determinazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche. Anche questo tipo di valutazione rientra nell’ambito del giudizio di merito, non sindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 763 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 763 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 14/07/1979 NOME nato il 16/06/1968
avverso la sentenza del 21/03/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il primo motivo dei distinti ricorsi proposti da COGNOME e COGNOME con cui si lamenta il vizio di motivazione per essere gli stessi stati ritenuti amministratori della società rispetto alla quale è stata omessa la presentazione delle dichiarazioni f integrante il reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74 del 2000, non è consentito dalla legge nel gi cassazione, trattandosi di doglianze concernenti la ricostruzione del fatto e volte a prefig una diversa valutazione delle prove (in particolare della deposizione della teste COGNOME e de prove documentali) estranea al sindacato di legittimità, recando la sentenza non illog motivazione circa le funzioni gestorie svolte dagli imputati nella società formalme amministrata da una “testa di legno”;
Considerato che il secondo motivo dei ricorsi, con cui si lamenta il vizio di motivazi con riguardo alla dosimetria della pena e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, è parimenti consentito in sede di legittimità, afferendo al trattamento punitivo benché sorr diversamente da quanto si allega, da sufficiente e non contraddittoria motivazione e adeguat analisi delle doglianze difensive, peraltro soltanto genericamente rappresentate quanto pretese condotte post factum favorevolmente valutabili;
Ritenuto, pertanto, che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili e rilevato che declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Gssa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro per ciascun ricorrente;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processu e della somma di euro 3.000,00 in favore della Ossa delle ammende.
Così deciso il 1° dicembre 2023.