Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26681 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26681 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MONZA il 21/12/1964
avverso la sentenza del 20/05/2024 della Corte d’appello di Venezia Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Padova, emessa in data 21 novembre 2017, ha rideterminato la durata delle pene accessorie di cui all’art. 216 della Legge fall. in misura pari alla pena principale, confermando nel resto l’ impugnata sentenza.
L’imputato è stato condannato per i reati di bancarotta per distrazione e bancarotta documentale per avere, quale amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita nel novembre 2009, in concorso con COGNOME NOME e COGNOME NOME, distratto alcuni beni societari e somme di denaro nonché tenuto le scritture contabili in guisa da non consentire la ricostruzione del
patrimonio societario, con le aggravanti della recidiva specifica ed infraquinquennale, di avere cagionato alla società un danno patrimoniale di rilevante gravit à e dell’avere commesso più fatti di bancarotta.
L’imputato , per il tramite del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
2.1. Con primo motivo denuncia violazione di norma processuale, in particolare dell ‘art. 429, comma 1, cod.proc.pen ., in riferimento alla mancata indicazione, nell’incolpazione, delle attiv ità gestorie dalle quali desumere la qualifica di amministratore di fatto a suo carico.
Deduce che: aveva lamentato l’indeterminatezza del capo di imputazione in quanto era stato indicato come amministratore di fatto della società fallita pur senza alcuna indicazione degli elementi e atti di gestione che giustificavano tale assunto , dolendosi della violazione dell’art. 417 comma 1, lett. C) cod.proc.pen. ; tale doglianza, respint a dal Giudice dell’udienza preliminare, era stata riproposta in sede predibattimentale e, successivamente, attraverso i motivi di appello; la mancata indicazione del presupposto oggettivo per la contestazione della fattispecie penale aveva impedito l’ apprestamento di una efficace difesa.
2.2. Con secondo motivo denuncia violazione di norma processuale, in particolare erronea applicazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. in riferimento alle deposizioni testimoniali e degli imputati di reato connesso per mancanza di riscontri estrinseci.
La sentenza impugnata aveva ritenuto provato il ruolo di amministratore di fatto dell’imputato nella gestione della società fallita attraverso le dichiarazioni rese dagli originari coimputati, quali amministratori di diritto, dal teste COGNOME e dal curatore fallimentare. Peraltro, la COGNOME aveva ottenuto un trattamento sanzionatorio favorevole proprio in virtù delle dichiarazioni accusatorie rese nel corso delle indagini preliminari; il teste COGNOME aveva tenuto una condotta suscettibile di valutazione disciplinare, avendo intrattenuto rapporti tanto con la società quanto con la RAGIONE_SOCIALE e infine con l’Orsi. Inoltre, le dichiarazioni del curatore fallimentare, in quanto de relato , non potevano fungere da riscontro rispetto alle dichiarazioni dei coimputati.
2.3. Con un terzo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione all’articolo 133 cod. pen. in punto di valutazione dei parametri stabiliti per la commisurazione della pena.
2.4. Con quarto motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti e non prevalenti rispetto alle contestate aggravanti.
Il Sostituto Procuratore generale ha concluso chiedendo dichiararsi l’in ammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo , con cui la difesa si duole dell’ indeterminatezza del capo di imputazione, è manifestamente infondato.
L’art. 429, comma 2, cod. proc. pen. dispone che il decreto è nullo se manca o è insufficiente l’indicazione di uno dei requisiti previsti dal comma 1, lett. c) e f), ossia, per quanto qui rileva, se difetta l’enunciazione, in forma chiara e precisa, dei fatti.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, d’altra parte, «in tema di citazione a giudizio, il fatto deve ritenersi enunciato in forma chiara e precisa quando i suoi elementi strutturali e sostanziali sono descritti in modo tale da consentire un completo contraddittorio e il pieno esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato, che viene a conoscenza della contestazione non solo per il tramite del capo d’imputazione, ma anche attraverso gli atti che fanno parte del fascicolo processuale» (Sez. 3, n. 9314 del 16/11/2023, dep. 2024, Rv. 286023 -01; Sez. 5. n.16993 del 02/03/2020, Rv. 279090 -01) e a condizione che il medesimo abbia avuto effettivamente modo di esercitare le sue difese sull’intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Sez. 6, n. 47527 del 13/11/2013, COGNOME, Rv. 257278).
Nel caso in cui risulti elevata imputazione per un reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, che si sostanzia nell’imprimere ai beni dell’impresa una destinazione diversa dal soddisfacimento degli interessi della stessa da parte di soggetto evidentemente titolato a farlo, il focus della contestazione è rappresentato dalla condotta materiale distrattiva. La consapevolezza dell’imputato di ciò che gli viene contestato (Sez. 6, n. 40283 del 28/09/2012, Diaji, Rv. 253776; Sez. 5, n. 38588 del 16/09/2008, COGNOME, Rv. 242027) deve essere calibrata sulla descrizione degli elementi costitutivi della fattispecie ascritta ovvero sulla dimensione oggettiva della distrazione anche in rapporto alla sua dinamica incidenza rispetto alle vicende concorsuali dell’impresa.
Nella specie deve, pertanto, escludersi che sia configurabile una nullità del capo di imputazione per indeterminatezza del fatto contestato, risultando l ‘imputazione formulata in forma «chiara e precisa», come richiesto dall’art. 429 comma 1 lett. c) cod.proc.pen ., attraverso l’individuazione degli elementi costitutivi della condotta illecita anche attraverso il richiamo della qualità soggettiva di amministratore di fatto.
L ‘indicazione d ella superiore qualità, costituente presupposto del reato, è sufficiente ai fini della valutazione della completezza della incolpazione e della sua idoneità a consentire all’imputato un efficace esercizio della sua difesa, ferm a rimanendo la necessità di mantenere distinto, evidentemente, il piano della contestazione con quello della prova della medesima qualità, dimostrando, peraltro, le stesse deduzioni difensive che l’imputato ha avuto modo di controdedurre in modo pieno, senza alcuna menomazione delle sue prerogative, rispetto alla prospettazione accusatoria ed alla presupposta qualifica soggettiva della fattispecie di reato contestata.
2. Il secondo motivo è infondato.
La pronunzia evidenzia che l’affermazione di responsabilità dell’imputato è fondata, principalmente, sulle dichiarazioni rese all ‘ udienza dell ‘ 11.11.2016 da COGNOME NOME, originaria coimputata quale amministratore unico della società dichiarata fallita (esercente dal 2005 il noleggio di autovetture ed imbarcazioni di lusso), giudicata separatamente e nei cui confronti era stata applicata la pena di anni 2 di reclusione con sentenza ex art. 444 c.p.p. irrevocabile il 14.10.2015.
Quest’ultima ha riferito delle difficoltà finanziarie incontrate, collegate alla crisi di mercato, e del ruolo svolto in tale fase dall’imputato precisando che quest’ultimo, presentatosi come operatore finanziario estero, aveva nella fase finale amministrato di fatto la società, occupandosi dei dipendenti e dei fornitori, nonché trattando con le banche e tentando di effettuare un rilancio della stessa.
Le censure difensive, volte a contestare in radice il giudizio di attendibilità della COGNOME espresso dai giudici di merito, in considerazione della linearità e costanza delle dichiarazioni rese, anche in fase di indagini preliminari, sono del tutto generiche e non si confrontano con le ragioni della decisione che ha, altresì, valorizzato l’esistenza di elementi di riscontro costituiti dalle dichiarazioni rese dal teste COGNOME il quale ha riferito del l’impegno profuso dall’imputato nel pervenire ad un accordo con un istituto bancario, successivamente stipulato in presenza dell’Orsi e della Tognon.
La motivazione della sentenza impugnata è logica ed immune da vizi e la doglianza difensiva è inammissibile, oltre che generica e indeterminata, per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità, conducente, a norma dell’art. 591, co. 1, lett. c), cod.proc.pen., all’inammissibilità (cfr. Sez.4, n. 256 del 9 18/09/1997, COGNOME, Rv. 21015702; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568-01; Sez. 2, n. 11951 del
20/01/2014, Lavorato, Rv. 259435-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Botartour Sami, Rv. 277710-01).
Deve, altresì, considerarsi che si è in presenza di una “doppia conforme” e che, in tale ipotesi, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615). Ai limiti conseguenti all’impossibilità per la Cassazione di procedere ad una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori (per tutte: Sez. Un., 30/42/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944), si aggiunge l’ulteriore limite in forza del quale neppure potrebbe evocarsi il tema del “travisamento della prova”, a meno che (ma non è questo il caso, alla luce dei motivi di ricorso) il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano.
Sono manifestamente infondati il terzo e quarto motivo che investono la legittimità del trattamento sanzionatorio e la mancata concessione del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e sulla recidiva e sulle ritenute circostanze aggravanti.
In tema di circostanze, la concedibilità ed il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituiscono esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod.pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838 -02 n. 10379/1990, Rv. 184914; n. 3163/1988, Rv. 180654).
Deve, inoltre, considerarsi che la pena base si è attestata sul minimo edittale e che, nell’ipotesi di pena inferiore al medio edittale, l’irrogazione della stessa non deve essere motivata in modo specifico e particolarmente ampio, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod.pen., in quanto la sua applicazione rappresenta
il frutto di una valutazione intuitiva e globale operata dal giudice di merito in rapporto alla complessiva considerazione del fatto e alla personalità dell’imputato (Sez. 5, n. 11329 del 09/12/2019, Rv. 278788; Sez. 3 n. 38251 del 16/06/2016, Rv. 267949; Sez. 4 n. 46412 del 05/11/2015, Rv. 265283).
Nel caso in esame, le valutazioni della Corte d’appello, anche se concise, non possono dirsi apparenti o insufficienti, avendo messo in luce l’insussistenza di elementi positivi idonei a giustificare un giudizio di prevalenza e, d’altra parte, il positivo comportamento processuale del medesimo (consistito ne ll’avere consentito l’acquisizione di molti atti processuali) risulta già posto a fondamento, da parte del Tribunale, della decisione di concedere le medesime circostanze attenuanti generiche.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 22/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
NOME COGNOME
NOME COGNOME