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Amministratore di fatto: Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36328/2024, ha confermato la condanna per reati tributari a carico dell’amministratore di fatto e di quello di diritto di una società. La Corte ha ribadito che l’amministratore di fatto è pienamente responsabile per la gestione, mentre l’amministratore di diritto non può sottrarsi a responsabilità, specialmente se compie atti attivi e consapevoli. I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Fatto: Chi Gestisce Davvero Risponde dei Reati Tributari

La figura dell’amministratore di fatto è centrale in una recente pronuncia della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna per reati fiscali a carico sia del gestore occulto sia dell’amministratore formalmente in carica. La sentenza n. 36328/2024 ribadisce un principio cardine del diritto penale societario: la responsabilità penale segue la gestione effettiva, non la mera carica formale. Chi agisce come dominus di una società, anche dopo le dimissioni formali, non può sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni illecite.

I Fatti del Processo: una Gestione Occulta

Il caso riguarda una società cooperativa per la quale sono stati condannati due soggetti per omessa presentazione della dichiarazione IVA (art. 5 d.lgs. 74/2000) e, per uno di essi, anche per occultamento di scritture contabili (art. 10 d.lgs. 74/2000).

Il primo imputato, dopo essere stato amministratore unico, aveva rassegnato le dimissioni formali, ma secondo l’accusa aveva continuato a gestire la società come amministratore di fatto. A sostegno di questa tesi, i giudici di merito hanno valorizzato diverse prove:

* La testimonianza di una dipendente che lo indicava come punto di riferimento costante per ogni problematica aziendale.
* Le comunicazioni via email in cui trattava la società come cosa propria, proponendo operazioni straordinarie.
* Il suo ruolo attivo nell’imporre la nomina del secondo imputato come nuovo amministratore di diritto, una persona a lui legata da rapporti personali di lunga data.

Il secondo imputato, l’amministratore di diritto subentrato, si è difeso sostenendo di essere una semplice “testa di legno”, un mero esecutore di ordini altrui. Tuttavia, le corti di merito hanno accertato il suo coinvolgimento attivo in diverse operazioni illecite, come l’utilizzo di un professionista per ottenere indebite compensazioni, la gestione di fondi neri e la falsa denuncia di furto delle scritture contabili.

La Responsabilità dell’Amministratore di Fatto e di Diritto

La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, confermando le condanne. La decisione si fonda su principi giuridici consolidati e sulla corretta valutazione delle prove da parte dei giudici di merito.

I giudici hanno ritenuto che i ricorsi fossero meri tentativi di ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Quando le sentenze di primo e secondo grado giungono alla medesima conclusione (cosiddetta “doppia conforme”), per ottenere un annullamento in Cassazione è necessario dimostrare un vizio logico o giuridico palese, e non semplicemente proporre una lettura alternativa delle prove.

Le Motivazioni

La Corte ha spiegato che le prove raccolte dimostravano in modo inequivocabile il ruolo di gestore occulto del primo imputato. Le sue azioni non potevano essere liquidate come semplice “supporto” o “intermediazione”, ma costituivano un esercizio continuativo dei poteri tipici dell’amministratore. Di conseguenza, su di lui ricadevano le responsabilità penali per l’omessa dichiarazione fiscale.

Per quanto riguarda l’amministratore di diritto, la Cassazione ha respinto la tesi della “testa di legno” irresponsabile. La giurisprudenza è pacifica nell’affermare che l’amministratore formalmente in carica concorre sempre nei reati commessi dall’amministratore di fatto, quantomeno a titolo di “omesso impedimento”. Egli ha il dovere giuridico di vigilare sulla gestione. Nel caso specifico, la Corte ha evidenziato che la responsabilità non derivava da una semplice omissione, ma da una serie di comportamenti attivi e consapevoli (commissivi), che dimostravano il suo pieno coinvolgimento nell’attività illecita. La falsa denuncia del furto delle scritture contabili, ad esempio, è stata considerata la prova definitiva del suo dolo e della sua partecipazione attiva al reato di occultamento.

Le Conclusioni

La sentenza 36328/2024 lancia un messaggio chiaro: nel diritto penale tributario e societario, le etichette formali contano meno della sostanza. Chi gestisce di fatto un’impresa è pienamente responsabile per i reati commessi nella sua gestione. Allo stesso tempo, chi accetta di ricoprire formalmente la carica di amministratore non può considerarsi un mero scudo. Accettare tale ruolo comporta doveri di vigilanza e controllo il cui inadempimento, soprattutto se accompagnato da condotte attive e consapevoli, porta a una piena responsabilità penale in concorso con il gestore occulto.

Chi è l’amministratore di fatto e quali sono le sue responsabilità?
L’amministratore di fatto è colui che, pur senza una nomina formale, esercita concretamente e continuativamente i poteri di gestione di una società. Secondo la sentenza, egli è considerato pienamente responsabile per i reati commessi durante la sua gestione, come l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali, al pari di un amministratore regolarmente nominato.

L’amministratore di diritto (o “testa di legno”) può essere ritenuto responsabile per i reati commessi dall’amministratore di fatto?
Sì. La giurisprudenza consolidata, confermata da questa sentenza, stabilisce che l’amministratore di diritto concorre sempre nei reati dell’amministratore di fatto, quanto meno per non averli impediti. La sua responsabilità è ancora più evidente quando, come nel caso di specie, compie atti commissivi e consapevoli che agevolano l’illecito, dimostrando un pieno coinvolgimento psicologico.

Perché i ricorsi sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte di Cassazione?
I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili perché la Corte ha ritenuto che gli imputati non abbiano sollevato reali vizi di legge o di motivazione, ma si siano limitati a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte con motivazione adeguata dai giudici di primo e secondo grado. Un ricorso in Cassazione non può mirare a ottenere una nuova valutazione delle prove, ma solo a contestare errori giuridici della decisione impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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