Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16135 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16135 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Calcinate il 21/04/1965
COGNOME NOME nato a Sarnico il 17/04/1971
avverso la sentenza del 30/05/2024 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore’ NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza per quanto riguarda COGNOME NOME e l’annullamento con rinvio relativamente a COGNOME NOME.
udito il difensore della parte civile, Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi, deposita conclusioni e nota spese;
uditi i difensori degli imputati, avv. NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME che hanno concluso illustrando i motivi di ricorso e chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Milano, in sede di annullamento con rinvio della pronuncia resa in data 11 novembre 2022, disposto con sentenza di questa Corte, sezione Quinta penale, del 15 novembre 2023, n. 48826 – 23, ha confermato la condanna, pronunciata dal Giudice per le
indagini preliminari del Tribunale in sede all’esito di giudizio abbreviato, in data 26 novembre 2021, nei confronti anche di NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente alle pene di anni sei e sette di reclusione (oltre alle pene accessorie), per reati fallimentari e tributari contestati come commessi, da entrambi, nella qualità di amministratori di fatto della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata falli il 21 giugno 2018.
1.1. Le due sentenze di merito hanno recepito la tesi accusatoria secondo la quale la predetta società era formalmente amministrata, dal 21 marzo 2014 fino alla data del fallimento, da NOME COGNOME ma sostanzialmente gestita dai ricorrenti.
RAGIONE_SOCIALE secondo tale impostazione, è stato il regista delle operazioni, di fatto continuando sotto il nuovo schermo societario l’attività di due società a lui stesso riferibili; COGNOME ha agito, a sua volta, continuativamente, ingerendosi nella gestione della società poi avviata al fallimento.
Il capo 1 contesta agli imputati, in concorso, la dissipazione di un immobile, acquistato per l’importo di 137.000,00 euro e subito dopo ceduto a meno della metà del prezzo di acquisto, nonché la distrazione di risorse economiche, per oltre 12 milioni di euro, trasferite a terzi estranei a mezzo bonifico, la distrazione di gioielli e orologi per circa 90.000,00 euro complessivi, nonché di un’autovettura Audi.
Inoltre, sempre al capo 1, si ascrive agli imputati il concorso nella bancarotta fraudolenta documentale nonché di aver cagionato il dissesto mediante il sistematico accumulo di debiti tributari, per oltre 24 milioni di euro.
Il capo 2 contesta agli odierni ricorrenti, in concorso, i reati di cui agli art 2, 8 e 10 -quater, comma 2, d. Igs. n. 74 del 2000, nella medesima qualità di amministratori di fatto della società RAGIONE_SOCIALE che ha emesso fatture per operazioni inesistenti per circa 1,6 milioni di euro, avvalendosi nelle dichiarazioni fiscali di fatture parimenti fittizie per oltre 10 milioni di euro, nonché utilizzand in compensazione crediti Iva inesistenti, per circa 294.000,00 euro.
In favore del fallimento, costituitosi parte civile, gli imputati sono stat condannati al risarcimento dei danni, definitivamente liquidati in 37.490.000,00 euro, con statuizione provvisoriamente esecutiva.
Infine, è stata disposta la confisca dei beni già sequestrati, nonché di ulteriori somme, fino alla concorrenza di 4.575.504,79 euro.
1.2. La sentenza rescindente, quanto ad Acerbis, riscontrava vizio di motivazione in relazione al primo motivo di appello relativo agli elementi di prova a carico, onde qualificare il ricorrente come amministratore di fatto della fallita, rinviando per nuovo esame sui punti indicati, analiticamente, a p. 7 e ss. della sentenza di annullamento con rinvio.
Ciò in quanto la Corte di cassazione ha rilevato che, a fronte dei rilievi critici contenuti nel primo motivo di appello, la Corte territoriale, nella prima pronuncia di appello, si era limitata a reputare prova decisiva quella documentale, rappresentata dalla nota della Guardia di Finanza 06492415, del 6 novembre 2015, allegata alla relazione del curatore fallimentare e la stessa relazione ex art. 33 Legge fall. (p. 27 della prima sentenza di appello), per poi trascrivere, senza commento alcuno, taluni passaggi dell’uno e dell’altro documento (p. 2829 della sentenza annullata con rinvio).
Per COGNOME la Corte di cassazione riscontrava analogo vizio di motivazione, evidenziando che i rilievi mossi, nell’atto di appello, erano rimasti privi di risposta in punto qualificazione di amministratore di fatto del ricorrente, perché la Corte di appello, con la prima sentenza, in poche righe contenute a p. 24, con un richiamo alla decisione di primo grado, riepilogata alle p. 21-23, si era limita a richiamare in maniera generica delle e-mail, aggiungendo che nessun rilievo assumeva la vicenda del licenziamento dello COGNOME perché essa «non ha alcuna incidenza decisiva sul fatto che egli fosse ancora amministratore di fatto» e aveva ritenuto «marginalmente significativa» la vicenda relativa alla procura rilasciata allo COGNOME.
Su tale ultimo punto, la sentenza rescindente ha notato, specificamente, che la prima pronuncia di secondo grado aveva, indebitamente, svalutato la procura rilasciata al ricorrente.
Si è richiamato, invece, il principio di diritto secondo il quale la prova della qualifica di amministratore di fatto può trarsi anche dal conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, sia sintomatica dell’esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale (Sez. 5, n. 2793 del 22/10/2014, dep. 2015, Senneraro, Rv. 262630), affermando che ciò è vero purché non ci si limiti a considerare il contenuto della procura, senza verificare che vi sia stato svolgimento effettivo dell’attività che la procura autorizzava a compiere (cfr. Sez. 5, n. 4865 del 25/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282775).
La sentenza rescindente ha concluso che, nel caso concreto, la rilevanza della procura era stata del tutto svalutata dalla Corte di appello, senza confrontarne il contenuto e il suo concreto esercizio rispetto ai rilievi critici svol nell’atto di appello.
Anche l’inserimento organico dello COGNOME in alcuni soltanto dei settori gestionali della società, secondo la Corte di cassazione, era stato meramente affermato con un rinvio per relationem alla sentenza di primo grado, senza argomentare rispetto ai rilievi critici che, a quella sentenza, l’atto di appello aveva formulato.
La Corte territoriale, con la sentenza impugnata, ha confermato la pronuncia di primo grado per entrambi gli imputati, con argomentazioni espresse a p. 8 e SS.
Propongono tempestivi ricorsi per cassazione COGNOME e COGNOME attraverso i difensori di fiducia, denunciando con i motivi di seguito riassunti, nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., plurimi vizi.
2.1. NOME COGNOME affida il ricorso a undici motivi.
2.1.1. Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione perché la Corte territoriale si sarebbe limitata a richiamare il vizio riscontrato dalla sentenza rescindente, rispondendo con un testo disorganico e viziato da violazione di legge, con travisamento probatorio, attraverso un ragionamento apodittico, disattendendo il principio di diritto enunciato dalla sentenza di annullamento.
2.1.2. Con il secondo motivo, dopo aver descritto le funzioni gestorie, tipiche dell’amministrazione di società (cfr. p. 2 del ricorso), nonché i criteri normativi e giurisprudenziali che presiedono all’attribuzione della qualità di amministratore di fatto (cfr. p. 3 e ss.), si denuncia vizio di motivazione quanto all’accertamento delle funzioni di gestione, regia e di intervento nella società in capo all’imputato.
2.1.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione.
Rispetto all’assunto della sentenza impugnata (cfr. p. 15 e 16) nella parte in cui questa assume che la costituzione della fallita, fin dagli esordi, era orientata alla realizzazione di profitto illecito a danno dei creditori, con attuazione delle attività, in gran parte, preordinate dai ricorrenti, in concorso, alla realizzazione di profitto in danno della massa, si rileva che le risultanze probatorie indurrebbero a conclusioni di segno contrario.
rA) ‘ 2.1.4. Con il quarto motivo si denuncia travisamento della prova nonché vizi di cui all’art. 606, lett. c) ed e) cod. proc. pen., sotto plurimi aspetti.
2.1.4.1. La sentenza impugnata attribuisce valore probatorio al rilascio della procura qualificata come generale, da parte dell’amministratore di diritto all’imputato, in data 21 marzo 2014.
La procura, unitamente a un complesso di documenti, è stata reperita, secondo la sentenza impugnata, in maniera casuale da parte del curatore, nell’Ufficio temporaneo della RAGIONE_SOCIALE di Bergamo, in uso alla società fallita.
Tale rinvenimento casuale è stato ritenuto indice sicuro dell’intento di mantenere occulta la gestione della fallita da parte dell’imputato. Infatti, l’amministratore di diritto, a richiesta del curatore, non aveva consegnato alcuna documentazione, se non alcune fatture degli anni 2015 e 2016, il libro giornale incompleto del 2016, ma non la descritta procura.
Tale affermazione, per il ricorrente, sarebbe frutto di travisamento probatorio determinato dalla mancata considerazione di altra risultanza: il curatore ha fatto accesso all’Ufficio della Maxicubo di Bergamo, in data 10 settembre 2018 e aveva già acquisito copia della procura rilasciata a COGNOME dallo RAGIONE_SOCIALE, da questo inviata a mezzo e-mail del 10 agosto 2018 (cfr. prima relazione del curatore fallimentare, allegata al ricorso).
COGNOME peraltro, non è mai stato escusso dal curatore e, quindi, non può essergli attribuita la condotta di mancata consegna della procura.
Questa osservazione, secondo la Corte territoriale, contenuta nell’appello ,i mirerebbe a sviare, da parte della difesa, l’attenzione dal carattere oggettivo del ritrovamento del documento, peraltro, in un luogo lontano dalla sede sociale della fallita e anche dall’abitazione dell’imputato, ma sotto il suo controllo.
Invece, la difesa sostiene che il curatore ha acquisito la procura dallo studio RAGIONE_SOCIALE, committente di RAGIONE_SOCIALE, prima dell’accesso al Maxicubo di Bergamo, rimarcando che la circostanza non corrobora la tesi accusatoria secondo la quale COGNOME agiva, dietro le quinte, senza rivelare il suo ruolo effettivo.
Secondo la Corte di appello, poiché nei confronti di COGNOME e COGNOME vi erano già precedenti e si trattava di soggetti all’attenzione della Guardia di finanza, questi avevano interesse a mantenere occulto il loro ruolo effettivo all’interno della RAGIONE_SOCIALE Di qui, secondo la Corte territoriale, l’infondatezza dell’obiezione difensiva secondo la quale la procura, nella specie, non era stata utilizzata in concreto.
La Corte di appello rileva che la procura è stata rilasciata nel medesimo giorno in cui l’amministratore di diritto ha assunto la carica ed è stata occultata dall’imputato.
Ma, secondo il ricorrente, in tale parte, la motivazione violerebbe il dictum della sentenza rescindente secondo la quale la prova della qualifica di amministratore di fatto può trarsi anche dal conferimento di una procura generale, purché il giudice non si limiti a considerare il contenuto di questo atto, ma segua l’accertamento di un concreto ed effettivo svolgimento dell’attività che la procura autorizzava a compiere.
Dunque, l’imputato non ha mantenuto occulto il suo ruolo, tanto che la procura è stata rinvenuta allo studio RAGIONE_SOCIALE, committente di Zeta, i cantieri del quale erano seguiti da COGNOME
Questa procura, per il ricorrente, è stata impiegata unicamente con il committente Arese, ma non usata per stipulare contratti, atti non contenuti nella documentazione contabile trasmessa al curatore dal medesimo committente.
Si richiama il resoconto del curatore, nella prima relazione fallimentare, nel quale non si fa alcun cenno allo COGNOME.
La procura, peraltro, non è stata iscritta nel registro delle imprese, dunque, non era opponibile a terzi; sicché appare infondato il ragionamento della Corte territoriale secondo cui la procura era detenuta da COGNOME allo scopo di operare laddove il titolare di diritto del potere di amministrazione non avesse seguito le indicazioni dei reali gestori della fallita.
Si denuncia, inoltre, travisamento delle dichiarazioni di COGNOME, rese davanti al Giudice per le indagini preliminari.
Secondo la difesa, l’imputato ha dichiarato che aveva già dei cantieri in corso e dei cantieri importanti. I clienti di questi cantieri si fidavano di lui poiché questi volevano interfacciarsi con COGNOME personalmente, questi aveva dichiarato al Giudice, di aver chiesto una procura speciale per poter firmare personalmente i contratti.
Sicché, sarebbe frutto di travisamento di queste dichiarazioni l’affermazione della Corte di appello nella parte in cui sostiene che il rilascio della procura, secondo lo stesso imputato, era atto a dimostrare il potere di controllo assunto all’interno della società.
Ancora, si rimarca che la procura non è generale, ma è una delega limitata e de specifica, in ragione all’oggetto sociale (quello edile).
Secondo la Corte territoriale, invece, COGNOME era autorizzato a firmare tutti i contratti da stipularsi con i committenti, fornitori di materiali e attrezzature, contratti di subappalto e appalto, contratti con eventuali acquirenti degli immobili realizzati dalla società o di sua proprietà. Si osserva che lo stesso curatore fallimentare ha rilevato che COGNOME si occupava di specifici cantieri e non risulta alcun contratto stipulato mediante la procura dall’imputato. Illazione arbitraria è, poi, l’assunto secondo cui sarebbe da desumere che prima di questa procura ne fosse stata rilasciata dal precedente amministratore, COGNOME, un’altra mai reperita.
2.1.4.2. Si denuncia vizio di illogicità della motivazione e travisamento delle dichiarazioni delle dipendenti, segretarie della fallita, indicate a p. 12 del ricorso.
Per la difesa, in base a tali dichiarazioni, COGNOME non si occupava dell’intero settore produttivo della società, ma soltanto di alcuni cantieri, né si occupava della contabilità della societama soltanto di quella relativa ad alcuni cantieri.
2.1.4.3. Si denuncia vizio di travisamento probatorio quanto al ritenuto controllo generale, da parte di COGNOME, dei conti correnti bancari della società, all’esistenza di deleghe per operare presso le banche, all’esistenza di rapporti con professionisti della società.
Tutte le attività di controllo delle entrate e uscite dai conti correnti dell società, indicate come generali da parte della Corte di appello, si sono limitate, invece, soltanto a operazioni per i cantieri che COGNOME seguiva. COGNOME, infatti, non
aveva delega a operare presso le banche, ma controllava i conti legati all’operatività dei cantieri che questi coordinava.
L’imputato non aveva deleghe per operare sui conti correnti bancari della società, come riferito dal curatore in data 12 febbraio 2019 (all. 7 al ricorso).
Secondo la Corte di appello, questo elemento non avrebbe valore significativo perché, quando COGNOME non poteva operare, interveniva Acerbis secondo un riparto di responsabilità e controlli reciproci.
Invece, tale mancanza di deleghe bancarie è, per la difesa, un elemento che propende per l’estraneità dell’imputato dalla gestione della società, come confermato dalle dichiarazioni rese dall’impiegata dell’istituto dove la RAGIONE_SOCIALE aveva un conto corrente di rilevante impiego, la quale non ha indicato COGNOME tra i soggetti che, su questo conto, potevano operare.
COGNOME per la difesa, non partecipava alla scelta dei professionisti e non aveva rapporti con questi e questo è un dato che, secondo il ricorrente, è espressione di estraneità alla regia e alla strategica gestione dell’ente. Infatti, tra le funzio gestorie proprie dell’amministratore di fatto vi è proprio la scelta e i rapporti con i professionisti che operano nell’interesse dell’impresa.
2.1.4.4. Il curatore ha reperito una serie di e-mail tra COGNOME e la società . numero pari a 3500 in entrata e 3500 in uscita, dal marzo 2015 a luglio 2010, producendone solo nove, operando una scelta frutto di una selezione esemplificativa, eseguita con criteri campionari non meglio precisati. La sentenza di primo grado tra queste e-mail fa riferimento ad alcune che si riferiscono ai cantieri specifici seguiti da COGNOME, mentre la sentenza impugnata ne considera quattro ed altre cumulativamente (cfr. p.21).
Il contenuto di queste e-mail è, per la difesa, travisato dalla Corte territoriale. A p. 18 e ss. se ne riporta, per ciascuna e-ma#, il contenuto e si sostiene che da queste emerge che COGNOME si occupava di situazioni rimaste in sospeso con la liquidazione della RAGIONE_SOCIALE e che riguardavano suoi ex clienti o persone vicine, per rapporti di colleganza. Anzi, si osserva che, da una di queste, del 16 febbraio 2017, emergerebbe che COGNOME si preoccupava della sorte di tre operai, vista la messa in liquidazione della società e dava indicazioni attinenti a rapporti personali non alla società.
2.1.5. Con il quinto motivo si denuncia vizio di motivazione per omessa valutazione di risultanze probatorie decisive e travisamento della prova sotto due aspetti.
2.1.5.1. La sentenza impugnata evidenzia il coinvolgimento di COGNOME nella bancarotta fraudolenta della società di famiglia, invece, nessun rilievo probatorio può ravvisarsi circa il pregresso coinvolgimento dell’imputato nel fallimento della RAGIONE_SOCIALE, storica attività della famiglia che aveva subito la cris immobiliare del periodo.
Riguardo alle vicende successive, la Corte territoriale attribuisce rilievo alla presenza di COGNOME e di sua moglie, nei locali della RAGIONE_SOCIALE, durante la perquisizione svolta dalla Guardia di finanza.
Si osserva che, invece, entrambi erano sopraggiunti rispetto alla perquisizione, perché chiamati su indicazioni di persone che si occupavano di uffici, estranei alla RAGIONE_SOCIALE, della quale l’imputato e sua moglie erano stati dipendenti, il primo, dal 18 aprile 2011 al 14 febbraio 2012, la seconda, dal 22 gennaio 2013 al 30 giugno 2015.
COGNOME poi, secondo la Corte territoriale ha svolto attività di lavoratore dipendente nella RAGIONE_SOCIALE, dal 2 febbraio 2012 al 17 aprile 2012. Tale dato probatorio non è significativo, a parere della difesa, perché COGNOME è stato assunto quando la società edile della famiglia aveva cessato l’attività, per la crisi che ne aveva determinato il fallimento, dichiarato il 6 marzo del 2012. Questi, poi, è stato assunto come dipendente della RAGIONE_SOCIALE il 18 aprile 2012, nel medesimo contesto perché rimasto senza lavoro.
La Corte di appello omette di considerare che nelle precedenti indagini, denominate Golden brick n. 1 e 2, COGNOME non è mai stato coinvolto come risulterebbe dalla documentazione indicata a p. 24 del ricorso.
Quindi, per il ricorrente, non vi sarebbe alcun dato probatorio da cui inferire rapporti di operatività tra Zini e RAGIONE_SOCIALE, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata e come confermato dalle dipendenti, le segretarie COGNOME e COGNOME, che non fanno mai riferimento al rapporto operativo di Zini con RAGIONE_SOCIALE.
2.1.5.2. Si denuncia travisamento probatorio quanto alle modalità di costituzione della società RAGIONE_SOCIALE costituita dalla moglie di COGNOME e non da NOME COGNOME con travisamento della visura della Camera di Commercio.
2.1.6. Con il sesto motivo si deduce l’insussistenza del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, con riferimento a tre fatture.
Il ricorso si riferisce alle fatture n. 414, 463 e 489, rilasciate alla RAGIONE_SOCIALE, società per la quale la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto eseguire dei lavori mai realizzati, perché la RAGIONE_SOCIALE era ormai in liquidazione e non più operativa.
Si richiama la deposizione testimoniale resa da NOME COGNOME che ha dichiarato che le fatture n. 414 del 31 dicembre 2016 e n. 489 del 30 novembre 2016, erano state regolarmente contabilizzate e si riferivano a lavori che, non essendo mai stati eseguiti, non erano stati pagati. Ciononostante, le fatture non erano state stornate in quanto non pervenute le note di credito. Si rimarca che COGNOME era stato licenziato da Zeta il 30 gennaio 2016.
2.1.7. Con il settimo motivo si denuncia vizio di motivazione con riferimento alla valutazione dell’avvenuto licenziamento in data 30 gennaio 2016 dell’imputato da RAGIONE_SOCIALE
Secondo la Corte d’appello, non è necessario conoscere le motivazioni del licenziamento dell’imputato, anzi, la richiesta di essere riassunto, diretta alla segretaria, secondo la sentenza impugnata, è espressione del potere decisionale di COGNOME il quale comunque proseguiva la sua attività nella società. Risulta, invece, significativa, per la difesa, la valutazione delle ragioni del licenziamento perché questo, secondo la deposizione della segretaria COGNOME, era avvenuto perché il volume di lavoro era calato, in base alla spiegazione ricevuta dalla segretaria dall’amministratore di diritto, non vi erano più lavori e gli operai erano stati a loro volta licenziati.
Per la difesa, visto tale contesto, è del tutto fuorviante asserire che il licenziamento è avvenuto in prossimità del fallimento, il quale, invece, risale al 21 giugno del 2018. Anzi, risulta che COGNOME, il 12 giugno 2017, aveva chiesto alla RAGIONE_SOCIALE di essere assunto nuovamente.
Si richiama giurisprudenza di merito civilistica orientata nel senso di escludere che il dipendente possa essere qualificato amministratore di fatto. Ciò in quanto la posizione di lavoratore, subordinato o autonomo, attribuisce una posizione di soggezione ai poteri di direttiva dell’amministratore di diritto, mentre la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto, con funzioni direttive in qualsiasi fase della società.
2.1.8. Con l’ottavo motivo si denuncia vizio di motivazione quanto agli elementi di fatto dimostrativi degli indici fissati dalla giurisprudenza di legittimit in base ai quali accertare le funzioni di gestione, regia e intervento nelle fasi nevralgiche della società, proprie dell’amministrazione di fatto.
Si richiama l’art 2639 cod. civ. e si afferma che questo, nel disporre l’equiparazione delle qualifiche soggettive in ordine ai reati a cui si riferisce, è incentrato sui poteri tipici inerenti alla qualifica. In settori diversi da que cantieristico, COGNOME comunque, non ha avuto alcuna operatività e, anzi, si trovava nella medesima situazione riconosciuta agli amministratori di diritto senza delega.
Rispetto a tale categoria il ricorrente segnala che è necessario che vi sia prova dell’effettiva conoscenza del reato, quantomeno di segnali di allarme inequivocabili, dai quali desumere l’accettazione del rischio del verificarsi del reato, secondo i criteri propri del dolo eventuale nonché la prova della volontà di non attivarsi per impedirlo, in guisa di dolo indiretto. Su tale punto la sentenza impugnata sarebbe del tutto priva di motivazione. Infatti, l’art. 40, comma
secondo, cod. pen. richiede per l’operatività del precetto elementi costitutivi della fattispecie legale del reato.
2.1.9. Con il nono motivo si deduce omesso accertamento dei fatti reato contestati, con violazione degli artt. 2639, comma primo, cod. civ. e 533 cod. proc. pen.
Il primo giudice aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato per tutti i fatti contestati, senza motivazione sull’esistenza delle fattispecie ascritte come se l’amministratore di fatto, per ciò solo, rispondesse di tutti i reati commessi nella società, da altri.
Invece, per la giurisprudenza di legittimità, necessita / ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’amministratore di fatto, che sussistano comportamenti, a questo addebitabili, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, anche in caso di colpevole e consapevole inerzia, in applicazione dell’art. 40, comma secondo, cod. pen.
Nessuno dei fatti contestati, invece, è dovuto ad inerzia colpevole, ascrivibile all’imputato. Questi,,si è limitato a seguire alcuni cantieri, mentre in altri ambiti di azione dell’ente è rimasto estraneo, in assenza di elementi dai quali trarre la sua consapevolezza delle condotte illecite attuate da altri.
A p. 33 e ss. del ricorso si esaminano, singolarmente, gli argomenti spesi dal primo giudice (per estratto), per ritenere configurabile il concorso dell’imputato nelle condotte ascrittegli, assumendo che, alla motivazione del primo giudice, la sentenza impugnata non aggiunge argomenti se non quelli indicati a p. 35 del ricorso.
Si segnala che COGNOME aveva avuto accesso all’ufficio in cui è stata trovata la documentazione di RAGIONE_SOCIALE, appartenente alla RAGIONE_SOCIALE perché, fino a poco tempo prima, era stato dipendente di quest’ultima società; che il paese di Zini non è limitrofo a quello dei beneficiari degli atti distrattivi, ch professionisti della RAGIONE_SOCIALE erano vicini ad Acerbis, ma non a COGNOME, come da relazione ex art. 33 legge fall. del curatore fallimentare.
Non è vero, poi, che la difesa non aveva contestato, quanto agli specifici reati, solo la qualifica di amministratore di fatto di COGNOME, avendo devoluto la questione della sussistenza degli estremi della responsabilità ex art. 40 cod. pen., anche con quanto esposto a p. 36 e ss. dell’atto di appello.
Si evidenzia, poi, che il rapporto tra il ricorrente e COGNOME, in relazione alla RAGIONE_SOCIALE, attività non specializzata in lavori edili, viene indicato dalla Corte di appello come persistente e, invece, l’assunto si basa su una sola e-mail intercorsa tra COGNOME e la società.
Con riferimento alla distrazione dell’autovettura Audi di cui al capo C, si osserva che la vettura era stata acquistata ls all’epoca in cui era amministratore NOME COGNOME, cioè nel 2008. La sentenza omette di considerare che il
notaio, nella redazione dell’atto, aveva omesso l’indicazione della vettura quale bene aziendale; cosicché tutti gli amministratori, subentrati a Misuraca, a partire da COGNOME in poi, non potevano essere a conoscenza dell’esistenza di un’autovettura di proprietà della società.
2.1.10. Con il decimo motivo si denuncia inosservanza dell’ad. 63, comma terzo e quarto, cod. pen. e vizio di motivazione.
Il Giudice per le indagini preliminari ha quantificato la pena base nella misura di anni quattro e mesi sei di reclusione, la ha aumentata della metà, per effetto della recidiva di cui all’ad. 99, comma terzo, cod. pen., fino ad anni sette di reclusione ulteriormente aumentandola, per la circostanza aggravante e per la continuazione con i restanti capi di imputazione, fino ad anni nove di reclusione, ridotta per il rito a quella di anni sei di reclusione.
Con l’atto di appello.la difesa aveva chiesto l’esclusione della recidiva e il contenimento della pena base nel minimo edittale, senza alcun aumento ai sensi dell’ad 63, comma quarto, cod. pen. nonché la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte di appello ha considerato equa la pena base, tenuto conto della ripercussione della condotta sulla situazione economica della società che ha provocato un copioso danno erariale, nonché ha valutato congruo il quantum degli aumenti per la acclarata gravità dei fatti e la personalità dell’imputato.
Si sostiene che gli stessi elementi sono stati valutati sia ai fini della dosimetria della pena, sia per il suo aggravamento.
Inoltre, e per quanto concerne l’applicazione dell’art. 63 comma quarto, cod. pen., la censura devoluta riguardava non tanto l’entità dell’aumento per le circostanze aggravanti ad effetto speciale, quanto la necessità di non apportare alcun aumento ex art. 63, comma quarto, cod. pen., perché facoltativo. L’aumento per la circostanza di cui all’art. 219 legge fall., invece, è stato operato dal primo giudice con giustificazione affidata a mera formula di stile e dalla Corte di appello senza esplicitarne le ragioni, trascurando che, invece, incombe uno specifico dovere di motivazione quando il giudice, dopo aver quantificato la pena relativa alla circostanza più grave, ritenga di procedere ad un ulteriore aumento nella misura massima consentita dall’ad. 63, comma quarto, cod. pen.
2.1.11. Con l’undicesimo motivo si denuncia erronea applicazione degli artt. 133 e 62 -bis cod. pen., mancanza di motivazione in ordine al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, valutazione dei medesimi fatti sia ai fini della quantificazione della pena, sia per il suo aggravamento.
La prima sentenza aveva ritenuto inesistenti elementi favorevoli per concedere le circostanze attenuanti, in ragione dell’esperienza maturata in altre società gestite da COGNOME con il medesimo modus operandi.
La Corte di appello ha confermato tale diniego ritenendo rilevante la pervicace negazione della responsabilità, nelle diverse sedi di giudizio, da parte dell’imputato, omettendo di valutare le doglianze della difesa svolte con l’atto di appello.
Il Giudice di primo grado ha dichiarato l’insussistenza di elementi da valutare in maniera favorevole, facendo richiamo alle dichiarazioni rese all’udienza del 26 novembre 2021, mentre la Corte di Appello ha ritenuto sufficiente, ai fini del diniego, la pervicacta. negazione di responsabilità, senza considerare che la protesta di innocenza, pur a fronte di evidente colpevolezza non può essere, da sola, assunta come elemento decisivo sfavorevole alla concessione del beneficio, richiamando giurisprudenza anche della Suprema Corte a Sezioni Unite indicata come in termini (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012).
L’ultimo rilievo attiene all’utilizzazione dello stesso elemento ai fini della dosimetria della pena e dell’operatività della circostanza aggravante di cui all’art. 219 legge fall. Per il ricorrente, non è legittimo da parte del giudice fare riferimento agli stessi precedenti penali per la determinazione della pena base da erogare per il reato e la determinazione dell’aumento di pena per la recidiva, in quanto non si considererebbe che a norma dell’art. 63, comma primo, cod. pen., l’aumento o la diminuzione della pena, previsti da circostanze tipizzate, presuppongono una base di calcolo che esclude dai suoi elementi di valutazione quello stesso fatto che, appunto, integrando la circostanza, aggraverebbe o attenuerebbe la pena (si richiama Sez. 3, n. 40765 del 12/10/2015).
Entrambi i giudici di merito invece si riferiscono alla personalità dell’imputato, alla gravità dei fatti sia per determinare l’entità della pena base, quella degli aumenti per le aggravanti e per i reati posti in continuazione.
2.1.12. La difesa di COGNOME ha fatto pervenire, con p.e.c. del 18/12/2024, motivi aggiunti.
2.1.12.1. Con un primo motivo la difesa contesta vizio di motivazione e travisamento della prova.
Il ricorrente, preliminarmente, produce in allegato sentenza n. 4653 del 2023, della Corte di appello di Milano, relativa al capo 2) lett. sub. c), contestato a COGNOME e Acerbis in concorso, oggetto, per COGNOME, di stralcio, confluito in un diverso procedimento n. 23118/2021 R.G.N.R., definito con la sentenza prodotta, divenuta irrevocabile in data 29/10/2024 (Ali. 1), che ha confermato la sentenza n. 16688 del 2023 del Tribunale di Milano di assoluzione a norma dell’art. 530 cod. proc. peli. (All. 2) di COGNOME, per non aver commesso il fatto.
Si assume che entrambi i giudici di merito della sentenza irrevocabile citata, contrariamente a quanto asserito nella sentenza oggetto d’impugnazione, hanno chiarito che il rilascio della procura a COGNOME costituiva un mero strumento per
agevolare e “rispondente ad una prassi invalsa in questo genere di attività (edile)”.
È stato, altresì, precisato che non è sufficiente limitarsi a richiamare l’esistenza di una procura, senza verificare che le attività autorizzate fossero effettivamente svolte (p. 12 della sentenza della Corte d’Appello, proc. 23118/21 R.G.N.R). In definitiva, si sostiene che, a fronte della sentenza di assoluzione passata in giudicato, si è generata un’incompatibilità logica fra la sentenza divenuta definitiva e quella oggetto del presente giudizio, ma anche l’inconfutabile riprova della manifesta illogicità del percorso argomentativo seguito nella sentenza impugnata, nonché il travisamento del compendio probatorio (così come dedotto nei motivi di ricorso depositati in data 10 ottobre 2024, cui si rimanda – par. IV ss., p. 5 ss.), avendoldisatteso il principio di diritt impartito nel presente processo dalla Suprema Corte, Sez. 5, n. 48826 del 15 novembre 2023.
2.1.12.2. Con il secondo motivo aggiunto si denuncia l’incompatibilità logica della sentenza impugnata con quella di assoluzione divenuta definitiva (artt. 649 e 620 lett. h) cod. proc. pen.).
Nel caso di specie, si configura un contrasto fra giudicati in quanto “le risultanze di un precedente giudicato penale acquisite ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen. che riguardano una pre-condizione del giudizio in corso non consentono al giudice di giungere a conclusioni inconciliabili con la sentenza irrevocabile, sempreché l’inconciliabilità vetta sui fatti posti a fondamento delle decisioni contrastanti e non sulle valutazioni giuridiche di essi”(Sez. 5, n. 23226 del 12/02/2018; Sez. 3, n. 20673 del 22/03/2023). La conciliabilità fra i due giudizi contrastanti viene meno, sul piano logico, a fronte di un giudicato che abbia escluso, con ampio proscioglimento di merito, il presupposto essenziale del reato oggetto del secondo giudizio (la qualifica di amministratore di fatto), pena l’irragionevole e contraddittoria conseguenza per cui lo stesso imputato venga considerato, ora, definitivamente estraneo all’assetto societario della RAGIONE_SOCIALE, ora responsabile di condotte distrattive in danno dei creditori della medesima società che quella qualifica presuppongono, compiute nello stesso periodo in cui la sentenza già passata in giudicato ne ha accertato l’estraneità.
2.2. NOME COGNOME affida il ricorso a quattro motivi.
2.2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 627 cod. proc. pen.
Dopo aver sinteticamente ripercorso il contenuto della sentenza rescindente, richiamando il dictum contenuto a p. 8 della pronuncia, il ricorrente evidenzia che al giudice del rinvio era stato demandato di argomentare sugli elementi di fatto dimostrativi della qualità di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE
Invece, secondo il ricorrente, la sentenza di secondo grado si sarebbe limitata ad una sterile elencazione degli elementi di prova agli atti, senza approfondirne la portata dimostrativa, concentrandosi, piuttosto, su una critica circa le modalità con le quali la difesa aveva redatto i motivi di appello (con richiamo al contenuto delle p. 8, 9 e 11 della sentenza impugnata).
La sentenza di appello, dunque, avrebbe reiterato il vizio di omessa motivazione, così violando il decisum di questa Corte con la sentenza rescindente. Ciò in quanto la pronuncia non avrebbe spiegato le ragioni per le quali gli elementi agli atti dimostrerebbero il ruolo contestato all’imputato nella fallita, a fronte dell’esistenza, come indicato dagli stessi giudici di merito, di un amministratore di diritto, presente ed operativo (Plebani), il quale peraltro si avvaleva di un procuratore (COGNOME.
Si specifica, poi, che la Corte territoriale non si sarebbe espressa circa la qualità delle condotte attuate da RAGIONE_SOCIALE, in ordine a reati commissivi (capo 1A, 1B, reati tributari di cui ai capi 2A, 2D) non realizzabili se non con attività d gestione attiva della fallita, nonché in ordine al reato di cui al capo 2E.
2.2.2. Con il secondo motivo si contesta violazione dell’art. 2639 cod. civ. La nozione di amministratore di fatto deriva dalla previsione di cui all’art. 2639 cod. civ., norma che secondo la sentenza impugnata, assumerebbe una connotazione più ampia.
La sentenza della Corte territoriale individua la condotta del ricorrente come diretta a prestare accurati accorgimenti, al fine di occultare la sua reale posizione nell’ente, servendosi di Plebani come schermo e tirando le fila, dietro le quinte, evitando di esporsi in prima persona.
Si richiama pronuncia di legittimità secondo la quale la teoria dell’autore mediato, mutuata dalla teoria tedesca, non ha ragion d’essere nel sistema giuridico italiano che ha previsto, espressamente, l’ipotesi di colui che traendo in inganno altri lo ha determinato a commettere il reato.
Si rimarca che le condotte ascritte all’amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE,non sono state dichiarate non punibili ai sensi dell’art. 48 cod. pen., anzi i le sentenze di merito riconoscono all’amministratore di diritto un ruolo pieno ed effettivo. Sicché l’eterodirezione che la Corte d’appello pretende di ascrivere all’imputato rientra nel perimetro di cui all’art. 2639 cod. civ., senza il ricorso ad analogia in malam partem non consentito.
Si richiama giurisprudenza di legittimità in tema di amministrazione di fatto (Sez. 5, n. 16269 del 22/03/2023, nonché in tema di reati tributari Sez. 3, n. 5577 del 12/10/2022), segnalando che la qualità di amministratore di fatto di una persona giuridica richiede la necessaria dimostrazione di atti di gestione in almeno uno degli ambiti nevralgici dell’ente. La sentenza impugnata, invece, descrive l’imputato quale “burattinaio” dell’amministratore di diritto, ma non lo
indica come attivo nell’attività di procacciamento di clienti, di cantieri, o come avente voce in capitolo in ordine all’assunzione delle maestranze, all’acquisto di materiali e di beni aziendali, circa la fatturazione e il pagamento dei fornitori.
2.2.3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. con riguardo all’esistenza di indizi gravi precisi e concordanti circa l’amministrazione di fatto svolta dal ricorrente.
Per il ricorrente sono meri sospetti e non prove la presunta continuità tra le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE rispetto alla RAGIONE_SOCIALE, nonché la vicinanza tra il ricorrente e i consulenti di RAGIONE_SOCIALE. Si tratta di elementi dai quali non sufficiente inferire l’esistenza del fatto ignoto cioè l’amministrazione di fatt rispetto alla fallita da parte del ricorrente.
2.2.4. Con il quarto motivo si denuncia vizio di motivazione rispetto alla valenza probatoria dei ritenuti indizi di sussistenza dell’amministrazione di fatto.
Si riproducono le pagine da 10 a 14 della sentenza impugnata e si evidenzia che la riferibilità all’appellante dei delitti commessi, per il tramite delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non è stata oggetto di contestazione da parte della difesa / perché ammessa dall’imputato in sede di spontanee dichiarazioni nel corso del giudizio abbreviato.
Si tratta di ammissioni che, però, non hanno rilevanza rispetto alla prova dei fatti contestati nel procedimento. L’elencazione dei fatti, da parte della Corte di appello, non vale a colmare il vuoto motivazionale rispetto alla riscontrata assenza di qualsiasi legame tra RAGIONE_SOCIALE e le condotte delittuose contestate.
La Corte d’appello, quindi, non avrebbe risposto a tutti i punti che erano stati elaborati, come critica alla sentenza di primo grado, con l’atto di appello e che vengono integralmente ripercorsi nel motivo di ricorso.
Le difese hanno fatto pervenire tempestive richieste di trattazione in pubblica udienza partecipata, ai sensi degli artt. 614, 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, commi 2, lettere a), b), c) e 3 del d. I. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120.
La difesa di COGNOME ha fatto pervenire, con p. e. c. del 18 dicembre 2024, motivi nuovi e documentazione allegata.
La difesa di Acerbis ha fatto pervenire memoria, in data 8 gennaio 2025, nella quale ulteriormente argomentando i motivi di ricorso, ha concluso chiedendone l’accoglimento.
All’odierna udienza, le parti presenti, a seguito di discussione orale, hanno concluso nel senso precisato in epigrafe, la difesa di parte civile depositando anche conclusioni scritte e nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito indicati.
I motivi aggiunti del ricorso di NOME COGNOME sono parzialmente fondati nei limiti di seguito indicati.
2.1. Vanno esaminati, preliminarmente, i motivi aggiunti proposti tempestivamente nell’interesse dell’imputato e il tema dell’ammissibilità della produzione documentale a questi allegata.
Il ricorrente assume, quanto alla produzione documentale, che la sentenza n. 4653 del 2023 della Corte di appello di Milano, relativa al capo 2 lett. c) contestato agli odierni imputati nel presente processo, ma confluito in diverso procedimento (recante n. 23118/2021 R.G.N.R.), a seguito di stralcio per entrambi i ricorrenti dall’originario proc. n. 34287/2020, è divenuta definitiva in data 29 ottobre 2024, dunque in epoca successiva alla proposizione dei motivi di ricorso oggetto del presente giudizio, depositati da COGNOME in data 10 ottobre 2024.
Di qui, a parere del ricorrente, l’ammissibilità della produzione, peraltro, senz’altro rilevante in quanto incidente sul thema decidendum nell’ambito del procedimento sub iudice, trattandosi di assoluzione pronunciata nei confronti di COGNOME per non aver commesso il fatto, relativamente al reato di cui agli artt. 110, 81, comma secondo, 2 d.lgs. n. 74 del 2000, contestato come commesso nella qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE proprio per il mancato reperimento di elementi atti a ritenere detta qualifica, non potendosi attribuire alla procura rilasciata al predetto significato dirimente, avendo l’atto piuttosto risposto a una prassi tipica dell’attività (edile) esercitata dalla società poi fallita
2.1.1. Ciò posto, il Collegio osserva che la giurisprudenza di legittimità cui si intende dare continuità ammette, nel giudizio dinnanzi ad essa, l’acquisizione di una sentenza irrevocabile passata in giudicato in pendenza del giudizio di cassazione, quando l’interessato non sia stato nelle condizioni di produrla nei precedenti gradi di giudizio, ricorrendo la possibilità di un contrasto fra i fatt accertati nella sentenza oggetto d’impugnazione ed una precedente definitiva (Sez. 5, n. 38569 del 07/05/2014, Rv. 259904 – 01; Sez. 6. n. 3702 del 04/12/2012, dep. 2013, Rv. 254766; Sez. 3, n. 20673 del 22/03/2023, tutte nel senso che, nel giudizio di legittimità, è consentita l’acquisizione di una sentenza irrevocabile quando l’interessato non sia stato in grado di produrla nei precedenti gradi di giudizio).
Questa Corte, poi, ha specificato che, in tale caso, la sentenza definitiva non può essere oggetto di valutazione ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen. da parte del giudice di legittimità, imponendosi l’annullamento con rinvio della pronuncia impugnata, al fine di una rivalutazione nel merito della situazione probatoria emersa nel giudizio non ancora definito a seguito della pendenza del
i
ricorso per cassazione, ferme restando le preclusioni processuali già formate (Sez. 6, n. 13461 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284473 – 01; Sez. 2, n. 19409 del 13/02/2019, COGNOME, Rv. 276653 – 02 fattispecie, quest’ultima, in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna che aveva riconosciuto, in capo all’imputato, la circostanza aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen., diversamente da quanto ritenuto, dalla stessa corte territoriale, in separato procedimento nei riguardi di coimputato dello stesso reato, con decisione divenuta irrevocabile nelle more del giudizio di legittimità, che, pur nota nel suo contenuto, non era stata oggetto di valutazione da parte del giudice di merito).
2.1.2. Ciò premesso, si rileva che, nel caso al vaglio, la sentenza irrevocabile, prodotta dalla difesa di COGNOME si esprime nel senso di escludere sebbene per lo specifico reato continuato per il quale si è proceduto separatamente e in relazione alla diversa epoca di accertamento di questo – la qualità di amministratore di fatto di COGNOME, all’interno della RAGIONE_SOCIALE, nonch prende in esame, per la valutazione della sussistenza di tale qualifica, anche la procura generale, rilasciata in favore di COGNOME dall’amministratore di diritto della società RAGIONE_SOCIALE, reperita dal curatore fallimentare.
In ordine alla rilevanza di tale circostanza, ai fini del giudizio sul ricors oggetto del presente procedimento, devono ritenersi condivisibili le argomentazioni già svolte da questa Corte di legittimità nei citati precedenti in cui si è trattato il caso dell’intervenuta definitività, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, di decisione assolutoria.
La situazione, nel presente giudizio, presenta una peculiare coesistenza di aspetti significativi.
Primo di essi è la ricorrenza quanto meno della potenzialità di un contrasto fra i fatti accertati nella sentenza qui impugnata e in quella pronunciata nei confronti dello stesso imputato, nel giudizio stralciato, in quanto decisioni pervenute ad opposte conclusioni sulla prova della sussistenza del fatto precondizione della responsabilità nel presente processo per tutti i capi ascritti all’imputato – relativo alla qualifica di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE, se non altro in relazione al periodo in cui si colloca il reato continuato per quale l’imputato è stato assolto nel separato procedimento.
Si tratta, peraltro, di precondizione che riguarda un accertamento di fatto (non anche una questione giuridica), quello della qualità di amministratore di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione (tra le altre, Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 27540; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, Rv. 269101; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534).
Ulteriore profilo, ravvisabile nella fattispecie processuale venutasi a creare, è quello dell’essersi realizzati, solo in pendenza del giudizio di cassazione, gli estremi per l’applicabilità in concreto della previsione di cui all’art. 238-bis cod. proc. pen. in ordine alla possibilità di acquisire e valutare, nei limiti di cui a norma appena indicata, una sentenza definitiva pronunciata in altra sede e riportante l’accertamento di fatti che possono rivelarsi rilevanti nel presente procedimento, che, ove disponibile nel giudizio di merito, avrebbe consentito di verificare, nel corso dello stesso, l’eventuale contrasto con le conclusioni qui assunte in ordine alla descritta qualifica soggettiva, quanto meno per l’epoca di accertamento del reato continuato per il quale COGNOME è stato assolto.
Invero, l’esame degli atti ha consentito di verificare che i motivi di ricorso sono stati depositati da COGNOME in data 10 ottobre 2024 (cfr. impugnazione depositata dall’avv. NOME. COGNOME alla Corte di appello di Milano), mentre la sentenza prodotta è divenuta irrevocabile in data 29 ottobre 2024 (cfr. sentenza prodotta in allegato ai motivi nuovi depositati il 18 dicembre 2024).
Questa verifica, poi, inerisce ad una prospettiva di valutazione tipica del giudizio di merito che non può che essere effettuata in quella sede.
Tanto non permette di scrutinare nel presente giudizio di legittimità l’effettiva portata della sentenza, da ultimo divenuta definitiva, nell’accertamento della qualità in contrasto con quella ritenuta provata, nell’ambito della stessa società, nella sentenza qui impugnata, seguendone in particolare l’impraticabilità dell’esame degli interessanti rilievi espostitIla parte civile, in sede di discussione orale, quanto all’incidenza rispetto a tale contrasto, della decisione irrevocabile relativa all’imputazione descritta.
Infine, e si tratta dell’ultima particolarità significativa della situazio esaminata, va rimarcato che, per effetto del disposto annullamento per vizio di motivazione pronunciato in relazione ad entrambi gli imputati, la sentenza rescindente della sezione Quinta penale, aveva rimesso al giudice del rinvio proprio il nuovo esame degli elementi di prova a carico in ordine alla qualificazione dei ricorrenti come amministratori di fatto della fallita indicando, analiticamente, quanto al necessario nuovo esame demandato per COGNOME anche la verifica della rilevanza della procura rilasciata in suo favore (peraltro svalutata dalla prima sentenza di appello), rimettendo il nuovo giudizio sul contenuto dell’atto e sul concreto esercizio dei poteri riconosciuti in modo non episodico o occasionale, onde verificare l’effettivo esercizio di attività gestoria, seguendo il principio di diritto ivi affermato.
Si rileva, invero, che, nell’ultima pagina, la sentenza rescindente specifica che, da parte del giudice del rinvio, andavano riesaminati i motivi di impugnazione con i quali era contestata la qualità di amministratore di fatto di
COGNOME quindi, espressamente delimitando in questo ambito, il nuovo esame ex art. 627 cod. proc. pen.
2.1.3. Risultato di queste convergenti connotazioni è l’impossibilità di valutare, nella presente sede di legittimità, se tale contrasto si fondi su accertamenti di fatti realmente inconciliabili tra loro, anche in considerazione del tempus commissi delicti.
I motivi aggiunti in esame prospettano, fondatamente, un vizio di effettiva incoerenza della motivazione della sentenza impugnata rispetto ad una risultanza processuale alla quale il passaggio in giudicato della più volte menzionata decisione, conferisce efficacia probatoria ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., che non ha potuto dispiegare nel giudizio di merito, per contingenti circostanze derivanti dai diversi sviluppi processuali dei procedimenti.
La rilevabilità in questa sede di un vizio siffatto è conforme al sistema anche in considerazione di evidenti ragioni di economia processuale e di rispetto del principio costituzionale di ragionevole durata del processo, che impongono di non demandare ad un (eventuale) giudizio di revisione la risoluzione di un contrasto che di tale sistema è risultato fisiologicamente possibile. Di qui il naturale rimedio dell’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per un nuovo esame nel quale possa essere valutata l’incidenza, sulla prova degli addebiti contestati, degli accertamenti di fatto svolti nel procedimento concluso con la sentenza separatamente pronunciata a carico dell’imputato in relazione al capo 2C.
Le segnalate peculiarità della vicenda processuale in discussione, da ultimo, ne escludono la riconducibilità all’orientamento giurisprudenziale che individua il giudizio di revisione come sede delle doglianze riguardanti contrasti di giudizi (Sez. 3, n. 10207 del 24/09/1997, Asselti, Rv. 209460; Sez. 5, n. 16275 del 16/03/2010, COGNOME, Rv. 247261).
L’esame di queste ultime decisioni rivela, infatti, come le stesse, in sostanziale aderenza ai principi affermati in termini più generali da questa Corte sull’impossibilità di dedurre per cassazione vizi di contraddittorietà della motivazione rispetto a provvedimenti diversi da quello impugnato, fondati su differenti valutazioni di merito (Sez. 5, n. 34643 del 8/05/2008, COGNOME, Rv. 240996; Sez. 3, n. 15987 del 06/03/2013, COGNOME, Rv. 255417; Sez. 1, n. 4875 del 19/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254193), si riferiscano a difformi giudizi su casi analoghi a quello oggetto del procedimento per il quale pende ricorso per cassazione; e non, come nel caso di specie, alla peculiare situazione nella quale la sussistenza di un medesimo fatto (la procura speciale rilasciata a COGNOME) sia oggetto di divergenti valutazioni, rese in procedimenti separati e l’eventualità di apprezzare l’efficacia probatoria di una delle decisioni, legata alla definitività della stessa, si concretizzi prima del giudizio di legittimità, m
successivamente all’esaurimento dei gradi di merito costituenti sede propria di tale valutazione.
La sentenza impugnata, pertanto, in parziale accoglimento dei motivi aggiunti proposti, deve essere annullata con rinvio (e non senza rinvio come invocato dal ricorrente con il secondo motivo aggiunto) ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano per nuovo esame che tenga conto, nella piena autonomia di giudizio quanto all’esito, ai fini della verifica della responsabilità dell’imputato – nei limiti demandati dalla prima sentenza rescindente quanto ai fatti ancora sub iudice degli accertamenti di cui alla sentenza assolutoria divenuta definitiva indicata, pronunciata nei confronti di COGNOME ex art. 238-bis cod. proc. pen., in relazione alla qualità soggettiva di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in ordine ai fatti di cui al capo 2 lett. c), accertati in Milano in epoca anteriore e prossima al 26 settembre 2014, al 20 maggio 2015 e al 30 dicembre 2016.
È appena il caso di precisare che resta fermo, per il Giudice del rinvio, l’obbligo di uniformarsi al dictum della prima sentenza rescindente che deve essere ribadito nella presente sede, secondo la quale la prova della qualifica di amministratore di fatto può trarsi anche dal conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, sia sintomatica dell’esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale (Sez. 5, n. 2793 del 22/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262630), affermando che ciò è vero purché non ci si limiti a considerare il contenuto della procura, senza verificare che vi sia stato svolgimento effettivo dell’attività che la procura autorizzava a compiere (cfr. Sez. 5, n. 4865 del 25/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282775).
2.1.4. Quanto ai motivi principali di ricorso, questi restano assorbiti nel pronunciato accoglimento parziale dei motivi aggiunti.
Va, comunque, segnalato che i primi tre motivi principali, più che deduzioni autonome, sono una generale illustrazione del contenuto complessivo del ricorso per cassazione e che, quindi, andranno trattati unitamente al riesame degli altri motivi di impugnazione.
Inoltre, si rileva che i motivi decimo e undicesimo attengono al trattamento sanzionatorio e sono, dunque, logicamente rimessi all’esito del disposto riesame in punto qualifica soggettiva del ricorrente.
Il quarto, ottavo e nono motivo ineriscono alla qualità di amministratore di fatto e, dunque, sono assorbiti nel pronunciato annullamento con rinvio.
Il quarto motivo, invero, riguarda proprio il dedotto travisamento della prova, quanto ai poteri conferiti con la procura notarile rilasciata a COGNOME all’att dell’intervento nella società del socio unico Plebani, il 21 marzo 2014.
Si tratta di motivo che va, pertanto, riesaminato confrontandosi anche con la lettura che, di questo atto, ha reso la Corte di appello di Milano nella sentenza irrevocabile che ha definito la posizione di COGNOME in relazione al capo 2 lett. c) (cfr. p. 11 e ss. della sentenza prodotta dalla difesa in allegato ai motivi nuovi).
È appena il caso di osservare, sul punto, che lo stesso ricorso (v. p. 10) espone che quella esibita dalla committente (RAGIONE_SOCIALE) era una copia, ma che l’originale dell’atto era stato reperito dalla curatela al RAGIONE_SOCIALE di Bergamo, luogo diverso dalla sede della società fallita, quindi non attraverso esibizione documentale da parte dell’amministratore di diritto, ma a seguito di attività della curatela, successiva all’analisi del conto corrente acceso dalla RAGIONE_SOCIALE presso il Banco di Desio di COGNOME.
Sul contenuto dell’atto, si rileva che la sentenza di secondo grado impugnata nella presente sede, fa riferimento espresso a detto contenuto (cfr. p. 17) nella parte in cui prevede ogni più ampio potere di svolgere quanto si renderà necessario o solo semplicemente opportuno per il miglior espletamento del presente mandato che si conferisce con tutti i poteri, nessuno escluso e senza che mai da chiunque possa eccepire al nominato procuratore carenza o indeterminatezza dei poteri (di qui la conclusione cui erano giunti i giudici di secondo grado per la quale l’atto non si riferiva alla gestione di singoli cantieri o clienti ma alla complessiva attività inerente all’oggetto sociale di RAGIONE_SOCIALE.
In ogni caso andranno riesaminati i denunciati travisamenti anche in relazione alle dichiarazioni di COGNOME nell’interrogatorio reso al Giudice per le indagini preliminari, delle dipendenti della fallita e circa i poteri di controllo COGNOME dei conti correnti bancari della società e dell’esistenza di deleghe ad operare con le banche e sui rapporti con professionisti della società.
Del pari, come i precedenti, anche i motivi quinto, sesto e settimo restano assorbiti.
2.2. Il ricorso di NOME COGNOME è fondato nei limiti di seguito indicati.
2.2.1. Va premesso che la sentenza rescindente ha fissato precisamente il margine di intervento del giudice del rinvio nel riesame del primo motivo di appello proposto dall’imputato, riassunto a p. 7 della sentenza.
Non riprende espressamente il ricorso, con censure puntuali, i punti evidenziati con gli altri motivi di appello proposti originariamente i quali, in ogni caso, non sono esaminati dal ricorrente, se non nei termini e nei limiti di cui ai quattro motivi devoluti nella presente sede.
È noto, poi, che nel giudizio di rinvio, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di merito non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il
valore delle relative fonti di prova (tra le altre, Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, Rv. 271345 – 01 ; Sez. 5, n. 36080 del 27/03/2015, Rv. 264861 – 01).
Dunque, per effetto del disposto annullamento per vizio di motivazione, il giudice del rinvio è tenuto a riesaminare per intero la regiudicanda con pieni poteri di cognizione e senza la necessità di soffermarsi sui soli punti oggetto della pronunzia rescindente, rispetto ai quali, tuttavia, ha come limite quello di evitare di incorrere, nuovamente, nel vizio rilevato, fornendo in sentenza adeguata motivazione in ordine all’iter logico-giuridico seguito (tra le altre, Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 273628; Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248413).
2.2.2. Ciò posto, si osserva, in primo luogo, che la pronuncia impugnata parte dal presupposto di attribuire ad Acerbis l’iniziale ideazione dell’attività illecita, anche distrattiva e, comunque, in frode ai creditori, in particolare dell’Erario, descritta come realizzata assieme a COGNOME anche attraverso il contributo materiale apportato alla condotta dell’intraneus (COGNOME quale amministratore di diritto), non soltanto dal punto di vista commerciale ma soprattutto dal punto di vista gestionale ed economico.
Infatti, la Corte territoriale (v. p. 9 e ss.) afferma che l’attività della fall stata intrapresa congiuntamente, da COGNOME e COGNOME sin dagli esordi, all’unico scopo, da parte di entrambi, di realizzare profitto illecito ai danni dei creditori, i particolare dell’Erario, tramite la sistematica omissione del pagamento dei tributi e dei contributi previdenziali, con l’utilizzo anche di false fatture per operazioni inesistenti, dirette a generare il descritto debito erariale.
Ancora, afferma la Corte di appello che, in tale complessivo contesto, assume senz’altro valore indiziante, rilevante ex art. 192 cod. proc. pen. per la posizione di RAGIONE_SOCIALE, il ritrovamento di faldoni intestati alla RAGIONE_SOCIALE, nell’uffi della RAGIONE_SOCIALE oltre a blocchetti di assegni e biglietti da visita, intestati all stessa società, documenti trovati nell’ufficio di COGNOME, a conferma del collegamento tra le società alla coppia COGNOME – COGNOME, indicati come amministratori di fatto della fallita.
Dunque, sotto questo primo aspetto, che peraltro è la premessa da cui parte il complessivo ragionamento svolto in ordine alla qualifica di amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE dai giudici del rinvio e che rileva quanto al riesame del punto n. 4 di quelli devoluti con la sentenza rescindente, la posizione del ricorrente deve essere riesaminata a fronte dell’annullamento disposto nella presente sede, in relazione al concorrente COGNOME in punto di prova dell’amministrazione di fatto della fallita.
2.2.3. In secondo luogo, osserva il Collegio che effettivamente, come notato dal Sostituto Procuratore generale nella requisitoria svolta, la motivazione del giudice del rinvio non ha risposto specificamente ad alcuni dei punti individuati,
dalla sentenza rescindente, come carenti dal punto di vista della motivazione sulla qualifica di amministratore di fatto della fallita in capo ad RAGIONE_SOCIALE
In particolare, il Collegio deve rilevare che la sentenza rescindente aveva annullato con rinvio il primo provvedimento di appello per difetto di motivazione in ordine ai seguenti punti: 1) al contenuto delle dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME, depositate nel primo giudizio di appello, circa l’esclusiva e unica paternità dei reati contestati nel fallimento RAGIONE_SOCIALE; 2) alla neutralità indiziaria dell’identità della sede legale tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in quanto si trattava di domiciliazioni presso studi professionali e tenuto conto che fino al 2017 la RAGIONE_SOCIALE aveva sede operativa in Milano, alla INDIRIZZO; 3) all’irrilevanza del fatto che i due ricorrenti odierni siano stati dipendenti di RAGIONE_SOCIALE, tenuto conto che, invece, RAGIONE_SOCIALE non è mai stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE; 4) all’inconducenza della circostanza che in sede di perquisizione, il 22 giugno del 2015, presso la sede della RAGIONE_SOCIALE, la Guardia di finanza abbia rinvenuto documentazione inerente alla RAGIONE_SOCIALE tenuto conto che la perquisizione riguardò l’ufficio del coimputato COGNOME all’epoca dipendente di RAGIONE_SOCIALE e già procuratore, dal marzo 2014, della fallita; 5) alla genericità della segnalazione della Banca Popolare di Milano, filiale di Bottanuco, sulla circostanza che in una occasione erano state consegnate, in busta chiusa, disposizioni di bonifico riguardanti aziende con cui RAGIONE_SOCIALE non aveva rapporti di lavoro; 6) all’assoluta genericità della presenza sul computer in uso alla RAGIONE_SOCIALE, di una fotografia scattata in uno smartphone riportanti dati anagrafici e fiscali di RAGIONE_SOCIALE per non essere emerso a chi fosse riferibile l’uso di tali apparecchi; 7) alla mancanza di qualsiasi precisione indiziaria circa il rilievo che i beneficiari delle distrazioni di cui al capo 1B siano nativi nei comuni di Sarnico e di Calcinate, in assenza di ulteriori elementi atti a collegare questi beneficiari all’odierno ricorrente ma, anzi, tenuto conto che l’amministratore di diritto era di un paese limitrofo a questi comuni; 8) la mancanza di rapporti qualificati tra RAGIONE_SOCIALE e i cedenti delle quote di RAGIONE_SOCIALE, in favore del cessionario COGNOME, indicati dalla prima sentenza di appello oggetto di impugnazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Orbene, la sentenza impugnata, nel riesaminare tali aspetti, in sede di rinvio, non ha preso, specificamente, in considerazione tutti i punti segnalati dalla sentenza rescindente.
Si evidenzia, nella sentenza impugnata, che l’attività sistematica di omissione del pagamento dei tributi e dei contributi previdenziali, a partire dal 2013 e sino al 2016, operando indebite compensazioni basate su crediti fiscali non spettanti o inesistenti, utilizzando fatture per operazioni inesistenti, aveva generato in capo alla RAGIONE_SOCIALE un debito erariale di circa ventiquattro milioni di euro di cui 11.631.145,00 per debiti tributari.
Si rimarca, con motivazione immune da illogicità manifesta, rispondendo compiutamente al punto n. 2 devoluto dalla sentenza rescindente (cfr. p. 11 e ss.), la riscontrata continuità, non solo di sedi, ma operativa rispetto alle società RAGIONE_SOCIALE da un lato, e la RAGIONE_SOCIALE dall’altro, come segnalata dalla Guardia di finanza che ha rilevato la successione cronologica delle attività, indicate come proseguite attraverso gli stessi collaboratori, commercialisti e consulenti, nonché la sovrapponibilità del modus operandi, consistito nell’aver utilizzato enti societari per il compimento di atti fraudolenti ai danni dei creditori in primo luogo dell’Erario.
Si evidenzia che la RAGIONE_SOCIALE è stata costituita nel 2008, con diversa denominazione, successivamente mutata in RAGIONE_SOCIALE e, quindi, nel 2014 quando diventa socio unico l’amministratore COGNOME – denominata RAGIONE_SOCIALE Si segnala che, nel frattempo, RAGIONE_SOCIALE erano state oggetto di accertamento da parte della Guardia di finanza ed erano state considerate riferibili allo stesso RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, la pronuncia, nel descrivere le capacità operative dell’imputato, rimarca l’esperienza nel settore edile di RAGIONE_SOCIALE, la condanna per condotte analoghe – non divenuta irrevocabile – in relazione alle diverse società denominate RAGIONE_SOCIALE oggetto di indagini confluite nel procedimento penale cd. Golden brick n. 1, nelle quali è stato accertato il ruolo di amministratore di fatto degli enti, la condanna irrevocabile per reiterate attività fraudolente, commesse con medesime modalità, per gli anni 2012 e 2013, quindi, in un arco di tempo immediatamente precedente e, in parte, coincidente con l’acquisto della società poi denominata RAGIONE_SOCIALE (cfr. sentenza della Corte di appello di Brescia del 12 aprile 2022, divenuta irrevocabile in data 24 marzo 2023).
Si segnala, da parte della Corte d’appello, il controllo delle entrate e delle uscite dei conti correnti della società, indicando che su questi RAGIONE_SOCIALE operava tramite la segretaria della RAGIONE_SOCIALE – con la quale RAGIONE_SOCIALE intratteneva una relazione sentimentale – precisando anche che vi era con l’imputato un libretto di deposito cointestato.
In tale pur significativo quadro complessivo, tuttavia, la sentenza impugnata non risponde compiutamente, alle residue censure formulate ai punti 1, 3, 4, 6, 7, sulle quali si era concentrato l’annullamento con rinvio disposto dalla prima sentenza rescindente cui fa riferimento la Corte territoriale, peraltro, in modo parziale, alle p. 13 e 14, risultando anzi del tutto omesso il riesame dei punti n. 1 e 7.
In particolare, poi, la sentenza impugnata rileva che vi è stata collaborazione dei medesimi professionisti nel corso delle precedenti attività, già al fianco di RAGIONE_SOCIALE e che vi è stato passaggio di dipendenti tra gli enti (AZ
RAGIONE_SOCIALE e la fallita) tra cui gli stessi COGNOME e COGNOME, senza rispondere in modo esauriente, alla deduzione di cui al punto 3 (cioè al fatto che secondo l’appellante COGNOME era stato dipendente di RAGIONE_SOCIALE ma mai di RAGIONE_SOCIALE).
2.2.4. Da ultimo, va precisato, nella presente sede, con riferimento alla tesi difensiva secondo la quale, in presenza di un amministratore di diritto effettivamente operativo, non può residuare alcun ruolo di amministrazione di fatto che, secondo la giurisprudenza di legittimità cui il Collegio intende dare continuità, la ricostruzione del profilo di amministratore di fatto deve condursi, in ambito penalistico, alla stregua di specifici indicatori, individuati non soltanto rapportandosi alle qualifiche formali rivestite in ambito societario ovvero alla mera rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (tra le altre, Sez. 5, n. 41793 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 268273), bensì sulla base delle concrete attività, dispiegate in riferimento alle società oggetto d’analisi, riconducibili – secondo validate massime di esperienza – ad indici sintomatici quali la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la generalizzata identificazione nelle funzioni amministrative da parte dei dipendenti e dei terzi, l’intervento nella declinazione delle strategie d’impresa e nelle fasi nevralgiche dell’ente economico. Il relativo apprezzamento di fatto non può ritenersi limitato alla fisionomia delineata dal codice civile, che ne declina lo status nella dimensione fisiologica dell’attività d’impresa, ma va riguardato – nel sistema penale delle incriminazioni, che sanzionano una situazione di abuso della relativa posizione – nel più ampio contesto delle ingerenze e degli interessi antigiuridici che ne arricchiscono il ruolo.
Invero, la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ., presuppone l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri inerenti alla qualifica o alla funzione, da non ricondursi, necessariamente, all’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, bensì ad una apprezzabile attività di gestione, che sia effettuata in modo non episodico.
La prova della posizione di amministratore di fatto esige, pertanto, l’accertamento di elementi che evidenzino l’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualunque fase della sequenza produttiva, organizzativa o commerciale dell’attività sociale, ad esempio nei rapporti con i dipendenti, clienti o fornitori, ovvero in ogni settore gestionale dell’attività dell’ente, quest’ultimo produttivo, amministrativo, aziendale, contrattuale o disciplinare (tra le altre, Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME Rv. 277540 – 01).
In tal senso, la giurisprudenza civile evidenzia che i descritti connotati non implicano l’esercizio di tutti i poteri propri dell’amministratore di una società, ma richiedono unicamente lo svolgimento di un’apprezzabile attività di gestione, in termini non occasionali o episodici (Cass. civ., n. 9222 del 1998), mentre, in sede penale, rileva piuttosto la funzione di regia e di strategica gestione
dell’ente, in violazione del complesso dei doveri posti a presidio dell’interesse dei creditori, dei terzi e del mercato. Sicché, siffatta condizione ben può coesistere
con l’esercizio dei poteri propri dell’amministratore di diritto, ove si risolva in una cogestione coordinata dell’organismo societario. In altri termini, l’effettiva
gestione da parte dell’amministratore formale non esclude la concorrente responsabilità del co-amministratore di fatto, ove sia comprovata una gestione
paritetica.
Consegue, a quanto sin qui esposto, l’annullamento della sentenza impugnata perché il giudice di rinvio, in osservanza di tali principi di diritto e i
piena autonomia quanto all’esito, proceda a riesame della posizione di RAGIONE_SOCIALE in relazione ai punti indicati dalla prima sentenza rescindente (n. 1, 3, 4, 6, 7)
nonché in relazione alle considerazioni svolte al § 2.2.2.
3. Segue, per le ragioni sin qui esposte, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, per nuovo
esame, nei limiti indicati nella parte motiva.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Così deciso, il 14 gennaio 202.5