Amministratore di diritto: la Cassazione conferma la responsabilità penale per i reati del gestore di fatto
L’ordinanza n. 6457/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema di grande attualità nel diritto penale societario: la responsabilità dell’amministratore di diritto, comunemente noto come ‘prestanome’, per i reati fiscali commessi dall’amministratore di fatto. La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, ha ribadito principi consolidati, sottolineando come l’accettazione formale della carica non sia un mero atto privo di conseguenze, ma comporti precisi doveri di vigilanza e controllo il cui inadempimento può portare a una condanna penale.
I Fatti del Caso
Il caso riguarda un’amministratrice di una società, condannata in primo e secondo grado per plurime violazioni fiscali, tra cui l’emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 e 8 del D.Lgs. 74/2000). La difesa della ricorrente si basava sulla sua presunta inconsapevolezza, sostenendo di essere stata una semplice prestanome e che la gestione illecita fosse interamente riconducibile all’amministratore di fatto, con cui intratteneva una relazione sentimentale. Tuttavia, le corti di merito avevano già accertato che l’imputata aveva svolto le funzioni di amministratore di diritto per l’intero arco temporale oggetto di contestazione.
La Responsabilità Penale dell’Amministratore di Diritto
La Corte di Cassazione ha rigettato le argomentazioni della difesa, definendole generiche e fattuali, e ha colto l’occasione per riaffermare un orientamento giurisprudenziale consolidato. Secondo la Corte, dei reati tributari rispondono sia l’amministratore di fatto, quale autore materiale delle condotte, sia l’amministratore di diritto.
Il Dovere di Vigilanza e Controllo
Il punto cruciale della decisione risiede nel principio che la semplice accettazione della carica di amministratore attribuisce al soggetto specifici doveri. Tra questi, i più importanti sono quelli di vigilanza sull’andamento della gestione e di controllo sul rispetto della legge. L’amministratore di diritto non può semplicemente disinteressarsi della vita societaria, ma ha l’obbligo di impedire la commissione di reati.
Dolo Generico e Dolo Eventuale
Il mancato adempimento di tali doveri di controllo fonda la responsabilità penale. Questa può essere configurata a titolo di:
1. Dolo generico: quando l’amministratore è consapevole che dalla sua condotta omissiva (il non vigilare) possono derivare gli eventi tipici del reato (es. l’emissione di fatture false).
2. Dolo eventuale: quando, pur non volendo direttamente il reato, l’amministratore accetta il rischio che questo si verifichi come conseguenza della sua scelta di rimanere inerte e di non esercitare alcun controllo.
L’Elemento Psicologico e il ruolo dell’amministratore di diritto
Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva correttamente valorizzato l’elemento psicologico, sottolineando come il lungo legame sentimentale con l’amministratore di fatto rendesse ancora meno credibile la tesi della totale inconsapevolezza. Tale legame, secondo i giudici, rafforzava la consapevolezza o, quantomeno, l’accettazione del rischio delle condotte illecite. La decisione di assumere la carica, quindi, non era stata un atto isolato, ma si inseriva in un contesto di fiducia e vicinanza che non poteva escludere la colpevolezza.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le censure mosse dalla ricorrente erano di natura puramente fattuale e non si confrontavano criticamente con le motivazioni della sentenza d’appello. La difesa si è limitata a riproporre la tesi del ‘prestanome inconsapevole’, senza attaccare la solida costruzione logico-giuridica delle corti di merito. La Suprema Corte ha quindi confermato che l’amministratore di diritto è il diretto destinatario degli obblighi di legge e la sua responsabilità penale discende direttamente dalla violazione dei doveri di vigilanza e controllo imposti dalla carica che ha scelto di accettare.
Le Conclusioni
Questa ordinanza serve da monito: accettare il ruolo di amministratore di diritto non è una formalità priva di rischi. La legge attribuisce a questa figura poteri e doveri precisi, la cui omissione può portare a gravi conseguenze penali. La responsabilità non è esclusa nemmeno se la gestione operativa è affidata ad altri; al contrario, il prestanome è tenuto a vigilare sull’operato dell’amministratore di fatto per non incorrere in una condanna per concorso omissivo nei reati da quest’ultimo commessi. La semplice accettazione della carica implica l’accettazione del rischio che possano verificarsi illeciti, configurando così il dolo eventuale.
Un amministratore di diritto (prestanome) può essere ritenuto responsabile per reati fiscali commessi dall’amministratore di fatto?
Sì. Secondo la giurisprudenza consolidata richiamata dalla Corte, dei reati tributari rispondono sia l’amministratore di fatto che l’amministratore di diritto, in quanto quest’ultimo è il destinatario legale degli obblighi di legge e ha un dovere di vigilanza e controllo sulla gestione sociale.
Quale tipo di dolo viene contestato all’amministratore di diritto che non partecipa attivamente agli illeciti?
La responsabilità penale può essere attribuita a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire reati, o a titolo di dolo eventuale, per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino come conseguenza del mancato controllo.
Perché il ricorso dell’amministratore di diritto è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate erano generiche e di natura fattuale. La ricorrente non si è confrontata adeguatamente con le motivazioni della sentenza impugnata, che aveva già confermato, sulla base delle prove, il suo ruolo attivo di amministratore di diritto per l’intero periodo contestato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6457 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6457 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/03/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato che con sentenza in data 20 marzo 2023 la Corte di appello di Torino ha confermato la sentenza in data 30 settembre 2021 “del GUP del Tribunale di Torino che aveva condannato l’imputata alle pene di legge per plurime violazioni dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 e per un violazione dell’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000;
Rilevalo che la ricorrente ha contestato la sua responsabilità, perché, in qualità di amministratore di diritto, non era consapevole delle condotte illecite dell’amministratore di fatto;
Rilevato che la censura è generica e fattuale, non si confronta con la sentenza impugnata, che all’esito del vaglio critico di tutto il cospicuo compendio probatorio, ha confermato l’accertamento compiuto in primo grado, secondo cui l’imputata aveva svolto le funzioni di amministratore di diritto per l’intero arco temporale in contestazione;
Rilevato che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, dei reati tributari rispondono sia l’amministratore di diritto che l’amministratore di fatto (tra le più rece Sez. 3, n. 20050 del 16/03/2022, NOME, Rv. 283201 – 01); in particolare, l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli (nella specie emissione di fatture per operazioni inesistenti) quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. n. 42897 del 09/08/2018, C., Rv. 273939 – 02);
Rilevato che è immune da censure la decisione anche con riferimento all’elemento psicologico, avendo la Corte territoriale valorizzato il lungo legame sentimentale con il presunto amministratore di fatto (Sez. 3, n. 2570 del 28/09/2018, dep. 2019, Marni, Rv. 275830-01);
Ritenuto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2023 Il Consigliere estensore Il Presente