L’Amministratore di Diritto Risponde dei Reati Tributari Anche se ‘Testa di Legno’
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ribadisce un principio fondamentale in materia di reati tributari: la responsabilità penale dell’amministratore di diritto non viene meno neanche quando questi agisce come mero ‘prestanome’ o ‘testa di legno’. La consapevolezza dell’illegalità dell’attività societaria è sufficiente per configurare il dolo richiesto dalla legge, anche in assenza di una partecipazione diretta alla gestione quotidiana. Analizziamo insieme questa importante decisione.
Il caso in esame: un prestanome alla sbarra
Il caso riguarda un individuo condannato per reati tributari previsti dal D.Lgs. 74/2000, in particolare per omessa dichiarazione (art. 5), emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8) e occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10). La sua difesa si basava su un’unica argomentazione: egli era solo l’amministratore di diritto, una ‘testa di legno’, mentre la gestione effettiva della società era in mano a un altro soggetto, l’amministratore di fatto. Sosteneva, quindi, di essere all’oscuro delle attività illecite e di non aver agito con l’intenzione di violare la legge.
La Corte d’Appello aveva già respinto questa tesi, e il caso è giunto fino in Cassazione. Il ricorrente insisteva sull’assenza dell’elemento soggettivo (il dolo) e contestava, per il reato di occultamento della contabilità, che i documenti fossero stati rinvenuti presso l’amministratore di fatto e non presso terzi, come richiesto dalla norma.
La responsabilità penale dell’amministratore di diritto
La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni difensive. I giudici richiamano la consolidata giurisprudenza secondo cui la prova del dolo specifico nei reati tributari, anche per un amministratore di diritto che funge da prestanome, può essere dedotta da un insieme di elementi.
Tra questi, assumono un’importanza decisiva due fattori:
1. La macroscopica illegalità dell’attività: Quando la società è palesemente una ‘cartiera’, creata al solo scopo di commettere illeciti, è difficile sostenere di non esserne a conoscenza.
2. La consapevolezza di tale illegalità: La Corte sottolinea che l’imputato aveva accettato, dietro compenso, di ricoprire il ruolo di amministratore formale di una società ‘cartiera’. Questa accettazione consapevole implica la conoscenza del rischio e delle finalità illecite dell’intera operazione.
Il dolo specifico del prestanome: come si dimostra
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la Cassazione afferma che l’intenzione di evadere le imposte non deve essere provata con una confessione o con atti diretti di gestione. Può essere desunta logicamente dal contesto. Accettare di fare da prestanome per una società palesemente fittizia è un indicatore sufficiente della volontà di contribuire all’attività illecita, inclusa l’evasione fiscale. L’amministratore di diritto, pur non compiendo materialmente le operazioni, con la sua firma e la sua disponibilità rende possibile l’intero schema fraudolento.
La questione dell’occultamento delle scritture contabili
Anche la doglianza relativa al reato di cui all’art. 10 viene respinta. Il ricorrente sosteneva che il ritrovamento di parte della documentazione presso l’amministratore di fatto non configurasse il reato. La Corte chiarisce che l’argomento è irrilevante. Il reato sussiste perché la documentazione contabile era talmente incompleta (solo 17 fatture per un anno e 5 per l’anno successivo) da rendere impossibile la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari. Lo stesso imputato aveva ammesso che molta altra documentazione si trovava presso i clienti. Questa frammentazione e irreperibilità dei documenti contabili integra pienamente il reato di occultamento, a prescindere da chi ne avesse la materiale detenzione.
Le Motivazioni
La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati. La motivazione principale risiede nel fatto che chi accetta consapevolmente il ruolo di prestanome per una società ‘cartiera’ non può poi invocare la propria ignoranza o estraneità. L’accettazione dell’incarico, specialmente se retribuita, implica una condivisione, almeno a livello di dolo eventuale, delle finalità illecite perseguite dall’amministratore di fatto. La condotta dell’amministratore di diritto è una condizione necessaria per la commissione dei reati, poiché senza la sua ‘copertura’ formale, l’amministratore di fatto non potrebbe operare. Per quanto riguarda il reato di occultamento delle scritture, la motivazione è pragmatica: l’impossibilità di ricostruire il reddito a causa della mancata tenuta o conservazione della contabilità è il nucleo del reato, indipendentemente da dove i pochi documenti esistenti siano stati trovati.
Le Conclusioni
L’ordinanza conferma un orientamento severo ma necessario: la figura del prestanome non è uno scudo contro la responsabilità penale. L’amministratore di diritto ha precisi doveri di vigilanza e controllo e non può disinteressarsi completamente della gestione societaria. La decisione serve da monito: accettare di ricoprire cariche sociali solo formalmente è una condotta estremamente rischiosa che, in contesti di palese illegalità, porta a conseguenze penali gravi. La giustizia non si ferma alle apparenze, ma valuta il ruolo e la consapevolezza di tutti i soggetti coinvolti in uno schema fraudolento.
L’amministratore di diritto che si limita a fare da ‘testa di legno’ risponde penalmente per i reati tributari della società?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la responsabilità penale sussiste perché la prova del dolo (l’intenzione di commettere il reato) può essere desunta dalla consapevolezza della macroscopica illegalità dell’attività svolta dalla società, come nel caso di una ‘società cartiera’.
Come si prova il dolo di un amministratore di diritto che non partecipa alla gestione?
Il dolo specifico può essere provato attraverso il complesso dei rapporti tra amministratore di diritto e di fatto, la natura palesemente illegale dell’attività societaria (es. una ‘cartiera’) e la consapevolezza di tale illegalità da parte del prestanome, che ha accettato il ruolo, spesso dietro compenso.
Per il reato di occultamento di scritture contabili, è rilevante che i documenti siano stati trovati presso l’amministratore di fatto e non presso l’amministratore di diritto?
No, è irrilevante. Il reato si configura quando la documentazione contabile è talmente incompleta da rendere impossibile la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari, a prescindere da chi materialmente la conservi o dove venga rinvenuta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 766 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 766 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MONTICHIARI il 30/03/1963
avverso la sentenza del 09/05/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che, con unico motivo di ricorso, NOME COGNOME condannato alle pene di legge in ordine ai reati di cui agli artt. 5, 8 e 10 d.lgs. 74 del 2000, lamenta l’erronea applic della legge penale per essere stata affermata la sua responsabilità a titolo di dolo eventua nonostante egli fosse una mera “testa di legno” e fosse quindi estraneo alla gestione societari effettuata, a sua insaputa, dall’amministratore di fatto, dovendosi peraltro considerare, quan al reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000, che i documenti rinvenuti presso l’amministrato fatto non potevano essere considerati come rinvenuti presso terzi;
Considerato che il motivo con cui si contesta il difetto dell’elemento soggettivo manifestamente infondato perché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui la prova del dolo specifico dei reati tri di cui agli artt. 5, 8 e 10 del d.lgs n. 74 del 2000 in capo all’amministratore di diritt società, che funge da mero prestanome, può essere desunta dal complesso dei rapporti tra questi e l’amministratore di fatto, nell’ambito dei quali assumono decisiva valenza la macroscopica illegalità dell’attività svolta e la consapevolezza di tale illegalità (Sez. 3, n. 2570 del 28/ dep. 2019, COGNOME, Rv. 275830): la sentenza, con non illogica motivazione che non neppure viene specificamente contestata non essendo stato dedotto il relativo vizio, attesta le ragioni d consapevolezza dell’imputato circa la macroscopica illegalità dell’attività di mera “cartiera” s dalla società di cui egli, verso compenso, aveva accettato di essere formale amministratore;
Considerato che, anche qui in difetto di deduzione del vizio di motivazione, è parimenti manifestamente infondata la doglianza di violazione di legge sulla carenza dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 10 d.lgs. 74/2000, essendo irrilevante l’unica contesta mossa, vale a dire quella per cui non si sarebbe tenuto conto della documentazione contabile rinvenuta presso l’amministratore di fatto, posto che il reato è stato contestato anche quest’ultimo sul rilievo – di cui la sentenza dà conto – che soltanto una piccola parte d documentazione, evidentemente inidonea a consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari, è stata presso di lui rinvenuta (si parla soltanto di 17 fatture emesse per l’anno 2 di 5 per l’anno 2011), avendo peraltro lo stesso imputato ammesso, nell’appello (la sentenza ne dà atto a pag. 90), che molta parte della documentazione contabile concernente i rapporti intrattenuti tra la RAGIONE_SOCIALE e i clienti era stata rivenuta presso questi ciò che certamente non vale ad escludere la sussistenza del reato ascritto (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 20748 del 16/03/2016, COGNOME, Rv. 267028);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere de spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della tossa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della ossa delle ammende.
Così deciso il 1° dicembre 2023.