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Amministratore di diritto: responsabilità penale

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale a carico di un amministratore di diritto, anche se questi sosteneva di essere un mero prestanome (‘testa di legno’). La sentenza ribadisce che l’amministratore di diritto ha un obbligo di vigilanza e risponde penalmente per non aver impedito gli illeciti commessi dall’amministratore di fatto, essendo sufficiente la consapevolezza generica del rischio (dolo eventuale).

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di diritto: anche il prestanome rischia la condanna per bancarotta

Accettare il ruolo di amministratore di diritto di una società, anche solo come prestanome o “testa di legno”, non è un atto privo di conseguenze. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 34808/2024) lo ribadisce con forza, confermando la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale a carico di un soggetto che si era difeso sostenendo di non avere alcun potere gestionale effettivo. Questa decisione sottolinea un principio fondamentale: la carica formale comporta doveri di vigilanza non delegabili, la cui omissione può portare a gravi responsabilità penali.

I fatti del caso

Il caso riguarda l’amministratore di una S.r.l., dichiarato fallito, accusato di aver distratto beni aziendali di modesto valore (alcuni computer, fotocamere e tende da sole) per danneggiare i creditori. L’imputato, nel suo ricorso, ha sostenuto di essere stato un amministratore di diritto solo per un brevissimo periodo (36 giorni) e di aver ricoperto un ruolo puramente formale. La gestione effettiva della società, a suo dire, era nelle mani di un altro soggetto, l’amministratore di fatto. Egli affermava di non aver mai avuto la disponibilità materiale dei beni distratti e di non essere a conoscenza dell’attività illecita, chiedendo quindi l’assoluzione per assenza dell’elemento psicologico del reato (il dolo).

La decisione della Corte di Cassazione e la responsabilità dell’amministratore di diritto

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto questa linea difensiva, condannando l’amministratore. La Corte di Cassazione, chiamata a decidere in ultima istanza, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna. I giudici supremi hanno chiarito che il ricorso si limitava a riproporre le stesse argomentazioni di fatto già esaminate e respinte nei precedenti gradi di giudizio, senza sollevare reali questioni di legittimità.

Il punto centrale della decisione è la riaffermazione della responsabilità penale dell’amministratore di diritto che non impedisce la commissione di reati da parte dell’amministratore di fatto. La sua posizione formale gli impone, infatti, un preciso obbligo di garanzia e di vigilanza sulla gestione societaria.

Le motivazioni

La Corte ha basato la sua decisione su consolidati principi giurisprudenziali. In primo luogo, ha ricordato che l’amministratore di diritto risponde del reato commesso da altri (in questo caso, l’amministratore di fatto) a titolo di concorso omissivo, per non aver impedito un evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire, ai sensi dell’art. 40, comma 2, del codice penale.

Per integrare l’elemento soggettivo del reato, non è necessaria la prova di un dolo specifico riferito alle singole operazioni illecite. È sufficiente, secondo la Corte, la “generica consapevolezza” che l’amministratore di fatto possa compiere attività illecite. Accettare di ricoprire la carica di amministratore senza esercitare alcun controllo, di fatto, equivale ad accettare il rischio che possano verificarsi eventi tipici del reato, configurando così un “dolo eventuale”. La Corte ha ritenuto irrilevanti sia la breve durata della carica sia le argomentazioni sulla presunta assenza dei beni nella sede sociale (descritta come un “garage abbandonato”), poiché l’amministratore formale ha l’onere di dimostrare la destinazione dei beni o la loro assenza, cosa che non è avvenuta.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per chiunque accetti di ricoprire cariche sociali. Il ruolo di amministratore di diritto non è mai una semplice formalità. La legge impone doveri di controllo e vigilanza che non possono essere ignorati. Omettere tali doveri, anche per semplice negligenza o per un accordo fiduciario, espone a un rischio concreto di essere considerati penalmente responsabili per i reati commessi all’interno della società. La figura del “prestanome” non offre alcuna protezione legale; al contrario, può essere la premessa per una condanna per reati gravi come la bancarotta fraudolenta.

Un amministratore di diritto può essere ritenuto responsabile per reati commessi dall’amministratore di fatto?
Sì. La Corte di Cassazione afferma che l’amministratore di diritto risponde penalmente, in concorso con l’amministratore di fatto, per non aver impedito l’evento illecito che aveva l’obbligo giuridico di impedire, in virtù della sua posizione di garanzia e del suo dovere di vigilanza.

Cosa si intende per “dolo eventuale” nel caso di un amministratore prestanome?
Si intende la situazione in cui l’amministratore di diritto, pur non volendo direttamente la commissione del reato, accetta il rischio che questo si verifichi come conseguenza della propria omissione di controllo. La sola consapevolezza generica che dalla propria condotta omissiva possano scaturire eventi illeciti è sufficiente per affermare la responsabilità penale.

Il fatto di essere stato amministratore per un breve periodo di tempo esclude la responsabilità?
No. Secondo la Corte, la breve durata della carica è irrilevante. Dal momento in cui si accetta la carica di amministratore, sorgono immediatamente i doveri di vigilanza e controllo sulla gestione, indipendentemente dal tempo trascorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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