Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 46541 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 46541 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME nato a Bari il 18/02/1960, avverso la sentenza del 27/03/2024 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procu generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 31 maggio 2023, il Tribunale di Milano condannava NOME COGNOME alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, applicando le accessorie di legge e disponendo la confisca anche per equivalente del prof del reato, in quanto ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 2 e 10 74/2000 per aver l’imputato, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE fine di evadere le imposte dirette e VIVA, per gli anni di imp 2014/2015/2016, indicato nelle dichiarazioni fiscali elementi passivi fi avvalendosi di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, no per aver occultato o distrutto in parte i documenti e le scritture contabili obbligatoria la conservazione in modo da non consentire agli uffic ricostruzione dei redditi o del volume d’affari per i medesimi anni di im 2014/2015/2016.
Con sentenza del 27 marzo 2024, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevand motivi.
2.1 Con il primo motivo, la difesa lamenta violazione ed erron applicazione degli artt. 2 e 10 d.lgs. 74/2000 e dell’art. 192 cod. proc. p carenza di motivazione in punto di mancata assoluzione per carenza tan dell’elemento soggettivo quanto di quello oggettivo delle fattispecie.
In sintesi, la difesa osserva che, pur essendo il ricorrente l’amministrat diritto, non sussisteva alcuna prova della sua effettiva partecipazi esecuzione della condotta criminosa, né la condivisione delle finalità elusiv ancora la consapevolezza, al momento dell’accettazione della carica fittizia, strumentalizzazione della società alla realizzazione di qualsivoglia atti natura illecita da parte degli amministratori di fatto che esercitavano in co i poteri gestori.
Deduce il ricorrente di aver fornito alla Guardia di Finanza, in diff occasioni, quelle poche informazioni delle quali era in possesso, chiarendo c il proprio ruolo fosse stato quello di mero prestanome, in assenza di qualsiv potere ed autonomia decisionale o amministrativa. Precisa di esser sogge alcool dipendente, senza lavoro, sposato con moglie invalida e, appena uscito un periodo di ricovero volontario, gli era stato proposto di ris amministratore (di diritto, ma non di fatto) di una società, prospettando possibilità di un seppur contenuto guadagno, che invece neppure interveniv
Aveva anche fornito i nominativi dei soggetti, che non erano stati indagati, né escussi a sommarie informazioni.
Lamenta, quindi, l’erroneità delle affermazioni contenute in sentenza a sostegno dell’affermazione di responsabilità, vale a dire che l’assunzione della carica di amministratore non sarebbe stata meramente formale, che il ruolo di amministratore sarebbe stato ricoperto sin dalla costituzione della società, che il 99% del capitale sociale sarebbe stato acquistato dal ricorrente, che le affermazioni relative a coloro che avevano architettato l’operazione illecita ed approfittato della propria condizione di debolezza erano generiche.
Sostiene, ancora, che, affinchè il soggetto prestanome possa essere ritenuto concorrente nel reato, occorre la prova di una sua ingerenza nella gestione sociale, prova che nella fattispecie non era stata fornita. Per i delitti tributari, particolare quelli caratterizzati da dolo specifico, l’amministratore di diritto pu rispondere se e nella misura in cui abbia omesso di impedire l’evento, mentre il ricorrente non avrebbe potuto impedire alcunchè poiché ignaro ed inconsapevole di quanto stava, a causa d’altri, accadendo.
Sostiene, infine, che nessuno dei documenti asseritamente definiti fatture per operazioni inesistenti possedeva i requisiti ex lege previsti dall’art. 21 d.P.R. n. 633/1972 e, conseguentemente, non poteva ritenersi sussistente l’ipotesi di reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa lamenta violazione ed erronea applicazione degli artt. 133 e 62-bis cod. pen. con conseguente erronea dosimetria della pena, eccessività della stessa a cagione del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella massima estensione riduttiva e dell’eccessivo aumento per la pur riconosciuta continuazione tra i due capi di imputazione.
Deduce la difesa che la Corte di appello ha svilito l’apporto collaborativo ed il comportamento del ricorrente, né ha tenuto in minimale considerazione le condizioni soggettive ed oggettive dello stesso, rappresentate da quest’ultimo in dibattimento e confermate dall’operante della Guardia di Finanza escusso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso è inammissibile.
Occorre premettere che, nel caso in esame, ci si trova al cospetto della conferma nei medesimi termini della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, cioè ad una c.d. “doppia conforme”. Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia soltanto quello che, a presidio del devolutum, discende dalla pretermissione dell’esame di temi
probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017, dep. 2018, COGNOME e altri, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/01/2015, Giugliano, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013, dep. 2014, Dall’Agnola, Rv. 257967); o anche manifestamente travisati in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018).
Al di fuori di tale perimetro, resta precluso il rilievo del vizio di motivazio secondo la nuova espressione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. nel caso di adeguata e logica valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio. Deve altresì ribadirsi che nei casi di doppia conforme, le motivazioni delle sentenze di merito convergono in un apparato motivazionale integrato e danno luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2 n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615), che in tali termini deve essere assunto anche nella denuncia dei vizi di legittimità, nei limiti della loro rilevanza (Sez. 1, n. 33298 d 22/04/2024, Fall).
Tanto premesso, il motivo di ricorso è del tutto generico, nella misura in cui ripropone, senza alcuna novità critica, le identiche doglianze difensive svolte in grado di appello, mentre le conformi conclusioni cui pervengono i giudici di merito sono coerenti con gli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità.
La Corte di merito ha affermato sul punto, con argomenti non illogici, che l’assunzione della carica di amministratore di diritto da parte del ricorrente non era stata meramente formale, avendo costui ricoperto tale carica sin dalla costituzione della RAGIONE_SOCIALE avvenuta in data 30/09/2014, avendo acquistato la quasi totalità del capitale sociale (vale a dire il 99%) ed avendo effettuato atti di esercizio del potere di gestione, essendo delegato ad operare sui conti correnti bancari. Per contro, la Corte territoriale aveva ritenut generiche le indicazioni fornite sui presunti amministratori di fatto, non essendo stato offerto alcun significativo elemento per poterli individuare, con la conseguenza che nessun rilievo può essere mosso all’Autorità inquirente per le dedotte carenze investigative, in difetto di elementi fattuali suscettibili oggettivo riscontro.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di reati tributari l’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che l semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli
eventi tipici del reato, ovvero a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (Sez. 3, n. 46834 del 21/09/2023, COGNOME; Sez. F, n. 42897 del 09/08/2018, C. Rv. 273939-02).
Peraltro, con riferimento agli obblighi dichiarativi, la più recente elaborazione giurisprudenziale ha affermato che il legale rappresentante di un ente che non abbia dello stesso l’effettiva gestione non risponde ex art. 40, comma secondo, cod. pen. per violazione dei doveri di vigilanza e controllo derivanti dalla carica rivestita, ma quale autore principale della condotta, in quanto direttamente obbligato “ex lege” a presentare le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto di soggetti diversi dalle persone fisiche, che devono essere da lui sottoscritte e, solo in sua assenza, da chi abbia l’amministrazione, anche di fatto (Sez. 3, Sentenza n. 20050 del 16/03/2022, Rv. 283201). In motivazione la Suprema Corte ha specificato che “si tratta di obblighi dichiarativi gravanti direttamente ed immediatamente sul legale rappresentante dell’ente secondo quanto dispongono gli artt. 1, comma 4, e 8, comma 6, d.P.R. n. 322 del 1988, a mente dei quali le dichiarazioni relative alle imposte dirette e sul valore aggiunto dei soggetti diversi dalle persone fisiche devono essere sottoscritte da chi ne ha la legale rappresentanza e solo in assenza di questi da chi ne ha l’amministrazione, anche di fatto. La responsabilità omissiva del legale rappresentante dell’ente, dunque, non deriva dall’applicazione dell’art. 40 cpv. cod. pen. (e dunque dalla violazione di un dovere di controllo), bensì dalla violazione dell’obbligo gravante direttamente su di lui, obbligo che concorre a tipizzare la fattispecie di reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5, d.lgs. n. 74 del 2000, selezionandone l’autore e qualificando il reato stesso come a “soggettività ristretta” che può essere commesso solo da chi sia obbligato, per legge, a presentare la dichiarazione”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Del tutto coerentemente con i principi esposti, i giudici di merito hanno ritenuto, con valutazione non sindacabile in sede di legittimità perché logicamente ed adeguatamente argomentata, che l’assunzione della carica da parte del ricorrente non fosse stata meramente formale, avendo egli acquisito detta carica sin dal momento della costituzione della società ed anche la quasi totalità del capitale sociale, possedendo inoltre delega ad operare sui conti correnti bancari. Né coglie nel segno il rilievo delle dedotte carenze investigative, avuto riguardo alla genericità delle indicazioni fornite sui presunti amministratori di fatto, siccome non utili e conducenti per una loro compiuta individuazione.
Ed anche sotto il profilo dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 la Corte di merito ha puntualizzato, con motivazione logica e lineare, come il richiamo all’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972, che elenca i requisiti formali della fattura, fosse del tutto improprio, poiché l’oggetto dell
contestazione riguardava l’inesistenza del rapporto causale sottostante, avendo tutti i legali rappresentanti delle ditte emittenti le fatture utilizzate dichiarazioni fiscali degli anni di imposta indicati in imputazione dichiarato di non aver intrattenuto rapporti con la ditta di cui il ricorrente era l’amministratore diritto. Conseguentemente, è inammissibile la riproposizione delle stesse doglianze svolte in grado di appello, senza alcun elemento di novità critica, finalizzate ad una rivalutazione delle emergenze processuali alternativa a quella effettuata dai giudici di merito.
2. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di legittimità è ferma nel ritenere (v. ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME) che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisca un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richieda elementi di segno positivo (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489; Sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME, Rv. 281590); inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; Sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio dev essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737), non essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 1 n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; ancora Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv 242419, la cui massima è stata così redatta: «la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato»). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso concreto, i giudici di seconda cura non hanno ritenuto l’imputato meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in ragione della valutazione delle modalità del fatto, segnatamente del protrarsi
della condotta criminosa per tre annualità (2014-2015-2016), nonché della personalità dell’imputato, gravato da precedenti penali, che non ha dato dimostrazione di alcuna rivisitazione critica della condotta con riferimento ai reati contestati.
Tale motivazione, congrua e logica, non è in contrasto con gli insegnamenti di legittimità affermati in proposito, avendo i giudici chiarito quali elementi d segno negativo abbiano valorizzato nella decisione ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, precisando come non fossero stati offerti nuovi elementi in grado di giustificare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, elementi con i quali il ricorrente non si confronta, riproponendo anche in questa sede le stesse censure sollevate con l’atto di appello.
Anche sotto il profilo del trattamento sanzionatorio, la Corte di appello ha correttamente argomentato sull’aumento di pena di mesi sei di reclusione per il reato satellite, in ragione del fatto che l’occultamento e/o la distruzione delle scritture contabili aveva impedito la ricostruzione del volume di affari della società per tre annualità di imposta, ritenendo la dosimetria della pena congrua e proporzionata all’entità del fatto nel suo complesso. La motivazione è coerente con gli insegnamenti di legittimità, posto che è comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 1, n. 24213 del 13/03/2013, COGNOME, Rv. 255825; da ultimo v. Sez. 2, n. 1929 del 16/12/2020, dep. 2021, COGNOME, non mass.). Le Sezioni unite di questa Corte hanno di poi ribadito che «una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto quando la pena – diversamente dal caso in esame – sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale» (così Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869-01, in motivazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In presenza di un apparato argomentativo non irrazionale, non vi è dunque spazio per l’accoglimento delle obiezioni difensive, che sollecitano una nuova valutazione di congruità del trattamento sanzionatorio.
In conclusione, stante l’inammissibilità e la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia
stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/10/2024