Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 52121 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 5 Num. 52121 Anno 2019
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/11/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nata il 10/07/1972
avverso la sentenza del 05/02/2018 della CORTE di APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente alle pene accessorie; inammissibilità nel resto.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha confermato la condanna di COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, a lei ascritti quale socia accomandataria e amministratrice della RAGIONE_SOCIALE società dichiarata fallita in data 1 dicembre 2006.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputata, tramite il difensore, denunciando, con un unico motivo, vizio di motivazione.
La Corte di appello dà atto che l’imputata figurava solo formalmente come amministratrice mentre, di fatto, la gestione della società era nelle mani del marito NOME, nelle more deceduto.
La ricorrente lamenta che, nonostante questo chiaro approdo, il giudice di merito abbia confermato la condanna dell’imputata ritenendola consapevole delle vicende societarie in ragione del legame coniugale con l’amministratore effettivo.
Secondo la ricorrente la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare fatti decisivi emersi dall’istruttoria dibattimentale: l’imputata non conosceva la lingua italiana, non comprendeva il significato degli atti che il marito le faceva sottoscrivere; non aveva mai preso parte alle trattative limitandosi “a portare il caffè”; non poteva figurarsi i progetti perseguiti dal marito; il mero vincolo coniugale non poteva essere elevato ad indice di coscienza e volontà nella commissione degli illeciti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, tuttavia deve essere rilevata di ufficio l’illegalit delle pene accessorie ex art. 216 u.c. legge fall.
2. Il motivo proposto non risponde al requisito di specificità richiesto dall’art. 606 cod. proc. pen.
2.1 Va premesso che la decisione della Corte di appello non si pone in contrasto con i principi delineati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità dell’amministratore di diritto per reati di bancarotta fraudolenta.
Invero, secondo ius receptum, l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza delle condotte poste in essere dall’amministratore effettivo. E,
nell’ipotesi di soggetto che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, per l’affermazione della responsabilità penale bastano la sola consapevolezza che dalla propria condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) o l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale) (tra le ultime, in tema di bancarotta per distrazione, Sez. 5, n. 7332 del 07/01/2015, Fasola, Rv. 262767).
2.2 La doglianza della ricorrente attiene all’effettivo raggiungimento della prova della indicata consapevolezza, ma viene prospettata in maniera tale da non accedere al perimetro del giudizio di legittimità, per difetto del requisito di autosufficienza.
2.3 Va ricordato che la condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa della collocazione dell’atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen (Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994).
Nella specie la censura mossa dalla ricorrente – nel contestare l’addebitabilità dei reati sotto il profilo soggettivo – si incentra esclusivamente su asserite risultanze probatorie che non riultano trascritte in ricorso, né sono allegate e delle quali non viene indicata la precisa collocazione all’interno nel fascicolo processuale.
Ricorre pertanto la violazione del citato art. 606 lett. e) cod. proc. pen..
3. Il collegio rileva di ufficio che, a seguito della sentenza n. 222 del 05/12/2018 della Corte costituzionale, sono divenute illegali le pene accessorie ex art. 216, u.c., I. fall. applicate nella durata fissa di dieci anni
4. L’illegalità sopravvenuta delle pene accessorie di cui all’art. 216 u.c. legge fall. impone l’annullamento sul punto della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito che provvederà alla determinazione in concreto della durata delle stesse in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, COGNOME, Rv. 276286).
Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
5. Non risulta maturato il termine di prescrizione, tenuto conto dei periodi di sospensione pari a complessivi 182 giorni.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla durata delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, I. fall., con rinvio alla Corte d appello di Perugia per nuovo esame sul punto. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 26/11/2019