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Amministratore di diritto e bancarotta: la Cassazione

La Corte di Cassazione si pronuncia sulla responsabilità penale dell’amministratore di diritto per bancarotta fraudolenta. La sentenza chiarisce che la consapevolezza di una gestione illecita da parte dell’amministratore di fatto è sufficiente per affermare la complicità, anche in un ruolo formale. Tuttavia, nel caso specifico, uno dei capi d’accusa è stato dichiarato estinto per prescrizione.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Diritto e Bancarotta: La Cassazione sulla Responsabilità del ‘Prestanome’

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 12010/2025) torna ad affrontare un tema cruciale nel diritto penale societario: la responsabilità dell’amministratore di diritto per i reati fallimentari commessi da un amministratore di fatto. La pronuncia chiarisce che il ruolo formale non è uno scudo contro le accuse di bancarotta fraudolenta, essendo sufficiente la consapevolezza di partecipare a una gestione illecita per configurare il concorso nel reato. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.

I fatti del processo

Il caso riguarda l’amministratore unico e poi liquidatore di una società di costruzioni, dichiarato fallito. L’imputato era stato condannato in primo grado e in appello per due distinti reati:

1. Bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione: in concorso con l’amministratore di fatto, aveva distratto beni della società stipulando un mutuo per l’acquisto di un immobile intestato a una persona vicina a quest’ultimo.
2. Bancarotta fraudolenta impropria: per aver causato il fallimento attraverso operazioni dolose, tra cui l’emissione di fatture per operazioni inesistenti e l’omissione sistematica del pagamento di debiti fiscali e contributivi per decine di milioni di euro.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di essere stato un mero ‘prestanome’, un tecnico esperto di edilizia privo di competenze gestionali e finanziarie, e che la gestione effettiva della società fosse interamente nelle mani dell’amministratore di fatto. A suo dire, la sua accettazione del ruolo non implicava la consapevolezza dei disegni illeciti altrui.

Il ruolo dell’Amministratore di Diritto secondo i Giudici

La Corte di Cassazione, confermando la valutazione dei giudici di merito, ha rigettato la tesi difensiva. Secondo la Suprema Corte, il ruolo dell’imputato non era quello di un semplice prestanome. Diversi elementi probatori hanno dimostrato il suo fattivo coinvolgimento e il suo inserimento consapevole nel ‘circuito decisionale’ della società, sebbene in posizione meno rilevante rispetto al dominus di fatto.

Tra gli elementi valorizzati figurano:

* La lunga permanenza nella carica di amministratore.
* Il coinvolgimento come socio e amministratore nella holding del gruppo societario.
* Le svariate cariche assunte in altre società della stessa famiglia imprenditoriale.
* Gli incarichi tecnici ricoperti, che dimostravano una conoscenza approfondita delle attività della società.

Questi fattori, nel loro complesso, hanno delineato un quadro di partecipazione attiva alla gestione e non di mera passività formale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte ha ritenuto infondati i motivi di ricorso. In particolare, ha precisato che la doglianza relativa al ‘travisamento della prova’ era inammissibile. L’imputato, infatti, non lamentava un’errata trascrizione del contenuto di una prova, ma proponeva una diversa interpretazione del materiale probatorio, operazione preclusa in sede di legittimità.

Nonostante il rigetto nel merito dei motivi, la Corte ha rilevato d’ufficio un fatto decisivo: la maturazione della prescrizione per il reato di bancarotta per distrazione (capo A) in data successiva alla sentenza d’appello.

Di conseguenza, la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente a tale reato, e ha rinviato il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per la sola rideterminazione della pena relativa al reato di bancarotta impropria (capo B).

Le motivazioni della Suprema Corte

Le motivazioni della sentenza ribadiscono un principio consolidato in giurisprudenza. Per integrare il dolo dell’amministratore di diritto nel reato commesso dall’amministratore di fatto, è sufficiente la ‘generica consapevolezza’ che quest’ultimo stia compiendo una delle condotte illecite previste dalla norma. Non è necessaria una conoscenza dettagliata di ogni singolo episodio delittuoso. L’elemento soggettivo può configurarsi sia come dolo diretto sia come dolo eventuale, ossia l’accettazione del rischio che dalla propria condotta (anche omissiva, come il mancato controllo) possano derivare eventi illeciti.

Le conclusioni

La sentenza in esame offre un importante monito: accettare la carica di amministratore di una società, anche solo formalmente, comporta doveri di vigilanza e controllo la cui violazione può avere gravi conseguenze penali. La figura del ‘prestanome’ non offre alcuna garanzia di impunità. I giudici valutano la posizione dell’amministratore formale sulla base di tutti gli elementi disponibili, e una sua prolungata inerzia o un coinvolgimento, anche marginale, nella catena decisionale possono essere interpretati come una consapevole adesione alla gestione illecita dell’amministratore di fatto, con conseguente affermazione di responsabilità penale in concorso.

Un amministratore di diritto (o ‘prestanome’) è sempre responsabile per i reati commessi dall’amministratore di fatto?
Non automaticamente, ma la sua responsabilità in concorso può essere affermata se viene provata la sua generica consapevolezza che l’amministratore di fatto stia compiendo condotte illecite. La Cassazione chiarisce che è sufficiente anche il dolo eventuale, cioè l’accettazione del rischio che si verifichino tali condotte.

Cosa significa ‘travisamento della prova’ e perché il ricorso è stato respinto su questo punto?
Il travisamento della prova è un vizio specifico che si verifica quando il giudice, nella motivazione, riporta il contenuto di una prova in modo palesemente errato o ne omette la valutazione. Nel caso in esame, il ricorrente non contestava un errore di questo tipo, ma proponeva una diversa lettura e valutazione delle prove, attività che non è permessa alla Corte di Cassazione, la quale giudica solo la legittimità e la logicità della decisione, non il merito dei fatti.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato parzialmente la sentenza nonostante abbia respinto i motivi del ricorso?
Perché, successivamente alla sentenza d’appello, era maturato il termine massimo di prescrizione per uno dei reati contestati (la bancarotta per distrazione). Quando il ricorso non è palesemente inammissibile, la Corte ha il dovere di rilevare d’ufficio le cause di estinzione del reato, come la prescrizione. Per questo motivo ha annullato la condanna per quel reato e ha rinviato alla Corte d’Appello per ricalcolare la pena solo per il reato non prescritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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