Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 46973 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 46973 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PETRONA’ il 19/10/1964
avverso la sentenza del 27/02/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME
che ha chiesto kannullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la decisione del G.U.P. del Tribunale di quella stessa città, che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole, quale amministratore formale della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOMERAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita con sentenza del 08/11/2016, di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per avere distratto/dissipato euro 98.000 di liquidità di cassa, non rinvenuta né consegnata alla curatela fallimentare, e per avere alienato, con autofattura del 22/01/2016, beni ammortizzabili della fallita.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME che svolge un unico articolato motivo – enunciato nei limiti richiesti per motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod.proc.pen. – denunciando violazione della legge fallimentare e correlati vizi della motivazione in merito all’elemento soggettivo del reato.
Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale – pacifico essendo il ruolo di me amministratore apparente della società fallita, di fatto gestita da NOME COGNOME – sia pervenuta alla affermazione di responsabilità sulla base del mero ruolo formale ricoperto dall’imputato, senza individuare concreti indici della consapevolezza della gestione fraudolenta da parte dell’amministratore effettivo, in spregio all’orientamento giurisprudenziale, pur richiamato dalla sentenza impugnata, ma tradito nella motivazione, che non considera sufficiente – ai fini del dolo – la accettazione consapevole del ruolo di amministratore formale, in assenza dell’analisi delle circostanze sintomatiche della conoscenza della cattiva gestione. Vengono richiamati nel ricorso elementi di fatto ( l’essere un mero dipendente della ditta, le due querel sporte nei confronti del Carpino, l’avere la stessa sentenza riconosciuto che il ricorrente foss all’oscuro della gestione aziendale fino al 2012) che indirizzano nella direzione opposta e che la Corte di appello non ha convincentemente scrutinato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catanzaro.
2.Secondo il condiviso orientamento giurisprudenziale, pure richiamato dalla sentenza impugnata, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l’amministratore di diritto risponde unitamente all’amministratore di fatto per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, richiedendosi, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi i beni sociali, la non può dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministratore. Ai fini della configurabilità del concorso dell’amministratore c.d. testa di leg per omesso impedimento dell’evento, è necessario, cioè, che, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle distrazioni, emerga la prova, da un lato, dell’effettiva conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quanto meno, di “segnali di allarme” inequivocabili dai qu desumere l’accettazione del rischio – secondo i criteri propri del dolo eventuale – del verificar
dell’evento illecito e, dall’altro, della volontà – nella forma del dolo indiretto – di non attiv scongiurare detto evento (Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, Rv. 273925 – 04). Conseguentemente, non può, nei confronti dell’amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati ben nella disponibilità dell’imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adegua giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto (Sez. 5, n. 28007 del 04/06/2004, Rv. 228713; Sez. 5, n. 19049 del 19/02/2010, Rv. 247251)
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, nelle quali il Collegio si riconosce, si ritiene c Corte territoriale non abbia compiutamente assolto al compito di individuare, nella condotta del ricorrente, elementi inferenziali significativi della consapevolezza della gestione fraudolenta d parte dell’amministratore reale, se non facendo ricorso a una motivazione intrinsecamente contraddittoria e in alcune parti apparente.
2.1. In particolare, dalla ricostruzione in fatto consegnata dai giudici di merito emerge che ricorrente assunse consapevolmente la carica solo apparente di amministratore formale, accettando che, nella denominazione sociale, fosse inserito il nominativo (NOME) del figlio del COGNOME; con un palese salto logico e, comunque, con argomentare contraddittorio, la Corte di appello, dopo avere segnalato che egli, nella società fallita, svolse le mansioni di dipendente, ha apoditticamente affermato che avesse “partecipato attivamente a diverse vicende societarie”, e ciò pur avendo conferito al COGNOME una delega alla firma sui conti correnti rilasciata per u ampio periodo di nove anni; nonostante che COGNOME fosse colui che intratteneva rapporti con il tenutario delle scritture contabili e con i clienti dell’impresa, e incassava somme dai clienti de fallita, cosicchè “risultava, dunque, che l’imputato rivestisse nella dita fallita, fino al 2012, figura del prestanome.”
2.2. Dopo la premessa per la quale il COGNOME fosse mero “dipendente” che si presentava quale mera ‘testa di legno’, e avesse dato una procura generale a COGNOME Giuseppe sin dal 2003 per 9 anni, cioè fino al 2012, anno in cui cessava dalla carica di amministratore di diritto, Corte di appello introduce l’elemento dell’autofattura, emessa nel 2016, relativa a tutti i be ammortizzabili esistenti alla data del 22.01.2016, senza chiarire, tuttavia, in quale vest essendo cessato da qualunque carica diversi anni prima, e non avendo alcun ruolo gestionale di fatto, avrebbe potuto compiere atti commissivi di bancarotta distrattiva nel 2016.
2.3. Parimenti decontestualizzato l’argomento che riconduce al COGNOME la distrazione di una somma di denaro, di circa 98.000 euro, pari alla liquidità di cassa, poiché anche tale ultimo assunto, oltre a rivelarsi apodittico in quanto privo di alcuna argomentazione, finisce per negare, ancora una volta in modo contraddittorio, le premesse dalle quali la sentenza ha preso le mosse, poiché non è dato comprendere, anche in riferimento a tale condotta, in quale veste egli, amministratore solo apparente, di fatto dipendente della società, quindi mero prestanome, senza
alcun ruolo gestorio, avrebbe concorso nella distrazione per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire.
2.4. Alla luce di quanto osservato, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Il Consi Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2024