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Alimenti in cattivo stato: Cassazione e detenzione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 7272/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di due persone condannate per aver detenuto 450 kg di alimenti in cattivo stato. La Corte ha ribadito che per la configurazione del reato non è necessaria la vendita, ma è sufficiente la semplice detenzione. Inoltre, l’ingente quantità di cibo esclude l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Alimenti in Cattivo Stato: la Detenzione è Reato Anche Senza Vendita

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 7272 del 2024, ha fornito un’importante precisazione in materia di reati alimentari. Il caso riguardava la detenzione di un’ingente quantità di alimenti in cattivo stato di conservazione. La Suprema Corte ha stabilito che la semplice detenzione di tali prodotti è sufficiente per configurare il reato, senza che sia necessaria l’effettiva vendita o somministrazione a terzi. Analizziamo questa decisione per comprenderne la portata.

I Fatti del Caso

Due persone venivano condannate dal Tribunale di Pordenone al pagamento di un’ammenda per il reato previsto dalla Legge 283/1962. L’accusa era di aver impiegato, per la preparazione di cibi da distribuire, circa 450 chilogrammi di pesce e pollame crudi in cattivo stato di conservazione. La preparazione avveniva all’aperto, in condizioni igieniche precarie, nei pressi di una zona boschiva.

Contro questa sentenza, gli imputati proponevano ricorso in Cassazione, basandolo su tre principali motivi.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

I ricorrenti contestavano la loro responsabilità sostenendo, in primo luogo, di stare semplicemente cucinando del cibo appena acquistato senza alcuna intenzione di venderlo. A loro avviso, la norma punirebbe solo la vendita e non la preparazione per altri fini.

In secondo luogo, lamentavano la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), evidenziando che il cibo non era stato consumato e che l’unica conseguenza era stata un forte odore sgradevole. Infine, contestavano il diniego delle circostanze attenuanti generiche.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla detenzione di alimenti in cattivo stato

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, respingendo tutte le argomentazioni difensive con motivazioni chiare e rigorose.

Sulla Configurazione del Reato e la Ricostruzione dei Fatti

La Corte ha innanzitutto ribadito un principio cardine del giudizio di legittimità: la Cassazione non può riesaminare i fatti del processo, ma solo verificare la corretta applicazione della legge. Il giudice di merito aveva accertato, con una motivazione logica e completa, che l’enorme quantità di cibo (450 kg) non poteva essere destinata a un consumo privato, ma era chiaramente preparata per essere ceduta e somministrata a terzi. Tale conclusione era peraltro supportata dalla testimonianza del parroco di una chiesa vicina, il quale aveva dichiarato che quel cibo era destinato a un funerale che si sarebbe tenuto il giorno seguente.

Aspetto cruciale della decisione è la precisazione normativa: la legge di riferimento (L. 283/1962) non punisce solo la vendita, ma anche la mera detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione, soprattutto se tenuti in condizioni igieniche precarie e promiscue.

Sulla Particolare Tenuità del Fatto e le Attenuanti

Anche riguardo alla richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p., la Corte ha ritenuto la decisione del giudice di merito incensurabile. La valutazione sulla particolare tenuità del fatto è una prerogativa del giudice di merito e, nel caso di specie, l’enorme quantitativo di alimenti è stato correttamente ritenuto un elemento ostativo al riconoscimento di una particolare tenuità della condotta.

Infine, il diniego delle circostanze attenuanti generiche è stato giudicato legittimo, in quanto il giudice di merito ha motivato la sua scelta facendo riferimento all’assenza di elementi positivamente valutabili e alla presenza di precedenti penali a carico di entrambi gli imputati.

Le conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione conferma un orientamento consolidato e fondamentale per la tutela della salute pubblica. La decisione ribadisce due principi chiave:

1. La detenzione è sufficiente: Per il reato di alimenti in cattivo stato di conservazione, non è necessario dimostrare la vendita o la somministrazione. Il semplice fatto di detenere prodotti alimentari in condizioni non idonee è sufficiente a integrare la fattispecie criminosa, in quanto rappresenta un pericolo per la salute collettiva.
2. La quantità conta: L’ingente quantità di cibo è un elemento fattuale decisivo che il giudice può utilizzare sia per determinare la destinazione del prodotto (vendita/distribuzione vs. uso personale), sia per escludere la particolare tenuità del fatto.

Questa pronuncia serve da monito per tutti gli operatori del settore alimentare e non solo, sottolineando il rigore con cui l’ordinamento giuridico sanziona le condotte che mettono a rischio la sicurezza alimentare.

È necessario vendere il cibo mal conservato per commettere il reato?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, ai sensi della Legge 283/1962, la semplice detenzione di alimenti in cattivo stato di conservazione è sufficiente per configurare il reato, anche in assenza di una vendita effettiva.

Perché non è stata applicata la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
La Corte ha ritenuto che l’ingente quantità di cibo sequestrato, pari a 450 chilogrammi, fosse un elemento tale da escludere che il fatto potesse essere considerato di ‘particolare tenuità’, confermando la decisione del giudice di merito.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di un caso, come la destinazione del cibo?
No. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Non può effettuare una nuova valutazione dei fatti, ma solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza impugnata sia logica e non contraddittoria. La ricostruzione dei fatti del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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