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Aggravante spaccio stupefacenti: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un indagato contro l’ordinanza di custodia cautelare per spaccio di droga. Il motivo, incentrato sulla contestazione dell’aggravante spaccio stupefacenti legata all’ingente quantitativo, è stato ritenuto generico perché non spiegava come la sua esclusione avrebbe inciso sulla necessità della misura cautelare.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aggravante Spaccio Stupefacenti: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16125 del 2025, offre un importante chiarimento sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi contro le misure cautelari. In particolare, la Corte si è pronunciata sul caso di un indagato che contestava l’applicazione di un’ aggravante spaccio stupefacenti legata all’ingente quantitativo, sostenendo che la sua esclusione avrebbe dovuto portare a una revisione della custodia cautelare in carcere. La decisione finale di inammissibilità sottolinea un principio fondamentale: non basta contestare un singolo elemento dell’accusa, ma è necessario dimostrare il suo impatto concreto sulla decisione impugnata.

I Fatti alla Base della Decisione

Il caso trae origine da un’indagine su una vasta rete di spaccio di sostanze stupefacenti nell’area di Albenga. Le investigazioni, basate su intercettazioni telefoniche e ambientali, avevano portato all’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per uno dei presunti fornitori del gruppo criminale. A suo carico venivano contestate diverse cessioni di hashish, tra cui una partita di 15 kg e la disponibilità di un quantitativo totale di 45 kg. Sulla base di questi elementi, il Giudice per le Indagini Preliminari e, successivamente, il Tribunale del Riesame avevano confermato la misura detentiva, ritenendo sussistente non solo il reato base di spaccio, ma anche l’aggravante dell’ingente quantitativo.

Il Ricorso in Cassazione e la Contestazione sull’Aggravante Spaccio Stupefacenti

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, concentrando le proprie argomentazioni esclusivamente sulla sussistenza dell’ aggravante spaccio stupefacenti prevista dall’art. 80 del d.p.r. 309/1990. Secondo il ricorrente, il quantitativo contestato non raggiungeva la soglia minima individuata dalla giurisprudenza per le droghe leggere (indicata in 50 kg) per poter configurare tale aggravante. L’obiettivo era ottenere un annullamento dell’ordinanza cautelare, assumendo che l’esclusione dell’aggravante avrebbe dovuto incidere sulla valutazione della pericolosità sociale e, di conseguenza, sulla scelta della misura cautelare più afflittiva.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La motivazione non entra nel merito della sussistenza o meno dell’aggravante, ma si concentra su un vizio procedurale del ricorso stesso. I giudici hanno evidenziato che il ricorrente si è limitato a contestare l’aggravante in modo astratto, senza spiegare in che modo la sua eventuale esclusione avrebbe concretamente influito sui presupposti della misura cautelare. In altre parole, la difesa non ha argomentato sul perché, anche senza l’aggravante, le esigenze cautelari (in particolare il rischio di reiterazione del reato) non sarebbero state comunque così gravi da giustificare la custodia in carcere. La Corte ha ritenuto il motivo di ricorso generico e privo di rilevanza pratica ai fini della decisione sulla libertà personale, poiché non attaccava il nucleo centrale del ragionamento del Tribunale del Riesame, ovvero la gravità complessiva dei fatti e la pericolosità dell’indagato desunta dalle modalità operative e dai quantitativi comunque significativi di droga trattati.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cruciale in materia di impugnazioni cautelari: un ricorso per cassazione deve essere specifico e pertinente. Non è sufficiente sollevare una questione di diritto, come la corretta applicazione di un’ aggravante spaccio stupefacenti, se non si dimostra che la risoluzione di tale questione è decisiva per la modifica del provvedimento impugnato. Per contestare efficacemente una misura cautelare, è necessario demolire il ragionamento logico-giuridico che la sorregge nel suo complesso, dimostrando che, anche rivalutando un singolo elemento, l’intera impalcatura accusatoria e le conseguenti esigenze cautelari vengono meno. Un ricorso che non assolve a questo onere di specificità è destinato a essere dichiarato inammissibile.

È sufficiente contestare un’aggravante per ottenere la revoca della custodia cautelare?
No, secondo questa sentenza non è sufficiente. L’indagato deve dimostrare in modo specifico come l’esclusione dell’aggravante incida direttamente sui presupposti della misura cautelare, eliminando o riducendo le esigenze che la giustificano.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto generico. La difesa ha contestato l’aggravante dell’ingente quantitativo senza spiegare come la sua rimozione avrebbe modificato la valutazione sulla necessità della custodia in carcere, che si basava anche su altri elementi di gravità.

Qual è il principio stabilito dalla Corte in questa decisione?
Il principio è che un motivo di ricorso in Cassazione contro una misura cautelare deve essere decisivo e pertinente. Deve attaccare il nucleo del ragionamento del giudice precedente e dimostrare che un eventuale errore di diritto è stato determinante per la decisione sulla libertà personale dell’indagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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