Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32044 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32044 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/07/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME NOME ROMA il DATA_NASCITA
NOME COGNOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo:
– per COGNOME NOME – annullamento con rinvio limitatamente all’aggravante di cui all’art. 73, comma 6, d.P.R. 309/1990 e, in subordine, annullamento senza rinvio sul punto; rigetto nel resto del ricorso;
per COGNOME NOME – annullamento senza rinvio limitatamente all’aumento di pena per l’aggravante di cui all’art. 80, d.P.R. 309/1990 e inammissibilità nel resto del ricorso;
per COGNOME NOME – annullamento senza rinvio limitatamente all’aggravante di cui all’art. 73, comma 6, d.P.R. 309/1990 e inammissibilità nel resto.
per COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME e COGNOME NOME inammissibilità dei ricorsi;
uditi per i ricorrenti
l’AVV_NOTAIO COGNOME del foro di ROMA, in difesa di NOME COGNOME, insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME del foro di ROMA, in difesa di COGNOME NOME, che insiste per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in particolare con riferimento al secondo e terzo motivo di ricorso;
AVV_NOTAIO del foro di ROMA, in difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOME, che si riporta ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento;
lAVV_NOTAIO COGNOME del foro di ROMA, in difesa di COGNOME NOME, che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
l’AVV_NOTAIO COGNOME, quale sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME del foro di ROMA, in difesa di COGNOME NOME, che chiede l’annullamento della sentenza impugnata;
l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME del foro di ROMA, in difesa di COGNOME NOME, che chiede l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME del foro di ROMA, in difesa di COGNOME NOME, che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Roma, per quel che qui rileva, con la sentenza indicata in rubrica, ha confermato il giudizio di responsabilità e con rifermento a:
–NOME COGNOME, esclusa l’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80 d.P.R. 309/1990, con la recidiva infraquinquennale, ha ridetermiNOME la pena inflittagli in anni sette di reclusione ed euro 35.000,00 di multa la pena inflittag per il reato ascrittogli al capo 10), per l’acquisto di tre chilogrammi di cocaina da COGNOME NOME, parte della quale poi riconsegnata (per la restituzione) a NOME COGNOME tra febbraio e marzo 2018;
–NOME COGNOME, ha ridetermiNOME in anni sei e mesi sei di reclusione ed euro 40.000,00 di multa, per il reato ascrittogli al capo 47), in esso assorbita la condotta di cui al capo 35), riqualificato ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990, con la recidiva specifica.
–NOME COGNOME, ha ridetermiNOME la pena inflittagli in anni tre e mesi sei di reclusione ed euro 15.000,00 di multa per il reato ascrittogli al capo 47), relativo all’accordo per l’acquisto di un imprecisato quantitativo di hashish da NOME COGNOME il 21 maggio 2018 e nei giorni seguenti;
COGNOME, esclusa l’aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80 d.P.R. 309/1990, ha ridetermiNOME la pena inflittagli in anni quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa la pena inflittagli per il reato ascrittogli al capo 19 per l’acquisto di una partita di cocaina da NOME COGNOME, operazione del 31 marzo 2018; –NOME
–NOME COGNOME, esclusa la recidiva e applicate le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante di cui all’art. 73, comma 6, d.P.R. 309/1990, ha ridetermiNOME la pena inflittagli in anni quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa in relazione al reato di cui all’art.73, comma 1, d.P.R. 309/1990, ascrittogli al capo 4-bis, per l’acquisto da NOME COGNOME di un chilogrammo di cocaina poi restituita perché risultata di non buona qualità;
–NOME COGNOME, ritenuta la continuazione tra i reati oggetto del presente procedimento e quelli giudicati con sentenza del 13 aprile 2023, ritenuto più grave il reato di cui al capo 42) del presente procedimento (art. 73, commi 1 e 6, 80, comma d.P.R. 309/1990, avente ad oggetto la cessione di una partita di 20 chilogrammi di cocaina, condotta in data antecedente al 2 marzo 2018), ha ridetermiNOME, con la recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale. la pena inflittagli in la pena complessiva inflitta all’imputato in quella di anni trenta, i essa assorbita quella della sentenza irrevocabile e per i reati di cui agli artt. 74
(capo 4 ) e 73, capi
3,4bis,5,6,7,8,9,10,11,12,13,14,15,1,1,18,19,20,21,22,23,24,25,26,27,28,29,3
1,32,33,34,35,37,38,39,40’43,44,45,46,47,50,52,53, estorsione (capi 1 e 2) e favoreggiamento (capo 55);
–NOME COGNOME, con la diminuente del rito abbreviato, ha ridetermiNOME la pena inflittagli in anni dieci di reclusione, ritenuto più grave il reato di cui al c 4), art. 74, comma 4 d.P.R. 309/1990, e applicato la continuazione per i reati di cui ai capi 13, 17, 18, 24, 35, 44, 45, 46 e 50, reati di cui all’art. 73 d.P. 309/1990;
2.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. a cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione ricorrenti chiedono l’annullamento della sentenza impugnata.
In particolare:
2.1. NOME COGNOME: sono in atti tre ricorsi. Con il ricorso del 22 febbraio 2022 dell’AVV_NOTAIO denuncia
2.1.1.violazione di legge (art. 191, 267, comma 1, 271 cod. proc. pen. e 14 e 15 Cost). Il ricorrente impugna, in particolare, l’ordinanza del 25 giugno 2021 con la quale la Corte di merito ha disatteso l’eccezione di inutilizzabilità dell risultanze delle operazioni di intercettazione effettuate all’interno dell’abitazion di NOME COGNOME poiché il provvedimento di autorizzazione non indicava esattamente gli ambienti in cui le operazioni avrebbero dovuto essere effettuate tenuto conto che presso i locali, attigui ma distinti, erano installati due apparecchi telefonici. Il decreto del Pubblico Ministero, non indicava le stanze della casa in cui le operazioni avrebbero dovuto essere effettuate, con inutilizzabilità delle captazioni del 28 febbraio e 2 marzo 2018;
2.1.2. erronea applicazione della legge penale per la mancata riqualificazione della condotta ai sensi dell’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990, come dal primo motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO. La sentenza impugnata valorizza aspetti inconferenti per ritenere provato che la droga fosse cocaina (come il riferimento a pacchi e a quantitativi o alle abitudini dei consumatori ) indifferentemente riferibili anche all’hashish e trascura le dichiarazioni rese da NOME COGNOME secondo cui i riferimenti (Audi e Hublot) erano “indifferentemente” utilizzati per indicare sia cocaina che hashish, sostanza che, è uso, denominare anche con marchi di prodotti di lusso;
2.1.3. violazione di legge ai fini della ritenuta sussistenza dell’aggravante del numero delle persone (art. 73, comma 6, d.P.R. 309/1990) in mancanza della individuazione del ruolo dei correi nella commissione del fatto, motivo proposto anche nel ricorso dell’AVV_NOTAIO che evidenzia l’apoditticità della motivazione della sentenza impugnata sul punto;
2.1.4. violazione di legge (art. 63, comma 4, cod. pen.) nell’applicazione degli aumenti di pena in violazione del criterio moderatore di cui all’art. 63, comma 4, cod. pen.. La sentenza impugnata è del tutto priva di motivazione nella scelta del trattamento punitivo;
2.1.5. violazione di legge (art. 99 cod. pen.) e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza della pericolosità sociale. La sentenza impugnata si è limitata a valorizzare le precedenti e risalenti condanne ed ha trascurato che una delle condanne è divenuta irrevocabile dopo il fatto per cui si procede.
2.2. NOME COGNOME denuncia:
2.2.1. violazione di legge e vizio di motivazione in punto di responsabilità.
I giudici del merito hanno illogicamente valorizzato a carico del ricorrente le risultanze di conversazioni intercettate alle quali il ricorrente non è presente. In particolare la Corte non ha tenuto in conto la circostanza che la conversazione del 17 maggio 2018 faceva riferimento ad un carico di droga che era nella disponibilità di persona diversa, NOME COGNOME e che discutono sul carico e sulla divisione dei guadagni ma senza far riferimento, per la divisione, al Savio!’ (genericamente indicato come “zio”). Irrilevanti anche gli ulteriori colloqui del COGNOME c COGNOME, COGNOME e COGNOME durante il quale era intervenuto il COGNOME che, secondo la ricostruzione, si sarebbe recato, almeno una volta, sul luogo di deposito della droga, conclusione, tuttavia, priva di riscontri e che non è stata approfondita, per come la difesa aveva richiesto, mediante rinnovazione istruttoria verificando i movimenti attraverso il cellulare. Anche con riferimento all’intercettazione di cui al progressivo NUMERO_DOCUMENTO la ricostruzione della Corte di merito è priva di base fattuale;
2.2.2. erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen., non contestato al coimputato COGNOME, e fondato sull’erroneo presupposto che l’imputato fosse stato presente all’episodio della consegna documentata dalla conversazione progressivo 11234;
2.2.3. violazione del divieto di reformatio in pejus poiché la Corte di appello, individuato il reato più grave in quello di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990 (capo 47) ha applicato l’aumento di anni due di reclusione per l’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. cit. superiore all’aumento già inflittogli in primo grado e pari ad anni uno e mesi nove di reclusione.
2.3. NOME COGNOME denuncia:
2.3.1 violazione di legge e vizio di motivazione in punto di responsabilità del reato. I giudici del merito hanno valorizzato il contenuto delle uniche tre conversazioni intercettate (del 21, 22 e 23 maggio 2018): si tratta di droga parlata, avente ad oggetto la cessione di un quantitativo imprecisato di hashish
tant’è che la Corte di merito ha escluso l’aggravante dell’ingente quantità. Il contenuto delle conversazioni si risolve in atti preparatori, non punibili, o, al più in una fattispecie tentata;
2.3.2. violazione di legge ai fini della ritenuta sussistenza dell’aggravante del numero delle persone (art. 73, comma 6, d.P.R. 309/1990) in mancanza della individuazione del ruolo dei correi nella commissione del fatto e apoditticità della motivazione della sentenza impugnata sul punto;
2.3.3. violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche e conseguente bilanciamento con-ea contestata aggravante;
2.3.4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, GLYPH 309/1990.
2.4. NOME COGNOME denuncia:
2.4.1. violazione di legge (art. 192 cod. proc. pen.) e cumulativi vizi di motivazione nella individuazione del ricorrente come la persona che alle ore 16:00 del 31 marzo 2018 avrebbe ricevuto la consegna di una partita di due chilogrammi di cocaina dal COGNOME. La Corte di appello non si è confrontata criticamente con i rilievi difensivi svolti nell’atto di appello sulla individuazione del ricorrente come persona che si trovava a bordo dell’auto presso la quale si sarebbero recate le persone incaricate della consegna e ha valorizzato elementi che non riconducono univocamente all’imputato.
In particolare, non vi è certezza che COGNOME fosse la persona che si trovava a bordo dell’auto perché la sua presenza nel luogo era incompatibile con le sue condizioni di ricovero presso un ospedale cittadino e con le cure somministrategli; la mobilità del soggetto ripreso dal sistema di videosorveglianza era incompatibile con le condizioni cliniche del COGNOME; le videoriprese non documentano alcuna consegna né le risultanze delle intercettazioni consentono di associare alcuna utenza di riferimento dei coimputati al COGNOME; la sua individuazione, a cura della polizia giudiziaria e del Tribunale, attraverso il confronto dei frame della videoripresa con una fotografia dell’imputato, che è del tutto assente dalle indagini, non è decisiva;
2.4.2. violazione di legge (art. 192 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione per la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimenNOME attraverso la escussione dei chirurghi che avevano operato l’imputato per dimostrare come le sue condizioni cliniche fossero incompatibili con quelle della persona ripresa nel sistema di videosorveglianza.
2.5.NOME COGNOME denuncia:
2.5.1.vizio motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto accertata la condotta di cessione al ricorrente di un chilogrammo di cocaina da NOME COGNOME che l’aveva ricevuta da NOME COGNOME, sulla base dei messaggi scambiati tra l’imputato e il COGNOME trascurando che dal complessivo tenore dei messaggi si evinceva che, invece, la consegna non si era perfezionata poiché l’COGNOME aveva “rimandato”, a data da destinarsi, la consegna stessa, dando disdetta ad un precedente appuntamento. Anche il contenuto dei messaggi del 28 febbraio è stato erroneamente interpretato dai giudici di merito che hanno attribuito valenza dimostrativa univoca al contenuto dei messaggi che, invece, non avevano trovato riscontro nel servizio di osservazione e nella ricostruzione dei movimenti dello COGNOME così disattendendo la versione difensiva dell’imputato che aveva sostenuto di non essersi mai recato all’appuntamento con il COGNOME e lo COGNOME. La ricostruzione privilegiata dai giudici del merito è indiziaria ma è stata smentita dall’imputato che aveva sostenuto di non avere avuto in uso l’auto fiat 500 che sarebbe stata notata nei pressi del centro commerciale dove lo COGNOME si era recato.
2.6. NOME COGNOME denuncia:
Ricorso AVV_NOTAIO NOME COGNOME
2.6.1. violazione di legge (art. 74 d.P.R. 309/1990) e vizio di motivazione sulla sussistenza del reato associativo. I giudici di merito hanno valorizzato rapporti relativi al commercio di droga ininfluenti ai fini della dimostrazione di uno stabile accordo volto alla commissione di reati in materia di stupefacenti. Non esiste una cassa comune né sono stati sequestrati denaro o beni materiali suscettibili di impiego per la commissione di una serie indeterminata di trattative, acquisti e operazioni di importazione di droga né i partecipi del reato hanno mai percepito alcun compenso. In sintesi sono stati valorizzati elementi che non denotano la esistenza di una struttura nella quale si inseriscono, quale stabile contributo, gli accertati contatti.
Ricorso AVV_NOTAIO COGNOME
2.6.2. violazione di legge e vizio di motivazione per la ritenuta sussistenza dell’aggravante armata in relazione al reato associativo di cui al capo 4), motivo comune al secondo motivo di ricorso proposto dall’AVV_NOTAIO. Premesso che non è stata accertata la diretta disponibilità di armi da parte del ricorrente, assolto in primo grado da uno specifico reato in materia di armi (capo 51), la sentenza impugnata ha valorizzato, generalizzandone da diponibilità in capo ai componenti del gruppo, la detenzione delle armi rinvenute presso i locali di pertinenza del COGNOME e COGNOME il 25 giugno 2019 (capo 48), ma le affermazioni
della Corte di merito sono apodittiche e non si confrontano con i principi che la giurisprudenza ha enucleato ai fini della imputabilità delle armi al gruppo dovendo sussistere un requisito negativo – che le armi non siano nella esclusiva disponibilità del singolo partecipe – e un coefficiente di colpevolezza in capo ai singoli imputati.
L’inserimento del COGNOME e COGNOME in un contesto di spaccio che non li vedeva “esclusivi” fornitori del COGNOME, esclude che a questi possa ricondursi la ragionevole previsione della disponibilità dell’arma da parte dei concorrenti eventuali nel reato associativo. Inoltre impropriamente la Corte di appello ha valorizzato un episodio (il pestaggio con armi del NOME) che attiene ad una situazione soggettiva estranea allo spaccio e antecedente al periodo di commissione del reato associativo. Dalla esclusione dell’aggravante in esame consegue anche l’erronea individuazione, quale reato più grave di quello di cui capo 42), e la necessità di rideterminare il trattamento sanzioNOMErio;
2.6.3. violazione di legge (art. 81 cod. pen.) e carenza di motivazione nella individuazione della misura di pena applicata in relazione ai reati unificati in continuazione (per il toNOME di anni 48 e mesi uno, sulla pena base di anni 24 di reclusione per il reato di cui al capo 42), pena poi ricondotta, in applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., a quella di anni trenta di reclusione. La sentenza impugnata ha violato le regole da ultimo ribadite con la sentenza delle Sezioni Unite del 2021 e non ha motivato la misura delle singole pene, operazione necessaria per verificare il rispetto del generale principio di proporzione e del rapporto di proporzione con la pena inflitta ad altri concorrenti nel medesimo reato. Con riguardo a NOME aspetto, per i reati di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, nella forma pluriaggravata, la pena è stata aumentata di mesi nove di reclusione laddove, per il coimputato COGNOME, l’aumento è stato quello di mesi otto, a dispetto del ruolo di fornitore internazionale da questi rivestito e di mesi cinque per i reati diversi;
2.6.4. violazione di legge per la mancata applicazione della continuazione esterna con i fatti di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma del 15 dicembre 2014 (irrevocabile il 10 dicembre 2015 per reati in materia di stupefacenti commessi in Roma tra il 22 e il 2 febbraio 2012), motivo anche questo comune a quello sub 3 del ricorso dell’AVV_NOTAIO che richiama, altresì, la mancata unificazione della condanna con la sentenza del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma del 20 aprile 2010 e con le sentenze del 16 dicembre 2013 e 9 luglio 2014 del Tribunale di Roma. La Corte di merito ha impropriamente valorizzato il dato della distanza temporale tra i fatti, trascurando inequivoci indici (la medesima tipologia dei reati; le circostanze di tempo e di luogo; le modalità della condotta) che denotano come le singole condotte in materia di stupefacenti non siano frutto di determinazioni estemporanee
occasionali ma rientrano in un programma criminoso ben delineato dal costante inserimento con un ruolo riconosciuto di “primo livello”, nella galassia del traffico di sostanze stupefacenti e che, con riferimento ad altre pur risalenti condanne (oggetto delle sentenze del 16 settembre 2008 e 4 luglio 2014) sono state già unificate in sede esecutiva con ordinanza del 20 ottobre 2015, benché relative a fatti commessi tra il febbraio 2005 e il febbraio 2006. La centralità del COGNOME nella commercializzazione sul mercato romano di ogni tipologia di sostanza stupefacente (pag. 16 del ricorso) era affermata fin dalla informativa della DDA di Roma in atti.
2.7. NOME COGNOME denuncia:
2.7.1. abnormità e violazione di legge (in relazione all’art. 34 cod. proc. pen.) delle ordinanze del 13 settembre e 4 ottobre 2023 con le quali la Corte di appello ha disposto la riunione al procedimento a carico di NOME COGNOME e altri, svoltosi con il rito ordinario, della posizione di NOME COGNOME, definita con sentenza emessa in esito a rito abbreviato. La disposta riunione costituisce atto abnorme e determina la indebita conoscenza, da parte del giudice, degli atti acquisiti con il rito ordinario dei quali non può che essere “influenzato”;
2.7.2. violazione di legge (artt. 442, comma 1-bis e 442 cod. proc. pen.) per la indebita unitizzazione a carico del COGNOME degli elementi di prova acquisiti nel rito ordinari: la Corte di merito (a pag. 42), ha espressamente rinviato, analizzando la posizione del COGNOME con riferimento al reato associativo, a quella del COGNOME con valutazioni che si fondano, necessariamente, sulle prove acquisite con il rito ordinario a carico del coimputato non potendosi tenere conto, quanto al COGNOME, delle deposizioni testimoniali, della perizia trascrittiva e degli altri elementi acquisiti in dibattimento in carenza, quanto al COGNOME, di sequestri;
2.7.3. violazione di legge per la inutilizzabilità delle risultanze delle operazioni di intercettazione di cui al RIT 864/2018, per l’incertezza del luogo di svolgimento delle operazioni e degli impianti concretamente utilizzati e assenza dei relativi verbali la cui presenza agli atti non è stata specificamente indicata nella sentenza impugnata sebbene, con i motivi di appello, fosse stato espressamente richiesto di precisarne la collocazione con indicazione del faldone e del relativo collegamento telematico;
2.7.4. violazione di legge (art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.) per il mancato deposito dei supporti magnetici contenenti le intercettazioni. L’eccezione difensiva è stata respinta con argomentazioni apparenti richiamando la circostanza che, nella fase cautelare altro difensore avesse proceduto all’ascolto delle conversazioni attraverso i supporti che, ragionevolmente, non erano presenti agli
atti del fascicolo essendo stati allegati solo al procedimento principale, a carico dei coimputati;
2.7.5. cumulativi vizi della motivazione nella identificazione del ricorrente quale interlocutore di NOME COGNOME nelle conversazioni intercettate. La Corte fa rifermento alle “ammissioni” dell’imputato che, tuttavia, non trovano corrispondenza nel contenuto dell’interrogatorio dell’imputato che ha escluso di avere fatto parte dell’associazione in esame; la sentenza, apoditticamente, richiama le indagini di polizia, senza esplicitarne il contenuto ai fini dell concludente prova di attribuibilità all’imputato;
2.7.6. violazione di legge in relazione agli aumenti di pena per la continuazione tra reati. La sentenza impugnata è, al riguardo, immotivata, e la misura della pena è palesemente sproporzionata rispetto a quella corrispondente applicata ai concorrenti nei medesimi reati e che hanno definito la posizione con il rito abbreviato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 73, comma 6, d.P.R. 309/1990 nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME e, per l’effetto, deve essere ridetermiNOME, come di seguito precisato, il trattamento sanzioNOMErio inflitto ai predetti; va, inoltre, elimiNOME l’aumento pena, a titolo di continuazione tra reati, inflitto a NOME COGNOME, con conseguente rideterminazione della pena.
I ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono, nel resto inammissibili, al pari dei ricorsi proposti da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Le sentenze di merito che, a meno per il trattamento sanzioNOMErio, si muovono lungo un comune percorso ricostruttivo hanno ritenuto accertata la esistenza di una struttura associativa (ascritta, tra gli odierni ricorrenti, a NOME COGNOME e NOME COGNOME), volta alla commissione di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti.
Il solido materiale probatorio è costituito dalle risultanze delle operazioni di intercettazioni ambienNOME eseguite nell’abitazione di NOME COGNOME, meta dell’andirivieni di fornitori e acquirenti di sostanze stupefacenti, nel periodo in cu il COGNOME vi si trovava ristretto agli arresti domiciliari.
La lettura incrociata dei dati desumibili dalle risultanze del servizio di videosorveglianza (che inquadrava i soggetti che si recavano nell’abitazione del COGNOME) e delle conversazioni intercettate – neppure, per così, dire criptiche anche
se riferibili a sostanze stupefacenti indicate con l’uso di termini convenzionali- ha consentito di ritenere accertate sia le operazioni di rifornimento del COGNOME, a tali condotte si riferiscono, principalmente, i rapporti intrattenuti dal COGNOME co NOME COGNOME e NOME COGNOME, le cessioni a favore di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, cessioni per lo più avvenute attraverso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed altri partecipi dei quali COGNOME si serviva per le consegne e il prelievo della droga dai luoghi di occultamento.
Le indagini erano proseguite con estensione degli stessi mezzi investigativi alle persone in contatto con il COGNOME e, anche attraverso servizi di osservazione e monitoraggio, si era, in più occasioni, pervenuti all’arresto e sequestro di carichi di droga nell’arco temporale di circa sei mesi.
NOME COGNOME è stato univocamente individuato come la persona al centro di un sistema di rapporti allestiti con fornitori, in grado di rifornirlo di ing quantitativi di droga – fra questi NOME COGNOME – e con decine di acquirenti, grossisti e rivenditori delle sostanze acquistate e smerciate sul mercato di Roma. Il reato associativo è contestato come commesso tra il mese di gennaio 2018 fino ad agosto 2019.
Risulta che mentre il presente procedimento veniva trattato in appello sono divenute irrevocabili le condanne che avevano riguardato, da un lato NOME COGNOME, uno dei fornitori della droga; NOME COGNOME e NOME COGNOME, sorella e moglie del COGNOME; NOME COGNOME, NOME COGNOME nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME, tutti collegati al COGNOME per le attività di acquisto e smerc della droga: proprio da NOME COGNOME erano partite le intercettazioni che avevano disvelato la presenza, sulla scena del traffico dello stesso COGNOME e quale promotore e capo del sodalizio di NOME COGNOME, nel frattempo deceduto.
La Corte di appello (cfr. pag. 32) ha individuato i reati fine in materia di stupefacenti che avevano avuto ad oggetto consistenti partite di droga, cocaina, ma anche hashish: fra questi l’episodio in contestazione al capo 4-bis, avente ad oggetto la cessione di 12 panetti di cocaina, da un chilogrammo ciascuno; l’acquisto (capi 8, 19, 20, 21 26, 40) da NOME COGNOME di 7,10, 8, 7,5 chilogrammi di cocaina; l’acquisto (capi 17, 18,28,44,45,46) dal COGNOME di 5, 9, 5,16,5, e 4 chilogrammi di cocaina; l’acquisto di due partite di 20 e 12 chilogrammi dai NOME COGNOME (capi 42 e 43), tanto a tacere dall’acquisto di una partita di circa 3.000 chilogrammi di hashish, operazione nella quale è coinvolto NOME COGNOME, ascritta al capo 47, oggetto di trattative intercettate per oltre tre mes droga sequestrata il 23 maggio 2018.
I motivi di ricorso in punto di responsabilità proposti dai singoli ricorrent non solo sono manifestamente infondati ma, per la maggior parte dei casi, sono,
altresì, generici, per aspecificità: un vizio dell’atto impugNOMErio che si concretizza nella mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento del ricorso.
Val bene rilevare che la sentenza impugnata si sottrae ai rilievi di carenza o illogicità della motivazione, pure denunciati dai ricorrenti.
Con riferimento alla posizione di ciascun appellante, dopo avere passato in rassegna le fonti di prova, mutuate dalla più ampia motivazione della sentenza di primo grado che riporta anche il contenuto delle conversazioni intercettate e alla quale, comunque, ha fatto rinvio, la sentenza impugnata ha specificamente esamiNOME le censure difensive e, sulla base di argomentazioni logiche non tacciabili di contraddittorietà, ha spiegato le ragioni ritenute fondanti del giudizi di colpevolezza con riguardo alle specifiche condotte di acquisto addebitate agli imputati ovvero ingerenza nel rifornimento e successiva cessione, come per COGNOME.
Un’operazione ricostruttiva fondata, in buona parte, sulle risultanze delle operazioni di intercettazioni telefoniche che, come noto, non possono essere oggetto di scrutinio in questa sede ove i ricorrenti, impropriamente, lamentano il vizio di violazione di legge, in relazione all’art. 192 cod. proc. pen., poiché, i materia di intercettazioni, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME e altri, Rv. 268389), anche quando si sia in presenza di linguaggio criptico (Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, COGNOME, Rv. 258164) e anche, in caso di reato concernente sostanze stupefacenti, nell’ipotesi di mancato sequestro di tali sostanze (Sez. 6, n. 27434 del 14/02/2017, COGNOME, Rv. 270299), nel caso in cui i ricorrenti denunciano, a confutazione del giudizio di responsabilità, che si è in presenza di “droga parlata”.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, inoltre, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali” (ex plurimis, Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. Beyazaku, 203272).
Si tratta di un principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207945), essendo preclusa, al giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, COGNOME, Rv. 234109).
E evidente dalla prospettazione fin qui compiuta che esula dai poteri di questa Corte procedere alla rilettura del contenuto del compendio intercettativo, riconducibile alla viva voce del COGNOME e dei suoi interlocutori, in occasione delle operazioni di acquisto, ricezione e vendita dello stupefacente, conversazioni di contenuto tutt’altro che oscuro o criptico e che, da qui la aspecificità dei motivi, come di seguito precisato, i ricorrenti ricostruiscono esaminando solo una parte del compendio intercettativo, omettendo, invece, proprio i passaggi che, con riguardo ai singoli capi di imputazione, denotano la responsabilità di ciascuno dei ricorrenti: la concatenazione delle conversazioni consente, poi, di ritenere accertata la “serietà” del traffico gestito dal COGNOME che si riforniva di quantitat davvero notevoli di stupefacenti, tanto da doversi rivolgere, in contemporanea, a più fornitori.
Per evitare inutili duplicazioni della motivazione è, in questa sede, utile altresì, richiamare le coordinate che sovrintendono alla valutazione del giudice di legittimità sul punto del trattamento punitivo, che costituisce oggetto di censura in più ricorsi.
Va ricordato, infatti, che la determinazione della pena, in applicazione dei criteri di cui all’art. 132 e 133 cod. pen. così di applicazione delle circostanze attenuanti generiche e bilanciamento fra opposte circostanze, implica una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito.
E’, dunque, pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.: ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione
non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142).
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato, come si è anticipato, limitatamente alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 73, comma 6, d.P.R. 309/1990 che va eliminata.
I restanti motivi di ricorso sono manifestamente infondati e riproduttivi di censure che la Corte di merito ha esamiNOME e disatteso facendo corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità in relazione alle questioni in diritto
NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato ascrittogli al capo 10, per avere ricevuto dal COGNOME circa tre chilogrammi di cocaina (convenzionalmente nominata audi e hublot).
Nella sentenza impugnata (pag. 24), si evidenzia a suo carico il contenuto della conversazione intercettata il 28 febbraio 2018 quando il ricorrente discuteva con NOME COGNOME lamentando la cattiva qualità della droga che aveva ricevuto e per la quale riceveva, a propria volta, le lamentele degli acquirenti facendo presente al COGNOME che gliela avrebbe restituito e che, per quella in parte utilizzata, gli avrebbe versato il corrispettivo (circa ventimila euro).
5.1. Il ricorrente ha posto, con il primo motivo di ricorso, la questione della utilizzabilità delle risultanze delle operazioni di intercettazione ambienNOME che, secondo la ricostruzione contenuta nelle sentenze di merito, si erano svolte nell’abitazione di INDIRIZZO, int. 2 nella disponibilità del COGNOME, luo in cui questi incontrava i sodali e che si erano svolte attraverso la captazione svolta attraverso due microspie collocate in due ambienti dell’abitazione del COGNOME.
Il ricorrente sostiene che il decreto del Pubblico Ministero che aveva disposto le operazioni di intercettazione era nullo perché non indicava le specifiche modalità esecutive che si erano svolte attraverso la collocazione di due microspie, installate sui due telefoni dell’abitazione e in assenza della indicazione degli ambienti (le stanze) dell’immobile in cui le microspie avrebbero dovuto essere collocate.
L’eccezione difensiva è manifestamente infondata.
A tal riguardo, infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che in tema di intercettazioni ambientali, la indicazione specifica delle modalità esecutive delle captazioni, concernendo un aspetto meramente tecnico, può essere autonomamente disposta dal pubblico ministero, non occorrendo un apposito provvedimento da parte del giudice per le indagini preliminari (cfr. Sez. 6, n. 45486 del 08/03/2018, Romeo, Rv. 274934).
Premesso che il decreto del giudice indicava genericamente, ma espressamente, l’abitazione del COGNOME come luogo delle operazioni di
intercettazione ambienNOME, senza prevederne la limitazione ad ambienti specifici della stessa, non era necessario che il decreto di esecuzione emesso dal Pubblico Ministero indicasse le specifiche modalità tecniche delle operazioni che sono state attuate ed eseguite utilizzando due apparecchi captatori installati sui telefoni dell’abitazione.
5.2. Il secondo motivo di ricorso è, come si è anticipato nella parte generale, aspecifico e svolto in fatto.
Il ricorrente sostiene che la droga oggetto della conversazione non era cocaina ma hashish, assunto che trova fondamento nell’affermazione del COGNOME secondo la quale i termini (audi e hublot) venivano, indifferentemente utilizzati per entrambe le tipologie di sostanze.
I rilievi difensivi, tuttavia, non si confrontano con le ulteriori argomentazioni della sentenza impugnata là dove si è precisato che il giorno seguente alla conversazione intercettata veniva sequestrata al correo del COGNOME, NOME COGNOME, cocaina con il marchio hublot e che il riferimento alla somma che NOME COGNOME avrebbe dovuto corrispondere per quella utilizzata – ventimila euro – non trovava corrispondenza con un omologo quantitativo di hashish.
L’apprezzamento dei giudici del merito, che hanno valorizzato la contiguità temporale tra i due fatti, a comprova del fatto che, in quel momento, venisse commercializzata dal COGNOME cocaina con il marchio hublot, non presta il fianco al rilievo di manifesta illogicità dell’affermazione che la consegna di droga al COGNOME aveva avuto ad oggetto proprio cocaina.
5.3. Il motivo di ricorso del COGNOME sulla sussistenza delle condizioni di contestazione della recidiva infraquinquennale e del correlativo aumento di pena è aspecifico e manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha richiamato una pluralità di condanne intervenute a carico del COGNOME nell’ultimo quinquennio, e, in particolare una condanna per armi del 2013, e ha valorizzato come sintomatica di pericolosità sociale, la pluralità delle condanne oltre che le concrete modalità del fatto ascritto al COGNOME, in relazione al quantitativo di droga oggetto di acquisto e successivo smercio.
Il ricorso, da qui la aspecificità, concentra l’attenzione sulla condanna per un fatto del 2011 ma non si confronta con le ulteriori argomentazioni, tutt’altro che irrilevanti ai fini delle condizioni in presenza delle quali può essere contestata l’aggravante della recidiva infraquinquennale, poiché dal certificato penale dell’imputato risulta che entro i cinque precedenti (alla data del 15 febbraio 2014) dal fatto contestato (la conversazione intercettata è del 28 febbraio 2018 e fa
riferimento alla restituzione della droga già ricevuta e, in parte smerciata) era divenuta irrevocabile la sentenza a pena patteggiata per reato in materia di armi.
5.4.Non sussiste, invece, a tenore delle modalità dei fatti, l’aggravante di cui all’art. 73 comma 6, d.P.R. 309/1990 ravvisabile quando la pluralità dei soggetti – tre o più- sia riferibile a una delle condotte previste per l’integrazione del reat (offerta, eventuale intermediazione, acquisto, detenzione o altre), non essendo sufficiente l’indistinta attribuzione della pluralità delle condotte ai concorrenti, prescindere dallo specifico ruolo di ciascuno di essi (Sez. 1, n. 37686 del 17/06/2022, COGNOME, Rv. 283511).
L’operazione descritta dall’imputato – l’acquisto dal COGNOME al quale avrebbe dovuto restituire parte della merce – non è idonea ad integrare l’aggravante contestata.
La rideterminazione della pena può essere compiuta direttamente dal Collegio, ai sensi dell’art. 619, lett. 1, cod. proc. pen., eliminando l’aumento della pena di mesi quattro di reclusione ed euro tremila di multa inflitta a titolo di aumento per detta aggravante.
Resta, pertanto, ferma la pena inflitta al COGNOME in anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 32.000,00 di multa (pena base, anni sei di reclusione ed euro 27.000,00 di multa con l’aumento di mesi otto di reclusione ed euro 5000,00 di multa per la recidiva).
6.11 ricorso di NOME COGNOME è fondato limitatamente all’aumento di pena per la continuazione fra reati, così precisato nella sentenza di primo grado, ma inammissibile nel resto.
6.1. Anche il ricorrente propone motivi di ricorso aspecifici che non si confrontano con il compendio probatorio che la Corte di merito (cfr. pag. 18 della sentenza impugnata) ha illustrato a suo carico evidenziando gli elementi che ne comprovavano la fattiva ingerenza nelle operazioni di acquisto e vendita di un importante quantitativo di hashish (tremila chilogrammi), condotta che gli è contestata al capo 47.
Vero, dunque che nel corso delle conversazioni intercettate il 19 maggio 2018 (intercorse tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, tra COGNOME e NOME COGNOME, tra COGNOME e NOME COGNOME in cui si parla del prezzo della droga e COGNOME fa chiaramente riferimento al numero delle persone che concorrono all’operazione per giustificare il mancato sconto sul prezzo di vendita) l’imputato non è presente, circostanza che potrebbe accreditarne la tesi difensiva che egli non fosse interessato alle operazioni gestite dal COGNOME trovandosi solo a casa di questi in occasioni in cui si parlava di droga.
Tuttavia, lo stesso 19 maggio 2018, immediatamente dopo le descritte conversazioni, NOME COGNOME giungeva a casa del COGNOME in compagnia di NOME COGNOME, che lamentava la scarsa collaborazione ricevuta dal COGNOME nelle operazioni di scarico della merce e nei giorni immediatamente seguenti (il 20 e 22 maggio 2018) venivano intercettate ulteriori conversazioni nel corso delle quali l’imputato interloquiva con COGNOME sulle strategie di vendita, suggerendo di consegnarla non a tutti, ma solo agli “amici più stretti” ed esprimendo anche dubbi sulla perdita del guadagno “se qualcosa va storto”, tanto che alla fine, fu deciso di consegnarla solo a chi potesse pagarla immediatamente. In NOME contesto proprio il COGNOME contabilizzava alcune consegne (100 a coso, 60 NOME…io qua forse faccio 52).
La droga residua veniva sequestrata nel corso di un’operazione di Polizia del 23 maggi0 2018, risultando pari al quantitativo di 2645 chilogrammi.
6.2. Premesso che dalla ricostruzione della sentenza di primo grado (pag. 81) risulta che la droga veniva sequestrata mentre fervevano le condizioni per rifornire i vari acquirenti – si veda quanto innanzi si dirà a proposito della consegna a favore del COGNOME -, ritiene il Collegio che deve essere escluso l’aumento praticato a titolo di continuazione fra reati, ai sensi dell’art. 81 cod. pen., in misura di pari a mes quattro di reclusione ed euro cinquemila di multa.
La giurisprudenza di legittimità afferma che in materia di reati concernenti sostanze stupefacenti, le diverse condotte previste dall’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, perdono la loro individualità, con conseguente esclusione del concorso formale per effetto dell’assorbimento, se costituiscono manifestazione di disposizione della medesima sostanza e risultano poste in essere contestualmente o, comunque, senza apprezzabile soluzione di continuità, in funzione della realizzazione di un unico fine (Sez. 3, n. 23759 del 10/02/2023, EI Kaddack, Rv. 284666).
L’applicazione al caso concreto di NOME regola di giudizio, in presenza di operazioni concretizzatesi nel ricevimento della merce il 19 maggio e nelle successive operazioni di smercio fino al 23 maggio, rende evidente che si è in presenza di un unico quantitativo di droga e di singole operazioni di cessione che riguardano, per un’unitaria finalità di lucro, il medesimo stupefacente oggetto delle operazioni di acquisto e cessione, concentrate, fino all’intervenuto sequestro, in pochissimi giorni.
6.3. E’ manifestamente infondato, invece, il motivo di ricorso che denuncia violazione del divieto di reformatio in pejus.
In primo grado la pena base di anni quattro e mesi sei di reclusione ed euro 30.000,00 di multa, era stata aumentata della “metà” (confronta sul punto pag. 47 della sentenza) per l’applicazione dell’aggravante dell’ingente quantità e, applicato il criterio moderatore di cui all’art. 63, comma 4, cod. pen., di un anno di reclusione ed euro ventimila di multa pervenendo, poi, alla pena inflitta di anni otto di reclusione ed euro 80.000.00 di multa, per effetto dell’aumento a titolo di continuazione.
E’, dunque, erroneo il passaggio di calcolo intermedio (indicato in anni sei e mesi tre di reclusione), mentre la Corte di appello, determinata la pena base in anni quattro di reclusione ed euro 20.000,00 di multa, ha applicato l’aumento di pena per l’aggravante dell’ingente quantità in anni due ed diecimila di multa (corrispondente alla metà) e di mesi due di reclusione ed euro 5.000 di multa per l’ulteriore aggravante (del numero delle persone) e della recidiva.
Il contrasto allegato dalla difesa (tra l’indicazione dell’aumento della metà) e il calcolo effettivamente operato, appare conseguente ad un mero errore di calcolo matematico e non incorre nell’applicazione di un erroneo criterio giuridico poiché la misura enunciato (la metà) corrisponde proprio al minimo dell’aumento di pena per effetto dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. 309/1990.
7.La sentenza impugnata, con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, deve essere annullata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 73, comma 6 d.P.R. 309/1990 con la determinazione della pena, come di seguito precisato.
Il ricorso è, nel resto, inammissibile.
Anche il ricorrente, al confronto della motivazione sviluppata nella sentenza impugnata (cfr. pag. 11) propone una rilettura parziale delle evidenze di prova a suo carico per sostenere che il contenuto delle conversazioni intercettate non raggiunge la soglia del tentativo punibile o che, al più, la condotta si è concretata in un mero tentativo.
Le conversazioni intercettate nel corso degli incontri dell’imputato con NOME COGNOME – il 21 e 22 maggio 2018 – danno conto, invece, di un vero e proprio accordo intervenuto tra i due per la consegna di trenta chilogrammi di hashish (si tratta della droga di cui certamente NOME COGNOME aveva la disponibilità come risultante dalle complesse operazioni di ricezione della droga, occultamento e cessione ascritte al COGNOME al capo 47 e illustrate al punto che precede trattando la posizione del COGNOME).
La conversazione del 22 maggio 2018 denota che certamente l’accordo con NOME COGNOME si era perfezioNOME tanto che NOME aveva dato disposizioni a NOME COGNOME per prelevare 30 chilogrammi da consegnare a “NOME“: la consegna,
tuttavia, non poteva avere luogo perché nel frattempo – la mattina del 23 maggio 2018 – la droga era stata sequestrata.
La sentenza impugnata, nel ritenere perfezionata la condotta di acquisto ascritta al COGNOME al capo 47, ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui la fattispecie di acquisto di sostanza stupefacente si consuma allorquando sia stato raggiunto, tra l’acquirente e il venditore, l’accordo sulla quantità, sulla qualità e sul prezzo della sostanza, senza che sia richiesta l’effettiva “traditio” della stessa, sussistendo la quale si configurerebbe nei confronti dell’acquirente anche la condotta di detenzione (cfr. Sez. 4, n. 6781 del 23/01/2014, Bekshyu, Rv. 259284).
7.2. Il descritto dato quantitativo di sostanza acquistata rende inapplicabile, come correttamente ritenuto dalla Corte di appello, la fattispecie attenuata di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. 309 cit. poiché denota che il ricorrente non è un piccolo spacciatore ma un soggetto che acquista rilevanti quantitativi ai fini del successivo smercio, qualità che rifluisce anche sul negativo giudizio sulla personalità ritenuto ostativo all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata). E’, pertanto, assorbito il motivo di ricorso sul giudizio di bilanciamento.
7.3. Non sussiste, invece, a tenore della descritta modalità dei fatti, l’aggravante di cui all’art. 73 comma 6, d.P.R. 309/1990 configurabile quando la pluralità dei soggetti – tre o più- sia riferibile a una delle condotte previste p l’integrazione del reato (offerta, eventuale intermediazione, acquisto, detenzione o altre), non essendo sufficiente l’indistinta attribuzione della pluralità dell condotte ai concorrenti, a prescindere dallo specifico ruolo di ciascuno di essi (Sez. 1, n. 37686 del 17/06/2022, COGNOME, Rv. 283511). L’operazione desumibile dalle conversazioni intercettate dalle quali si evince esclusivamente l’accordo tra l’imputato e COGNOME NOME, non è idonea a configurare l’aggravante contestata non essendo state raggiunte, per le modalità di sviluppo dei fatti, le concrete modalità di consegna che avrebbero fatto registrare l’intervento del COGNOME e quello della persona alla quale, essendo il COGNOME impedito, la droga avrebbe dovuto essere contestata.
La rideterminazione della pena può essere compiuta direttamente dal Collegio ai sensi dell’art. 619, lett. I, cod. proc. pen. eliminando l’aumento della pena di mesi tre di reclusione ed euro 3.000,00 di multa inflitta a titolo di aumento per l’aggravante di cui all’art. 73, comma 6, d.P.R. cit.
Resta ferma, pertanto, la pena inflitta al COGNOME determinata in quella di anni tre e mesi tre di reclusione ed euro 12.000,00 di multa.
8.11 ricorso di NOME COGNOME è inammissibile perché generico e riproduttivo di censure che la Corte territoriale ha compiutamente esamiNOME confermando la individuazione del ricorrente come la persona che il 31 marzo 2018, alle ore 16:00 aveva ricevuto da NOME COGNOME una partita di un chilogrammo di cocaina, reato ascritto al capo 19.
La Corte di appello (pag. 20 della sentenza impugnata) ha descritto le operazioni di consegna di un chilogrammo di cocaina che, su incarico del COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano messo a bordo di un’auto ferma sotto casa del COGNOME e risultata intestata proprio al ricorrente. La consegna era stata ripresa dal sistema di videosorveglianza e, analizzando i frame del sistema, sia gli inquirenti, in fase di indagine, che il Tribunale avevano individuato l’imputato come la persona che, in occasione della consegna, si trovava a bordo dell’auto.
Il Tribunale aveva, inoltre, esamiNOME le allegazioni difensive, e la Corte di merito si è allineata a NOME ricostruzione, escludendo che la prova d’alibi offerta dall’imputato fosse idonea a scagionarlo.
L’imputato, infatti, aveva sostenuto che il giorno in questione si trovava presso l’Ospedale di S. Spirito in Sassia dal quale, anche per le condizioni fisiche successive all’intervento subito, non avrebbe potuto allontanarsi recandosi sotto casa del COGNOME con il quale non erano mai stati registrati contatti telefonici.
La sentenza impugnata, con argomentazioni tutt’altro che illogiche, ha escluso che l’imputato versasse in condizioni di salute tali da rendere impossibile l’uscita dall’ospedale, distante poco più di dieci chilometri dalla casa del COGNOME, e la sua presenza a bordo dell’autovettura.
La Corte di appello ha rilevato, infatti, che a marzo 2018 l’imputato era stato sottoposto ad una mera operazione di “laparocele” creatasi su una pregressa ferita chirurgica e che il 30 marzo 2018 era stato ricoverato solo per la rimozione del redon, cioè del drenaggio; che per il 31 marzo erano state previste anche le dimissioni del COGNOME, poi rinviate al giorno successivo, ed ha evidenziato che il giorno 31 marzo l’imputato era risultato assente alla somministrazione della terapia, prevista alle ore 16:00 eseguita solo alle successive ore 18.00.
Ritiene il Collegio che le argomentazioni della Corte di appello siano ineccepibili perché fondate su evidenze fattuali univoche e concludenti, senza incorrere in evidenti cadute logiche: la presenza dell’auto dell’imputato sotto l’abitazione del COGNOME; la individuazione del COGNOME come la persona che si trovava a bordo dell’autovettura; la sua concomitante assenza dall’ospedale (alle ore 16:00 quando avrebbe dovuto essergli somministrata la terapia); la tipologia di intervento effettivamente subito in occasione del ricovero del 30 marzo 2018
sono state logicamente e valutate per escludere che l’imputato si trovasse presso l’ospedale ove era ricoverato, piuttosto che sotto l’abitazione del COGNOME.
8.2. La solida struttura argomentativa della sentenza impugnata rende incensurabile la decisione del giudice di appello di non procedere alla rinnovazione dell’istruttoria, con l’ascolto dei due medici che avevano avuto in cura l’imputato: il secondo motivo di ricorso è pertanto manifestamente infondato.
Il ricorso di NOME COGNOME è proposto per motivi generici anche in tal caso per aspecificità.
L’imputato è stato riconosciuto responsabile del reato ascrittogli al capo 4-bis perché risultava acquirente, insieme a NOME COGNOME che fungeva da intermediario, di una partita di un chilogrammo di cocaina che aveva ricevuto da NOME COGNOME, incaricato della consegna.
Il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata (cfr. pag. 15) e propone una rilettura delle evidenze di prova suo carico davvero parziale.
Il ricorso dell’imputato si sofferma, infatti, sugli antefatti della consegna della cocaina analizzando il contenuto dei messaggi telefonici intercorsi con NOME COGNOME e contesta la ricostruzione dell’operazione di consegna della droga, che sarebbe avvenuta attraverso la consegna da parte di NOME COGNOME la cui auto, al pari dell’autovettura Fiat 500 in uso all’COGNOME, era stata notata dai verbalizzanti sul luogo convenuto per l’appuntamento. E’ certo, infatti, che la Polizia, nel concomitante servizio di osservazione, non aveva registrato alcun contatto dell’imputato con lo COGNOME.
Il ricorso, tuttavia, omette il confronto con un ulteriore elemento di prova che, senza cadute logiche, la Corte di appello ha valorizzato come univocamente riconducibile all’effettività della consegna di droga poiché, dalle immediate successive conversazioni intercorse tra l’imputato e NOME COGNOME, era risultato che COGNOME aveva immediatamente restituito la droga ricevuta, perché di non buona qualità.
La Corte di appello, da un lato, ha evidenziato la serietà dell’impegno del COGNOME nel procurarsi la droga (due chili di cocaina), attestata dal contenuto delle conversazioni con le quali COGNOME si era procurato la merce da NOME COGNOME (che, infatti, aveva impartito ai suoi uomini direttive per il prelievo e consegna della corrispondente quantità a NOME COGNOME); dall’altro, ha sottolineato la reiterazione dei contatti, personali e telefonici, di NOME COGNOME con il ricorrente che, il giorno 27 febbraio aveva effettivamente rinviato al giorno seguente un
incontro con il fornitore incaricato della consegna ( NOME COGNOME) ma che effettivamente il giorno 28 febbraio era stato al centro di una pluralità di contatti telefonici con il COGNOME per stabilire ora e modalità dell’incontro e, infine, a stre giro, per convenire la restituzione della merce, risultata di qualità non soddisfacente.
10. Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
Il motivo di ricorso con il quale il difensore contesta la sussistenza e configurabilità del reato associativo è generico e meramente assertivo della denuncia del vizio di violazione di legge e vizio di motivazione.
La sentenza impugnata, a pag. 31, ha sinteticamente ricostruito gli elementi che denotano la sussistenza del reato di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 evidenziando gli elementi di fatto desumibili dalle conversazioni intercettate e dal numero e qualità dei reati fine ascritti al COGNOME che sono idonei ad integrare la prova della esistenza dell’associazione e del consapevole apporto e della qualificata partecipazioni del COGNOME al sodalizio criminoso.
Come noto ai fini della ai fini della configurabilità di un’associazione finalizzata al narcotraffico, è necessario: a) che almeno tre persone siano tra loro vincolate da un patto associativo (sorto anche in modo informale e non contestuale) avente ad oggetto un programma criminoso nel settore degli stupefacenti, da realizzare attraverso il coordinamento degli apporti personali; b) che il sodalizio abbia a disposizione, con sufficiente stabilità, risorse umane e materiali adeguate per una credibile attuazione del programma associativo; c) che ciascun associato, a conoscenza quantomeno dei tratti essenziali del sodalizio, si metta stabilmente a disposizione di quest’ultimo (Sez. 6, Sentenza n. 7387 del 03/12/2013, dep. 2014, Pompei, Rv. 258796).
E’ accertato per un periodo sufficientemente protratto nel tempo – le intercettazioni si sono protratte per oltre sei mesi- che NOME COGNOME, trovandosi agli arresti domiciliari e, quindi, impossibilitato a muoversi di persona, fosse costretto a gestire le attività di narcotraffico attraverso numerose persone – sono stati coinvolti e già condannati con il rito abbreviato anche la sorella, la moglie e il padre dell’imputato, condannati nel procedimento con rito abbreviato – e fosse in grado di movimentare quantitativi notevoli di droga pur potendo avvalersi di mezzi limitati (per lo più i contatti telefonici) con i fornitori, NOME COGNOME NOME COGNOME, nonchè di una consolidata rete di supporto costituita da corrieri e depositari della droga, tra questi il più volte nomiNOME NOME COGNOME e da uno stuolo di acquirenti, vale ricordare, tra gli altri, NOME COGNOME e NOME COGNOME innanzi nominati, che non erano pusher al minuto ma acquirenti di grossi
quantitativi che distribuivano sulle reti operanti sul territorio, avvalendos dell’aiuto di NOME COGNOME per la bonifica di abitazioni e cellulari.
Nei casi che sono stati esaminati risulta che tutti gli acquirenti, odierni ricorrenti, si sono rivolti al COGNOME non per l’acquisto di pochi grammi ma per chili (o, perlomeno) un chilo di droga, tipo cocaina, anche se, non sempre di buona qualità.
In relazione al reato di cui al capo 47, l’imputato e la sua catena di fornitura si era procurato 3.000 chilogrammi di hashish potendo contare su un sistema per l’occultamento della droga e il suo smercio “oculato”, anche questo ceduto a chili.
Il sodalizio, nonostante gli arresti e i sequestri, era stato in grado di continuare ad operare segno, questo della stabilità e solidità della rete di fornitura e smercio e dei canali di smercio.
NOME COGNOME costituiva, per come argomentato nella sentenza impugnata, il centro della collaudata organizzazione e gestiva personalmente i rapporti con fornitori e acquirenti incaricando i sodali delle consegne.
10.1. Il motivo di ricorso con il quale è eccepita la sussistenza dell’aggravante armata è manifestamente infondato.
L’aggravante in esame non richiede che la disponibilità di armi sia correlata agli scopi perseguiti dall’associazione criminosa, purché si tratti di armi che non siano di uso personale esclusivo dei partecipi che le detengono (Sez. 6, n. 15528 del 12/01/2021, Borraccino, Rv. 281212) e, con riferimento ai criteri di imputazione soggettiva, può essere attribuita al singolo partecipante solo se sussiste un coefficiente di colpevolezza in relazione a NOME aspetto, consistente quantomeno nella prevedibilità concreta della disponibilità delle armi da parte dell’associazione.
Non è risolutiva, per escludere l’aggravante in esame, la circostanza, dedotta dalla difesa, che l’imputato sia stato assolto da uno specifico reato in materia di armi (capo 51), né che non fossero imputabili al gruppo le armi trovate nei locali di pertinenza del COGNOME e COGNOME, fornitori di droga dell’imputato e che per questo rispondono del reato associativo, nel corso del servizio del 25 giugno 2019.
Ma è rilevante a suo carico, per comprovarne la consapevolezza della disponibilità di armi da parte dei componenti dell’associazione, la circostanza che in relazione all’episodio del pestaggio del NOME, per esigere il pagamento di quanto dovuto a saldo del debito di droga, in NOME occasione (il 6 aprile 2018) NOME COGNOME, incaricato del pestaggio, riferiva al COGNOME che si sarebbe portato pure il ferro.
10.2. Non appare censurabile la motivazione con la quale la Corte di appello ha denegato l’applicazione della cd. continuazione esterna che, in relazione al reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990, oggetto dell’odierna contestazione, e dei numerosi reati in materia di detenzione e cessione di sostanze stupefacenti, oggetto delle precedenti condanne, non può risolversi nel meccanicistico rilievo che i reati già giudicati con la sentenza della Corte di appello di Roma del 15 dicembre 2014 (irrevocabile il 10 dicembre 2015 per reati in materia di stupefacenti commessi in Roma tra il 22 e il 2 febbraio 2012); con la sentenza del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma del 20 aprile 2010 e con le sentenze del 16 dicembre 2013 e 9 luglio 2014 del Tribunale di Roma, rientravano, per loro natura, tra quelli in materia di stupefacenti, secondo la tesi sostenuta nel ricorso.
Il problema della configurabilità della continuazione tra il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 309/1990 e i reati in materia di stupefacenti – che di solito s connotano quali reati-fine dell’associazione – non va impostato in termini di compatibilità strutturale, in quanto nulla si oppone a che, sin dall’inizio, nel programma criminoso dell’associazione, si concepiscano uno o più individuati nelle loro linee essenziali, di guisa che tra questi reati e quello associativo si possa ravvisare una identità di disegno criminoso, ma in termini di una questione di fatto la cui soluzione è rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito.
La Corte di appello, facendo corretta applicazione di tali coordinate, ha esamiNOME in concreto il complesso percorso criminale dell’imputato ed ha escluso, con argomentazioni che non sono censurabili di illogicità, men che mai manifesta, che l’imputato potesse avere programmato, già al momento delle più risalenti condanne, la creazione della struttura associativa oggetto della contestazione di cui al capo 4, un gruppo la cui esistenza è comprovata, attraverso le operazioni di intercettazione, in un periodo ben determiNOME dal punto di vista temporale e con la partecipazione di persone di cui nulla è dato sapere in merito a fatti che, in passato, avevano avuto come protagonista il COGNOME.
I reati in materia di stupefacenti, per i quali sono intervenute in passato condanne irrevocabili a carico del COGNOME, non denotano che questi avesse programmato, fin dagli anni risalenti, la costituzione di un vero gruppo organizzato trattandosi di fatti legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali potendo, anzi, ritenersi che la costituzione dell’associazione costituisca una significativa evoluzione del percorso criminale dell’imputato.
10.3. E’ manifestamente infondato il motivo di ricorso che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’entità della pena applicata all’imputato.
Il motivo di ricorso si correla anche alla censura con la quale la difesa ha contestato la sussistenza dell’aggravante armata e la individuazione, quale reato più grave, del reato ascritto al COGNOME al capo 42).
Va premesso che la Corte di appello, ha individuato il reato più grave in quello di cui al capo 42 (si tratta dell’acquisto di una partita di circa settanta chilogrammi di cocaina dal RAGIONE_SOCIALE, in data antecedente e prossima al 2 marzo 2018).
Individuata la pena base in quella di anni 24 di reclusione la Corte di appello ha applicato, a titolo di continuazione, l’aumento della pena di anni 48 e mesi uno di reclusione, pena finale ricondotta, in applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen., a quella di anni trenta di reclusione.
A tal riguardo la difesa denuncia, altresì, violazione di legge e vizio di motivazione nella individuazione della misura di pena applicata in relazione ai reati unificati in continuazione poiché la Corte ha omesso di indicare e motivare le singole pene, indicazione necessaria per verificare il rispetto del generale principio di proporzione e il rapporto di proporzione con la pena inflitta ad altri concorrenti nel medesimo reato. In relazione ai reati di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, contestati nella forma pluriaggravata, la difesa censura che la pena è stata aumentata di mesi nove di reclusione laddove, per il coimputato COGNOME, l’aumento è stato quello di mesi otto, a dispetto del ruolo di fornitore internazionale da questi rivestito e di mesi cinque per i reati diversi.
Il denunciato vizio di violazione di legge nella individuazione del reato più grave non sussiste.
Va precisato che i reati ascritti al COGNOME sono oggetto di un trattamento punitivo davvero grave: il reato associativo di cui all’art. 74, comma 4, d.P.R. 309/1990 per l’imputato che, come il COGNOME ha un ruolo direttivo, non può essere inferiore ad anni ventiquattro (pena che, come noto, coincide anche con il massimo della pena della reclusione irrogabile quando non sia indicato il massimo editNOME). Il reato di cui all’art. 73, comma 1, cod. pen. è punito con la pena da sette a venti anni di reclusione, pena che, per l’aggravante dell’ingente quantità, prevede l’aumento dalla metà a due terzi.
In presenza di tali ampi criteri edittali il potere discrezionale del giudice nell’individuare il fatto più grave, è in buona sostanza svincolato da criteri predeterminati potendo valorizzare sia elementi in fatto ritenuti sintomatici di maggiore gravità che aspetti soggettivi.
L’unico limite del potere discrezionale del giudice, nel caso puntualmente rispettato, e suscettibile di integrare il vizio di violazione di legge, è rappresentato in caso di reato continuato, dal limite minimo della pena fra i reati unificati i continuazione e NOME limite (che rinvia alla pena prevista per il reato associativo di cui all’art. 74, comma 4, prima parte d.P.R. 309/1990), è stato pienamente
rispettato. Univoca sul punto la giurisprudenza secondo cui in tema di concorso di reati puniti con sanzioni omogenee sia nel genere che nella specie per i quali sia riconosciuto il vincolo della continuazione, l’individuazione del concreto trattamento sanzioNOMErio per il reato ritenuto dal giudice più grave non può comportare l’irrogazione di una pena inferiore nel minimo a quella prevista per uno dei reati satellite. (Sez. U, Sentenza n. 25939 del 28/02/2013, Ciabotti, Rv. 255348).
10.4. Nel ricorso è stata richiamata la più recente sentenza delle sezioni Unite di questa Corte in materia di reato continuato con la quale si è ribadito che il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, Pizzone, Rv. 282269).
La Corte ha precisato che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e deve essere NOME da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene.
Il trattamento punitivo inflitto al COGNOME corrisponde a tali regole potendo ritenersi rispettati non solo i criteri legali di cui all’art. 81 cod. pen., ma anc quelli di proporzionalità delle pene inflitte che sono calibrati sull’illecito e contributo specifico dell’imputato al reato per il quale si procede.
A fronte del coinvolgimento dell’imputato in attività che lo vedevano impegNOME in operazioni di acquisto di ingenti quantitativi – mai al di sotto del chilogrammo-, di stupefacenti quali la cocaina – di cui è noto il florido mercato di spaccio nella città di Roma- la determinazione della pena di mesi nove di reclusione non appare certo “sproporzionata” per eccesso né lo è la pena di mesi cinque di reclusione per gli altri reati che comprendono l’acquisto di 3 tonnellate di hashish, di cui al capo 47 e per le condotte estorsive.
Né può evocarsi la “sproporzione” rispetto agli aumenti inflitti al coimputato COGNOME, contenuti per i reati contestati in concorso a NOME imputato in mesi otto: questi, infatti, era solo uno dei fornitori del COGNOME che per alimentare il circui di smercio che a lui faceva capo si rivolgeva a più fornitori: evidente, dunque, la maggiore gravità dei fatti ascritti al COGNOME.
11.11 ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
11.1.Si connotano per manifesta infondatezza le censure in rito.
La più recente e condivisibile sentenza in materia ha precisato che la trattazione congiunta del rito abbreviato e di quello ordinario nei confronti di imputati diversi non è causa di abnormità o di nullità della decisione, né tantomeno di una situazione di incompatibilità suscettibile di tradursi in motivo di ricusazione, poiché la coesistenza dei procedimenti comporta solo la necessità che, al momento della decisione, siano tenuti rigorosamente distinti i regimi probatori rispettivamente previsti per ciascuno di essi. (Sez. 6 – , Sentenza n. 14024 del 06/02/2024, Tedesco, Rv. 286214): si tratta di un principio chiarissimo, già enunciato in altri precedenti di questa Corte che denota la manifesta infondatezza della denuncia del vizio di abnormità e violazione di legge (in relazione all’art. 34 cod. proc. pen.) delle ordinanze del 13 settembre e 4 ottobre 2023 con le quali la Corte di appello ha disposto la riunione al procedimento a carico di NOME COGNOME e altri, svoltosi con il rito ordinario, della posizione di NOME COGNOMECOGNOME definita co sentenza emessa in esito a rito abbreviato.
Né ha maggior fondamento e pregio la denuncia del vizio di violazione di legge con riferimento alla indebita utilizzazione a carico del COGNOME degli elementi di prova acquisiti nel rito ordinari.
E’ erroneo, in primo luogo, il riferimento all’assunto che la stessa Corte avrebbe enunciato NOME errore inquadrando la posizione del COGNOME.
La sentenza impugnata, infatti, esamina la posizione dell’imputato alle pagg. 36 e ss. con una motivazione che, fin dall’esordio, tiene nettamente distinte le due piattaforme probatorie.
Il rinvio alla posizione del COGNOME (di cui a pag. 42) è limitato al richiamo, e è pertanto circoscritto, alla individuazione degli elementi costituitivi del reat associativo, elementi che vengono poi, inverati, quanto alla posizione del ricorrente, nell’esame della piattaforma probatoria relativa a NOME imputato, che è anche più ampia rispetto a quella del COGNOME poiché COGNOME aveva chiesto di essere giudicato con rito abbreviato.
11.2. Il motivo di ricorso che denuncia la inutilizzabilità delle risultanze delle operazioni di intercettazione di cui al RIT 864/2018, – per l’incertezza del luogo di svolgimento delle operazioni e degli impianti concretamene utilizzati e assenza dei relativi verbali che non sono stati specificamente individuati nella sentenza impugnata sebbene, con i motivi di appello, fosse stato espressamente richiesto di precisarne la collocazione con indicazione del faldone e del relativo collegamento telematico, è manifestamente infondato e generico.
La Corte di appello ha esamiNOME la deduzione difensiva respingendola anche sulla base di argomentazioni che rinviano al contenuto degli atti dispositivi delle
operazioni di intercettazione, insuscettibili di censure in questa sede poiché si dà atto che le operazioni venivano eseguite presso la Procura e semplicemente remotizzate nell’ascolto.
La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che, affinchè rilevi l’inutilizzabilità patologica, non sanabile dalla scelta del rito abbreviato, dei risult delle operazioni queste devono essere state eseguite per mezzo di impianti esterni sulla base di un decreto del pubblico ministero del tutto privo di motivazione circa l’insufficienza o l’inidoneità degli impianti della Procura della Repubblica (Sez. 5, n. 25082 del 27/02/2019, Baiano, Rv. 277608), condizione che non ricorre nel caso in esame.
Parimenti, in presenza della scelta di definizione del procedimento con rito abbreviato non rileva la sanzione della inutilizzabilità, prevista dall’art. 271 cod. proc. pen. in caso di inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 268 stesso codice, che ha riguardo all’omessa redazione dei verbali e non all’omesso deposito dei cd. brogliacci, che si distinguono dai primi perché contengono solo la sintesi delle conversazioni intercettate e non la sommaria indicazioni delle operazioni svolte. (Sez. 3, Sentenza n. 21968 del 24/02/2016, Amato, Rv. 267075).
11.3. E’ generico e aspecifico il motivo di ricorso sulla identificazione dell’imputato quale interlocutore del COGNOME che risulta con chiarezza e sufficienza, attraverso i riferimenti nominativi contenuti nelle conversazioni intercettate e ai fotogrammi della videosorveglianza in cui sono ripresi i soggetti nell’atto di accedere presso l’abitazione del COGNOME, risultanze, queste, del tutto pretermesse nel motivo di ricorso, per questo aspecifico, senza necessità alcuna di far ricorso al contenuto dell’interrogatorio dell’imputato – che, peraltro, non aveva disconosciuto le visite e motivi degli incontri. La sentenza non fa certo riferimento alla confessione del reato ma al mancato disconoscimento di visite e motivi degli incontri del COGNOME con NOME COGNOME.
11.4. Con riferimento alla pena inflitta, determinata nel minimo editNOME per il reato associativo in quella di anni dieci di reclusione, l’aumento di mesi otto di reclusione per ciascuno dei reato contestati ai capi 13, 17, 44 (art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990); di mesi sette di reclusione per ciascuno dei reati di cui ai capi 28, 45, 46 (si tratta delle cessioni che hanno avuto ad oggetto minori chilogrammi di cocaina); di mesi due di reclusione per i reati di cui ai capi 25 e 36, ha trovato compiuta giustificazione, nel quadro di esercizio dei poteri discrezionali del giudice del merito, attraverso il riferimento alla personalità dell’imputato e al ruolo svolto nell’associazione, come raccordo con organizzazioni sovranazionali (pag. 43).
12.Consegue alla inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa della Ammende.
P.Q.M.
ANNULLA SENZA RINVIO LA SENTENZA IMPUGNATA NOME ALL’AGGRAVANTE DI CUI ALL’ART. 73, COMMA 6, D.P.R. 309/90 NEI CONFRONTI DI COGNOME NOME E COGNOME NOME E PER L’EFFETTO, ELIMINATO IL RELATIVO AUMENTO, RIDETERMINA LA PENA INFLITTA A COGNOME NOME IN 6 ANNI MESI 8 DI RECLUSIONE E 32 MILA EURO DI MULTA E LA PENA INFLITTA A COGNOME NOME IN ANNI 3 MESI 3 DI RECLUSIONE E 12 MILA EURO DI MULTA. ANNULLA, ALTRESÌ, SENZA RINVIO LA SENTENZA IMPUGNATA NEI CONFRONTI DI COGNOME NOME ALL’AUMENTO DI PENA PER LA CONTINUAZIONE, CHE ESCLUDE, E PER L’EFFETTO RIDETERMINA LA PENA INFLITTA AL PREDETTO IN ANNI 6 MESI 2 DI RECLUSIONE ED EURO 35 MILA DI MULTA. DICHIARA INAMMISSIBILI NEL RESTO I RICORSI DEI PREDETTI. DICHIARA INAMMISSIBILI I RICORSI DI COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME E COGNOME NOME, CHE CONDNOME AL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI E DELLA SOMMA DI EURO TREMILA CIASCUNO IN FAVORE DELLA CASSA DELLE AMMENDE. E DELLA
Così deciso 1’8 luglio 2024