Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37214 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37214 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/12/2024 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME, attraverso il proprio difensore, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma in epigrafe indicata, che ne ha confermato la condanna per i delitti di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990, per aver detenuto a fini di cessione a terzi un quantitativo di cocaina pari a 1.170 dosi al consumo, nonché di hashish per un peso lordo di quarantacinque chilogrammi ed un principio attivo superiore agli otto chilogrammi, con il riconoscimento, in relazione a quest’ultima sostanza, dell’aggravante della quantità ingente, a norma dell’art. 80, comma 2, stesso d.RR..
Il ricorso consta di quattro motivi.
2.1. Il primo lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in tema di aggravante dell’ingente quantità.
Essa sarebbe stata ravvisata automaticamente dai giudici del merito, per il sol fatto del superamento del quantitativo individuato come “valore-soglia” dalla giurisprudenza di questa Corte: riferimento, tuttavia, che ha carattere soltanto indicativo e di tipo negativo, nel senso che l’aggravante dev’essere di norma esclusa quando tale quantità non sia raggiunta, mentre non dev’essere sempre riconosciuta quando detto limite sia superato.
Nello specifico, poi, il quantitativo lordo è inferiore a quello di cinquanta chilogrammi, utilizzato come parametro indicativo da quelle pronunce.
Inoltre, non vi sarebbero elementi da cui poter desumere che l’imputato fosse a conoscenza del peso complessivo della sostanza da lui detenuta, perciò difettando l’elemento psicologico per il riconoscimento dell’aggravante.
2.2. Il secondo motivo denuncia i medesimi vizi con riferimento all’esclusione della fattispecie di lieve entità (art. 73, comma 5, d.P.R. cit.) per la cocaina, deducendo che la stessa non possa essere negata per il carattere continuativo dell’attività di “spaccio” e per la diversa tipologia di sostanze contestualmente detenute.
2.3. La terza censura riguarda i medesimi vizi in tema di bilanciamento tra le circostanze.
La sentenza di primo grado – si argomenta – ha riconosciuto le attenuanti generiche, stimandole equivalenti alla sola recidiva, non anche, come invece avrebbe dovuto, a quella dell’ingente quantità. La Corte d’appello ha respinto la relativa doglianza, perché l’aumento per continuazione, apportato dal primo giudice per il delitto di cui agli artt. 73, comma 4, e 80, comnna 2, d.P.R. n. 309 del 1990, è stato commisurato nel minimo legale di un terzo della pena base, a norma dell’art. 81, quarto comma, cod. pen.: con l’effetto – hanno concluso quei giudici – che, per la circostanza di cui al citato art. 80, non è stato apportato alcun aumento di pena.
Replica il ricorrente che l’esclusione di tal ultima aggravante dal giudizio di bilanciamento abbia comunque determinato un illegittimo aggravio di pena.
2.4. Con l’ultimo motivo, sempre gli stessi vizi vengono dedotti con riferimento alla misura della pena, in ragione della condotta impeccabile e collaborativa tenuta dall’imputato nel corso della custodia cautelare e del processo.
Ha depositato la propria requisitoria il Procuratore generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Il primo è manifestamente destituito di fondamento.
E’ vero che il parametro di riferimento individuato dalla giurisprudenza di questa Corte – e che per l’hashish è pari a due chilogrammi di principio attivo ha natura indicativa, e non tassativa, indicando la “soglia” al di sotto della quale l’aggravante, di norma, non è ravvisabile e non, invece, quella al di sopra della quale la fattispecie circostanziale debba ritenersi integrata (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 253150; Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279005).
V’è, però, nel caso di specie, che il quantitativo rinvenuto è pari al doppio di quel “valore-soglia” e che, per converso, nessun elemento è stato addotto dalla difesa, né risulta essere stato comunque trascurato dai giudici di merito, tale da poter bilanciare tale dato di fatto fortemente negativo per l’imputato. La motivazione sul punto, dunque, risulta corretta, razionale e persuasiva, perciò sottraendosi a censura.
Nessun rilievo, infatti, può essere assegnato al dato quantitativo lordo, in quanto non incidente sulla portata offensiva della condotta ed individuato dall’anzidetta giurisprudenza di legittimità soltanto come riferimento empirico.
Inammissibile, infine, risulta la censura in tema di elemento psicologico: in primo luogo, perché non risulta essere stata rassegnata al giudice d’appello (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.); poi, perché puramente assertiva, e quindi generica; e, comunque, perché manifestamente infondata, essendo – quella in esame – una circostanza di tipo oggettivo ed essendo perciò valutabile a carico dell’imputato anche in caso di colpa (art. 59, secondo comma, cod. pen.): ed è indiscutibile – tanto che non lo fa neppure la sua difesa – che, accettando di detenere quel carico così significativo, egli si sia per lo meno rappresentato l’eventualità che esso superasse i due chili ed abbia perciò agito, se non altro, con imprudenza.
3. Il secondo motivo è del tutto inconferente.
I giudici di merito, con riferimento alla cocaina, hanno escluso l’ipotesi lieve non già per il carattere continuativo dell’attività o per la contestuale detenzione di sostanze di specie diversa, ma per il dato quantitativo, pari a 1.170 dosi al consumo, da essi ragionevolmente ritenuto sintomatico del collegamento dell’imputato con ambienti professionalmente dediti a tale attività illegale e non bilanciato da nessun elemento a lui favorevole. E, sotto questo profilo, il ricorso rimane in silenzio.
Manifestamente infondati, infine, sono il terzo ed il quarto motivo, in tema di trattamento sanzionatorio.
Essi possono essere trattati congiuntamente, perché il dato decisivo, per entrambi, è dato dal contenimento della pena, da parte del primo giudice, nel minimo legale: tanto, cioè, di quella inflitta per il reato più grave, quanto dell’aumento apportato per continuazione, per effetto della ritenuta recidiva qualificata e di quanto disposto dall’art. 81, quarto comma, cod. pen.. Corretta, dunque, è l’osservazione della Corte distrettuale, per cui detta sanzione non potesse essere ulteriormente ridotta, non avendo l’imputato, di conseguenza, nulla di che dolersi.
Peraltro, la pretesa difensiva di includere nel bilanciamento tra le circostanze anche quella relativa al reato “satellite” è manifestamente infondata: in caso di reato continuato, infatti, il giudizio di bilanciamento tra circostanze dev’essere effettuato con esclusivo riguardo a quelle relative al reato ritenuto più grave, dovendo tenersi conto di quelle afferenti ai reati “satellite” al solo fine della determinazione dell’aumento di pena ex art. 81, secondo comma, cod. pen. (così, tra le tante, Sez. 2, n. 16352 del 29/02/2024, L., Rv. 286295; Sez. 3, n. 26340 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 260057; Sez. 1, n. 47249 del 30/06/2011, COGNOME, Rv. 251403; Sez. 1, n. 13369 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 272567; Sez. 1, n. 49344 del 13/11/2013, Gelao, Rv. 258348).
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2025.