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Aggravante professioni sanitarie: rapina in farmacia

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4244/2024, ha confermato la condanna per rapina aggravata in una farmacia, chiarendo l’applicazione dell’aggravante professioni sanitarie. La Corte ha stabilito che la circostanza si applica anche quando il reato è commesso “nell’esercizio” della professione, ovvero mentre le vittime sono al lavoro, indipendentemente dal fatto che il movente sia puramente economico. La decisione sottolinea che la norma mira a proteggere i sanitari a causa della particolare esposizione al rischio insita nel loro lavoro.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aggravante Professioni Sanitarie: Quando si Applica alla Rapina in Farmacia?

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 4244 del 2024, ha fornito un chiarimento fondamentale sull’applicazione della cosiddetta aggravante professioni sanitarie. La questione centrale era stabilire se tale aggravante potesse essere applicata a una rapina commessa in una farmacia, quando il movente del rapinatore era puramente economico e non legato all’attività sanitaria delle vittime. La risposta della Corte è stata affermativa, delineando i confini di una norma introdotta per proteggere una categoria di lavoratori particolarmente esposta al rischio.

I Fatti del Caso

Un individuo è stato condannato in primo e secondo grado per una rapina ai danni di due farmaciste, commessa all’interno della farmacia dove lavoravano. Oltre alle aggravanti comuni, come l’uso di armi e l’essere travisato, i giudici di merito avevano applicato anche la specifica aggravante prevista dall’art. 61, n. 11-octies, del codice penale, relativa ai reati commessi con violenza o minaccia in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie.

La Difesa e il Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo un punto cruciale: la rapina era stata compiuta semplicemente per procurarsi del denaro, non perché le vittime fossero farmaciste. Secondo la difesa, non vi era alcun nesso tra il reato e l’attività sanitaria. Applicare l’aggravante in questo contesto, a suo dire, creerebbe un ingiustificato “privilegio” per i sanitari, in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. In pratica, la tutela rafforzata dovrebbe valere solo quando il reato è direttamente connesso alla prestazione sanitaria (ad esempio, un’aggressione da parte di un paziente insoddisfatto) e non quando il sanitario è vittima di un reato comune che avrebbe potuto colpire chiunque.

L’Aggravante Professioni Sanitarie e l’Interpretazione della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, offrendo un’interpretazione dettagliata della norma. L’art. 61, n. 11-octies, cod. pen. prevede l’aumento di pena quando il delitto è commesso “a causa o nell’esercizio” di tali professioni. La Corte distingue nettamente le due ipotesi:

* “A causa” della professione (connessione finalistica): Si riferisce ai reati motivati dall’incarico svolto dal sanitario. Pensiamo a vendette o reazioni violente legate a una prestazione medica.
“Nell’esercizio” della professione (connessione occasionale): Riguarda i reati che avvengono mentre* il sanitario sta svolgendo la sua attività, anche se il movente non è legato alla professione stessa.

Nel caso della rapina in farmacia, ricorre palesemente la seconda ipotesi. Le farmaciste sono state rapinate proprio mentre erano al lavoro, esercitando la loro professione.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su una chiara ratio legis. La legge n. 113 del 2020, che ha introdotto questa aggravante, è nata per garantire maggiore sicurezza a una categoria di professionisti esposta a rischi specifici. Gli operatori sanitari, per la natura del loro lavoro, si trovano in costante relazione con un pubblico indeterminato, spesso in contesti di vulnerabilità o tensione, con limitate possibilità di difendersi. La loro stessa presenza sul luogo di lavoro li rende un bersaglio.

La tutela penale rafforzata, quindi, non deriva dalla qualifica soggettiva di “sanitario” in sé, ma dal collegamento tra il reato e l’esercizio concreto dell’attività professionale. Non si tratta di un privilegio, ma del riconoscimento di una maggiore esposizione al pericolo. La Corte ha sottolineato che, anche in questo caso, la tutela più energica non è legata solo alla qualifica professionale, ma al fatto che la condotta criminale è collegata all’esercizio in atto dell’attività.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio di diritto chiaro: l’aggravante professioni sanitarie si applica a tutti i delitti commessi con violenza o minaccia contro un operatore sanitario che si trovi nell’esercizio delle sue funzioni, a prescindere dal movente specifico dell’aggressore. È sufficiente la connessione occasionale tra il reato e l’attività lavorativa in corso. Una rapina in una farmacia durante l’orario di apertura rientra pienamente in questa casistica, perché le vittime sono state colpite proprio in ragione del ruolo che stavano svolgendo in quel momento e luogo, una situazione che la legge ha inteso proteggere con maggiore fermezza.

L’aggravante per reati contro gli esercenti le professioni sanitarie si applica a una rapina il cui unico scopo è rubare denaro?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’aggravante si applica non solo quando il reato è commesso “a causa” della professione, ma anche “nell’esercizio” della stessa. È sufficiente che il reato avvenga mentre il professionista sta lavorando, poiché la norma tutela la sicurezza durante lo svolgimento delle funzioni.

Perché è stata introdotta l’aggravante per le professioni sanitarie?
La norma (art. 61, n. 11-octies, cod. pen.) è stata introdotta per offrire una tutela penale più energica agli operatori sanitari. Questi ultimi, a causa della loro attività, sono particolarmente esposti a rischi di aggressione, essendo in costante relazione con un pubblico indeterminato e con ridotte possibilità di difesa.

Applicare questa aggravante a una rapina comune viola il principio di eguaglianza?
No. Secondo la Corte, la tutela “maggiorata” non costituisce un privilegio ingiustificato, ma trova una ragionevole giustificazione nel collegamento tra la condotta criminale e l’esercizio della professione sanitaria, che presenta peculiari esigenze di tutela e una maggiore esposizione a rischi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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