Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34790 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 34790 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
SENTENZA
sul
ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/05/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’aggravante della premeditazione e il rigetto del ricorso nel resto.
udito il difensore
L’AVV_NOTAIO COGNOME NOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso. L’AVV_NOTAIO COGNOME ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in preambolo, la Corte di assise di appello di Napoli, in riforma di quella del Giudice per le indagini preliminari di Napoli in data 16 luglio 2011, ha dichiarato NOME COGNOME responsabile dell’omicidio pluriaggravato di NOME COGNOME (capo A), del tentato omicidio di NOME COGNOME (capo B), infine dei connessi reati d’illecita detenzione e porto della pistola TARGA_VEICOLO utilizzata per commetterli; fatti commessi il 6 novembre 2016, in Napoli.
Il proposito criminoso è stato individuato come insorto nel solco di contrasti tra i gruppi di camorra COGNOME e COGNOME, in rivalità per la conquista dell’egemonia nel quartiere Sanità di Napoli.
Si è ritenuto accertato che l’azione fosse stata preceduta da una serie di fatti di sangue, succedutisi dall’agosto 2016; da ultimo, il 22 ottobre 2016, erano stati esplosi colpi di arma da fuoco all’indirizzo dell’abitazione di NOME COGNOME da parte di appartenenti al RAGIONE_SOCIALE cui seguiva, appena alcune ore dopo, l’esplosione di colpi di arma da fuoco all’indirizzo di NOME COGNOME, mentre questi era in compagnia di NOME COGNOME.
L’omicidio di NOME COGNOME e il ferimento di NOME COGNOME – il primo fiancheggiatore del gruppo RAGIONE_SOCIALE, il secondo organico al RAGIONE_SOCIALE erano stati perpetrati subito dopo quest’ultimo agguato.
La Corte di assise di appello ha disatteso tutte le obiezioni mosse dalle difese, delle quali si darà conto nell’esposizione dei motivi di ricorso per cassazione, e ha operato una ricostruzione degli accadimenti e delle fonti di prova, dando contezza delle modalità esecutive, del movente e della paternità dell’efferato crimine e dei connessi reati di detenzione e porto delle armi utilizzate per commetterlo.
Centrali, sotto il profilo probatorio sono state reputate le dichiarazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, entrambi collaboratori di giustizia, giudicate intrinsecamente attendibili e reciprocamente riscontrantesi, oltre che dotate di adeguati riscontri generici e individualizzanti.
La Corte territoriale ha, altresì, ritenuto sussistenti le circostanze aggravanti della premeditazione e di quella di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., quindi negato il riconoscimento dell’attenuante della provocazione e delle circostanze attenuanti generiche.
Ricorre NOME COGNOME per cassazione, con due distinti atti, per mezzo dei difensori di fiducia, AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO.
2.1. Con l’atto a forma dell’AVV_NOTAIO sono dedotti nove motivi di ricorso.
2.1.1. Con il primo si lamenta la violazione da parte del Giudice di appello dell’obbligo di “motivazione rafforzata”, doverosa per il caso di ribaltamento in appello della pronuncia assolutoria in primo grado.
La difesa evidenzia che tale vizio si evincerebbe dalla sola lettura dell’ordinanza con la quale il giudice di secondo grado apre il proprio percorso motivazionale, chiaramente indicativo della “scelta di campo” operata in favore della decisione di condanna. La decisione finale, infatti, verrebbe nella sentenza impugnata anteposta e, via via, difesa, mentre – avverte la difesa – a tale esito, eventualmente di condanna, si sarebbe dovuti pervenire a seguito della valutazione complessiva degli elementi di prova, attraverso una disamina «elemento per elemento».
Il Giudice di secondo grado, lungi dal fornire un proprio ragionamento probatorio alternativo e maggiormente convincente rispetto a quello del Giudice di primo grado, avrebbe fondato la motivazione di condanna sul filo d’intuizioni, privilegiando il «”credere” al “ragionare”» (così nel ricorso): ha ritenuto il collaboratore di giustizia COGNOME COGNOME sol perché le sue parole sono state ritenute «sincere e veridiche» avendone, la stessa Corte territoriale, potuto direttamente apprezzare il narrato.
2.1.2. Con il secondo motivo lamenta vizi di motivazione e travisamento di una prova decisiva, in punto di valutazione dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il primo avrebbe, nel corso dell’intero procedimento, reso dichiarazioni di volta in volta platealmente difformi, inspiegabilmente giustificate dal Giudice di appello che, tuttavia, non ha fornito risposta al principale quesito posto dalla difesa, ossia, come potesse COGNOME esser certo di essere intercettato presso il locale nosocomio, in occasione delle conversazioni con la madre e con altra persona, così da fornire strumentalmente una versione dell’accaduto difforme da quella reale (indicando l’autore in tale COGNOME) e, in tale modo, effettuare l’asserito depistaggio ipotizzato nella sentenza impugnata.
Del tutto illogica sarebbe la giustificazione della «menzogna difensiva» che, secondo la Corte territoriale, COGNOME avrebbe reso opportunisticamente, poiché come già segnalato dalla difesa nelle memorie prodotte in appello – l’abitazione della madre del collaboratore era equidistante tanto dall’abitazione di COGNOME, quanto da quella di La COGNOME. COGNOME era, inoltre, “camorrista” alla stessa stregua di La COGNOME e vicino a quest’ultimo, sicché la Corte territoriale attribuisce a COGNOME un “opportunisnno”che, in realtà, riposerebbe unicamente sull’autoreferenziale spiegazione di questi, ma che non giustificherebbe un così radicale mutamento di dichiarazioni.
La sentenza di appello non avrebbe neppure fornito adeguata spiegazione alle tre versioni fornite dal collaboratore di giustizia sul secondo soggetto che si sarebbe trovato dietro la siepe antistante all’ingresso del locale ove si svolsero i fatti.
Del pari illogica sarebbe la valutazione in punto di attendibilità del collaboratore di giustizia COGNOME che, contraddittoriamente, dopo aver definito COGNOME come persona riservata, ha poi riferito che questi gli aveva fatto specifiche confidenze sul fatto di omicidio oggetto del presente giudizio. Si lamenta, sul punto, l’assenza di riscontri relativamente all’affermata stretta amicizia e frequentazione tra COGNOME e COGNOME, circostanza che avrebbe, invece, dovuto essere la precondizione per accedere alla valutazione intrinseca di credibilità del collaboratore.
2.1.3. Con il terzo motivo deduce l’apparenza della motivazione sull’esame delle questioni prospettate con le memorie difensive.
Ciò la Corte avrebbe fatto, omettendo di fornire una spiegazione maggiormente persuasiva, sia nell’affrontare le tre diverse versioni, rese da COGNOME quando era già collaboratore di giustizia, con riferimento al «soggetto con un casco bianco» che aveva scorto sul luogo dei fatti, sia nell’occuparsi del tema della macchina con la quale era fuggito lo sparatore.
2.1.4. Il quarto motivo denuncia la violazione di legge e vizio di motivazione in punto di violazione del diritto dell’imputato a difendersi provando.
La Corte di assise di appello avrebbe erroneamente affermato l’impossibilità di configurare un vero e proprio diritto alla prova di una delle parti, cui corrisponde uno speculare diritto alla controparte alla prova contraria, citando a conforto una giurisprudenza di legittimità non pertinente e, comunque, non condivisibile. Giusta la tesi del ricorrente, ferma la natura ufficiosa della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello nel caso di giudizio abbreviato, alla prova ammessa ex officio ai sensi dell’art. 603, terzo comma, cod. proc. pen. deve applicarsi la disciplina ordinaria di formazione della prova.
Per tale via, si denuncia l’erroneità dell’ordinanza con cui è stato escluso l’esame di NOME COGNOME che aveva carattere di decisività rispetto alla narrazione del collaboratore di giustizia COGNOME.
2.1.5. Con il quinto motivo eccepisce la violazione di legge in punto di inammissibilità dell’appello del AVV_NOTAIO ministero quanto alla sussistenza delle circostanze aggravanti della premeditazione, di quella così detta “mafiosa”, infine dei motivi abietti.
L’a-specificità dell’appello del AVV_NOTAIO ministero si riverbererebbe sulla sentenza di secondo grado che, nel ribaltare quella assolutoria del Giudice per le
indagini preliminari, non avrebbe potuto entrare nel merito di dette aggravanti ex officio.
2.1.6. Con il sesto motivo si denuncia il vizio di motivazione relativamente alla ritenuta aggravante della premeditazione.
Il ricorrente, in aggiunta alla censura di ordine processuale di cui al motivo precedente, lamenta l’assenza di motivazione sull’esistenza, nel caso di specie, dell’aggravante de qua.
2.1.7. Il settimo motivo attinge l’aggravante di cui all’articolo 61, n. 1, cod. pen.
Con motivazione illogica e contraddittoria, a p. 44 della sentenza impugnata si afferma che è «configurabile la sola circostanza aggravante di avvantaggiare il RAGIONE_SOCIALE NOME», ma nel dispositivo si indica che l’aggravante dei motivi abbietti è stata ritenuta assorbita in quella di cui all’articolo 416 bis 1. cod. pen. Tale statuizione sarebbe scorretta e di essa si chiede l’annullamento senza rinvio.
2.1.8. L’ottavo motivo lamenta la violazione dell’articolo 416-bis 1. cod. pen. sotto il profilo dell’agevolazione del RAGIONE_SOCIALE mafioso.
Anche con riferimento a tale aggravante, ferma l’eccezione d’inammissibilità dell’appello del AVV_NOTAIO ministero, il ricorrente censura altresì l’assenza di motivazione sulla finalità dell’azione omicidiaria a vantaggio del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, essendo ravvisabile un motivo personale in capo a RAGIONE_SOCIALE, ovvero quello di farsi vendetta rispetto a un fallito attentato ai suoi danni.
2.1.9. Con il nono motivo si denuncia violazione dell’articolo 416-bis 1. cod. pen., sotto il profilo della sussistenza del “metodo mafioso”.
Osserva la difesa che se sparare per uccidere persone in un esercizio pubblico e di giorno, in una zona frequentata, costituisce modalità certamente intimidatoria, la sentenza impugnata tuttavia non si fa carico di evidenziare il collegamento tra l’omicidio, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di riferimento delle vittime e gli autori del reato, trascurando come la vicenda – per come devoluta dall’accusa nel proprio atto di impugnazione – fosse ugualmente riconducibile a finalità personali di vendetta da parte di la COGNOME.
2.2. Con l’atto a firma dell’AVV_NOTAIO sono dedotti nove motivi di ricorso.
2.2.1. Il primo motivo denuncia violazione di legge, vizi di motivazione e plurimi travisamenti della prova, con riferimento alle dichiarazioni tardive, interessate, contraddittorie, illogiche e, in alcuni punti, false, di NOME COGNOME.
Il ricorrente – dopo avere sintetizzato in premessa le ragioni poste dal giudice di prima cura a fondamento della valutazione negativa delle dichiarazioni di NOME COGNOME, ritenute intrinsecamente inattendibili, frammentarie e generiche – lamenta che l’opposta valutazione fatta dal Giudice di appello sia fondata su una motivazione che incorre nei seguenti quindici travisamenti della prova: i) il primo
travisamento riguarderebbe l’affermazione resa da COGNOME secondo cui egli avrebbe immediatamente riconosciuto il ricorrente quale killer in ragione del fatto che «erano cresciuti insieme e si erano frequentati fino al 2016», laddove, a domanda della difesa, il collaboratore ha dovuto ammettere di aver smesso di frequentare La COGNOME in epoca antecedente di dieci-dodici anni; ii) il secondo travisamento riguarderebbe l’affermazione di COGNOME di aver riconosciuto il killer perché «le scale erano illuminate dalla luce di un faretto puntato sulle stesse», mentre dal fascicolo degli accertamenti dei rilievi tecnici eseguiti dai Carabinieri è documentata la presenza di due faretti diretti non già sulle scale, bensì sull’ingresso del locale non sulle scale, che quella sera vi era una tenda aperta (in ragione della piovosità della serata) collocata al di sotto dei faretti, e che i due faretti erano spenti; iii) il terzo travisamento sarebbe relativo alla possibilità, ritenuta in sentenza, di COGNOME di riconoscere COGNOME, mentre è lo stesso collaboratore a dichiarare che l’azione si svolse in «frazione di attimi»; iv) altro errore percettivo si appunterebbe sulla patente di attendibilità attribuito al narrato di COGNOME nella possibilità del riconoscimento del killer, trascurando il dato obiettivo rappresentato dalla circostanza che lo stesso COGNOME aveva dichiarato di avere immediatamente girato le spalle all’uomo travisato; v) un travisamento ulteriore concernerebbe l’omessa valutazione della ridotta capacità visiva di COGNOME, causata dal lupus eritematoso di cui è risultato affetto e che peggiora con l’esposizione alla luce solare, ragione per la quale era impossibile che potesse essere stato l’autore dell’azione di fuoco; vi) del pari travisato il dato della descrizione offerta da COGNOME a NOME COGNOME delle fattezze fisiche dell’autore degli spari («un uomo di grossa statura, vestito di scuro»), inconciliabile con quelle di RAGIONE_SOCIALE. Il ricorrente, sul punto, invoca – in via subordinata rispetto all’annullamento senza rinvio della sentenza -l’annullamento con rinvio al fine di rinnovare l’istruzione dibattimentale per l’acquisizione dei cartellini fotosegnaletici di La COGNOME sui quali sono indicati i dati antropometrici riferibili all’epoca dei fatt vii) il settimo travisamento riguarderebbe il riconoscimento da parte di COGNOME del calibro dell’arma dello sparatore. La Corte ha affermato che il collaboratore aveva riconosciuto l’arma in una pistola TARGA_VEICOLO e che tale era quella utilizzata dall’omicida, secondo quanto accertato dagli investigatori. Si tratta di un dato inesistente, agli atti del processo, poiché, nel corso delle dichiarazioni rese nel giudizio di secondo grado all’udienza del 1° dicembre 2022, COGNOME si limitò ad affermare che il killer impugnava una pistola nera e che, dopo aver guardato su Internet, riconobbe che si trattava di una pistola TARGA_VEICOLO; viii) l’ottavo travisamento riguarderebbe la circostanza che, poche ore dopo essere stato fatto oggetto di un tentativo di omicidio, COGNOME riferì a sua madre che l’autore del ferimento era NOME COGNOME, mentre solo due anni dopo decise di accusare Corte di Cassazione – copia non ufficiale
l’odierno ricorrente. La puerile giustificazione addotta sul punto dal collaboratore di giustizia (ovvero la necessità di difendere i suoi familiari e la volontà di vendicarsi personalmente) costituirebbe un’omissione nella valutazione di una prova decisiva e, comunque, integrerebbe la violazione dell’obbligo di motivazione rafforzata: ix) il nono travisamento sarebbe inerente all’assenza di qualsiasi riscontro all’affermazione di COGNOME di avere riferito ai maggiorenti del RAGIONE_SOCIALE di appartenenza che l’autore del ferimento era COGNOME; x) ulteriore travisamento riguarderebbe il mendacio di COGNOME sulla visita in ospedale di NOME COGNOME, di cui è stata fornita una inconsistente giustificazione a posteriori; xi) del pari travisata la giustificazione, egualmente fornita ex post, alla circostanza obiettiva che il giorno successivo al tentato omicidio ai suoi danni, COGNOME incontrando un sodale in ospedale gli indicò che il killer era NOME COGNOME; xii) ancora, vizio di travisamento riguarderebbe l’affermazione fatta da COGNOME a COGNOME secondo cui il killer era NOME COGNOME, salvo poi a dichiarare successivamente di avere mentito e che l’autore del killer era COGNOME; xiii) travisata sarebbe, ancora, l’indicazione della presenza sul luogo dei fatti in compagnia di COGNOME RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, detto “COGNOME“, affermazione successivamente ritrattata con l’imbarazzante e ridicola giustificazione di essere in quel momento in preda ad agitazione; xiv) il penultimo dato travisato consisterebbe nel mendacio sull’asserita estraneità di NOME COGNOME al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, circostanza affermata da COGNOME, ma smentita da una pluralità di dati rilevabili dagli atti e puntualmente indicati nel ricorso; xv infine, l’eclatante travisamento in punto di affermata attendibilità di COGNOME in quanto vittima dell’agguato, laddove si è dimenticata la circostanza che questi, oltre ad essere la vittima del tentato omicidio, è un collaboratore di giustizia animato dal dichiarato intento di farsi giustizia nei riguardi di la COGNOME.
2.2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di svalutazione delle conversazioni intercettate presso l’ospedale Cardarelli di Napoli nel corso delle quali COGNOME, in ben due diverse occasioni, indicava sia alla madre, sia a un suo sodale, l’esatta identità del killer in persona diversa da NOME COGNOME.
2.2.3. Il terzo motivo deduce l’apparenza della motivazione in punto di risposta alle censure difensive a proposito della ritenuta attendibilità del collaboratore COGNOME.
Si lamenta la mancanza di qualsiasi elemento sulla base del quale riscontrare l’affermazione del collaboratore dello stretto rapporto di amicizia e frequentazione con il ricorrente. Residuerebbe, in ogni caso, un profilo di manifesta illogicità nella motivazione del Giudice di secondo grado, che pur avendo registrato l’affermazione di COGNOME secondo cui NOME COGNOME era una persona riservata, non ha
fornito spiegazione sul come fosse possibile che fosse divenuto tanto loquace, da confessare un omicidio a un appartenente ad altro RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di assise di appello, in punto di valutazione della prova delle dichiarazioni di COGNOME, sarebbe incorsa in almeno tre travisamenti di prove che, ove valutate correttamente, avrebbero imposto un giudizio d’inattendibilità delle dichiarazioni del collaboratore: i) il primo travisamento riguarderebbe l’epoca della confessione di COGNOME a COGNOME, secondo questo avvenuta la stessa sera in cui appartenenti al dan avverso avevano fatto una “stesa” all’indirizzo della sua abitazione; circostanza che troverebbe smentita il elementi evincibili dagli atti investigativi ed indicati nel ricorso; ii) il secondo travisamento riguarderebbe l’inconciliabilità del racconto che COGNOME avrebbe fatto a COGNOME sulla dinamica dell’omicidio con le risultanze degli accertamenti medico-legali. Segnatamente, secondo la ricostruzione di COGNOME, il ricorrente avrebbe raccontato che la vittima era caduta al suolo «come un sacco di patate» e che, una volta a terra, il ricorrente aveva esploso altri colpi. Entrambe le circostanze sono risultate contrarie alla consulenza medico-legale secondo la quale la vittima fu attinta da tre colpi, esplosi a distanza, mentre era ancora in posizione eretta. iii) Il terzo travisamento riguarderebbe il tentativo di COGNOME di costruirsi un riscontro riferendo un reato da lui effettivamente commesso, assumendo che vi avrebbe concorso COGNOME, ovverosia il tentato omicidio di NOME COGNOME. Il travisamento sarebbe rappresentato dal fatto che ciò che è riscontrata è l’effettiva consumazione del reato da parte di COGNOME, non già la presenza di NOME COGNOME. Ciò che – giusta la tesi difensiva – rafforza il convincimento che COGNOME abbia calunniosamente dichiarato di avere ricevuto confidenze dall’odierno ricorrente.
2.2.4. Il quarto motivo di ricorso si articola in tre punti, indicati con le prime tre lettere dell’alfabeto, complessivamente riguardanti la violazione del diritto dell’imputato alla prova: a) è in primo luogo eccepita la nullità dell’ordinanza emessa all’udienza del 6 dicembre 2022, nella parte in cui è rigettata la richiesta di ascoltare i testi di riferimento NOME COGNOME e NOME COGNOME; b) è del pari eccepita la nullità dell’indicata ordinanza nella parte in cui si nega l’ascolto a prova contraria – dei testi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, nonché del maresciallo dei carabinieri NOME COGNOME.; c) è lamentata la violazione del diritto alla prova da parte del Giudice di appello che, disposta la rinnovazione del dibattimento, ha negato l’acquisizione delle fotografie ritraenti il ricorrente che avrebbero provato l’incompatibilità delle fattezze fisiche del killer con NOME COGNOME.
2.2.5. Il quinto motivo si appunta sull’apparenza e illogicità della motivazione, in punto di confutazione delle decisive obiezioni difensive, considerate dalla Corte territoriale tamquan non essent.
Il riferimento è sia alla memoria difensiva depositata dinanzi al Giudice per le indagini preliminari, sia alla memoria di replica all’appello del AVV_NOTAIO ministero con le quali si era denunciato il comportamento anomalo e sospetto del dichiarante in ordine alla accusa, nell’immediatezza dei fatti, di persone innocenti. La difesa aveva allo stesso modo evidenziato precisi elementi d’inverosimiglianza nel narrato del collaboratore COGNOME. Elementi, quelli sin qui sunteggiati, del tutto negletti da parte del Giudice di secondo grado.
2.2.6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia il vizio di assenza di motivazione in punto di sussistenza dell’aggravante della premeditazione.
Vi sarebbe assenza grafica della motivazione sul punto, poiché la parola “premeditazione “è stata scritta nella sentenza impugnata un’unica volta, in occasione della dosimetria della pena.
2.2.7. Il settimo motivo concerne l’omessa motivazione in punto di riconosciuta esistenza dell’aggravante di cui all’articolo 416-bis 1. cod. pen.
La Corte territoriale avrebbe reso una motivazione meramente di stile e omesso di indicare gli elementi sulla scorta dei quali ha ritenuto che il fine specifico del ricorrente fosse agevolare l’associazione di riferimento, soprattutto alla presenza di un’obiettiva finalità personale di vendetta per essere egli stato vittima, sua volta, di un agguato. Egualmente largamente insufficiente è ritenuta la motivazione sull’uso del metodo mafioso, inferita dalla pura e semplice circostanza che l’autore del fatto aveva esploso colpi di arma da fuoco dinanzi a un pubblico locale, con il volto parzialmente travisato.
2.2.8. Con l’ottavo motivo deduce vizio di motivazione relativamente all’esclusione dell’attenuante della provocazione.
La motivazione sul punto sarebbe contraddittoria, poiché da un canto la sentenza di appello riconosce piena attendibilità al narrato di COGNOME, dall’altro non valorizza il punto della confessione a questi, da parte del ricorrente, riguardo al movente della sua azione, ossia l’essere stato vittima di un agguato.
2.2.9. L’ultimo motivo denuncia l’omessa motivazione in punto di circostanze attenuanti generiche, invece da riconoscersi al ricorrente poiché egli aveva reagito a un grave fatto ingiusto altrui, poiché – come lo stesso COGNOME ha dichiarato – si era allontaNOME dal RAGIONE_SOCIALE di appartenenza, così ponendo in essere comportamenti di resipiscenza, per la giovane età all’epoca del fatto e per le precarie condizioni di salute.
2.3. In data 27 febbraio 2024 l’AVV_NOTAIO COGNOME ha depositato motivi nuovi con i quali ha sviluppato i motivi principali di ricorso.
2.3.1. Con il primo motivo nuovo ha sviluppato i motivi n. 1. e 4. del ricorso principale, in punto di violazione del diritto alla prova contraria e del principio della motivazione rafforzata.
Erroneamente il giudice di secondo grado, prestando ossequio in via meramente apparente al disposto dell’articolo 603 cod. proc. pen., ha disposto unicamente l’audizione di COGNOME e COGNOME, rigettando tutte le richieste istruttorie di prova dichiarativa avanzate dalla difesa ritenendole non assolutamente necessarie ai fini del decidere. L’errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale è quello di aver considerato decisive esclusivamente le prove suindicate, mentre avrebbero dovuto considerarsi tali tutte quelle che hanno determiNOME, o anche solo contribuito a determinare, l’assoluzione nel giudizio di primo grado.
Grava, COGNOME infatti, sul giudice l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale anche con riferimento alle prove a discarico richieste dalla difesa di cui non può essere negata la rinnovazione, soprattutto ove esse si pongano in relazione di collegamento e di interferenza con le prime.
Sotto altro profilo si censura l’assenza di adeguata motivazione del provvedimento reiettivo quanto alla superfluità e all’irrilevanza delle prove richieste dalla difesa.
Seguono, alle pagine da 8 a 15 analitiche deduzioni riguardanti la rilevanza di ciascuno dei soggetti di cui la difesa aveva chiesto l’ascolto.
2.3.2. Il secondo motivo nuovo costituisce sviluppo del secondo motivo di ricorso principale e si appunta sul vizio di motivazione e sul travisamento della prova con riferimento alla valutazione del narrato dei collaboratori di giustizia.
Sarebbe, invero, mancata una rigorosa indagine compiuta sulla loro credibilità. Nelle pagine da 16 a 22 dei motivi nuovi la difesa entra nel merito di una serie di contraddizioni e travisamenti già posti in rilievo nel motivo principale, ribadendo la conclusione secondo la quale le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia, lungi dal riscontrarsi reciprocamente, sarebbero assolutamente aspecifiche, contraddittorie e prive di riscontri esterni individualizzanti.
2.3.3. Con il terzo motivo nuovo si deduce violazione degli articoli 62-bis e 133 cod. pen. e omessa motivazione sul punto.
La pena edittale dell’ergastolo con isolamento diurno è stata irrogata al ricorrente senza che fosse spesa alcuna parola sulla richiesta concessione delle circostanze attenuanti generiche per l’applicazione delle quali il giudice avrebbe dovuto considerare i criteri di quell’articolo 133 cod. pen., ivi compresi quelli concernenti le condizioni di vita, individuale e familiare e sociale dell’imputato.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante della premeditazione e il rigetto nel resto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente alla dedotta assenza di motivazione riguardo alla circostanza aggravante della premeditazione.
Le restanti doglianze sono in parte inammissibili e in parte infondate, sicché il ricorso dev’essere complessivamente rigettato nel resto.
Il primo motivo del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, ripreso nel primo motivo nuovo a firma dello stesso difensore, e il quarto motivo di entrambi i ricorsi, con i quali il ricorrente deduce la violazione da parte del Giudice di appello dell’obbligo di “motivazione rafforzata” per il caso di appello del AVV_NOTAIO ministero avverso sentenza assolutoria di primo grado e la violazione del diritto dell’imputato a “difendersi provando”, sono privi di fondamento.
2.1. Quanto a tale ultimo profilo, il Giudice di appello ha, invero, fatto buon governo del principio espresso in sede di legittimità secondo cui «In caso di appello della sentenza assolutoria da parte del pubblico ministero, l’obbligo di rinnovazione dell’istruttoria previsto dall’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., opera anche ove tale sentenza sia stata emessa all’esito di un giudizio abbreviato non condizioNOME ed è limitato alle sole prove dichiarative decisive ai fini della valutazione di responsabilità» (fra molte, Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni, Rv. 276596) e ha, difatti, proceduto all’ascolto diretto dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Quanto alla richiesta di ascolto di testimoni “a prova contraria”, il Giudice di appello si è posto nel solco di quanto stabilito dall’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., con riferimento al quale questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «Nel giudizio abbreviato di appello le parti non hanno un diritto all’assunzione di prove nuove, ma hanno solo il potere di sollecitare l’esercizio dei poteri istruttori di cui all’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., essendo rimessa al giudice la valutazione dell’assoluta necessità dell’integrazione probatoria richiesta» (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, 2022, COGNOME, Rv. 282585; Sez. 6 n. 51901 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 278061).
Conseguentemente, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri officiosi di integrazione probatoria, sollecitati a norma dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. dall’imputato che abbia optato per il giudizio abbreviato non condizioNOME, non può mai integrare il vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., non essendo configurabile un vero e proprio diritto alla prova di una delle parti cui corrisponda uno speculare diritto della controparte alla prova contraria (Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017, dep. 2018, Picone, Rv. 272197).
Nel caso che ci occupa, dunque, celebrato con rito abbreviato non condizioNOME all’escussione delle prove dedotte dalla difesa, non si è verificata la lamentata violazione del diritto a difendersi provando né con riferimento all’ascolto dei testi di riferimento NOME COGNOME e NOME COGNOME, né con riferimento all’ascolto, a prova contraria, dei testi NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, nonché del maresciallo dei carabinieri NOME COGNOME, né infine relativamente all’acquisizione delle fotografie ritraenti il ricorrente che, secondo la difesa, avrebbero provato l’incompatibilità delle fattezze fisiche del killer con NOME COGNOME.
Ciò in quanto, a fronte dell’esercizio da parte dell’imputato della facoltà a lui spettante di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, il Giudice di secondo grado ha ritenuto di non esercitare detto potere, chiarendo le ragioni per cui dette richieste esulassero dal perimetro della “assoluta necessità” richiesta dall’art. 603, comma 3, cod. proc. pen. e avvertendo che, in sede di appello, non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova i termini diversi e più ampi rispetto a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado.
Inoltre, non è superfluo ricordare che con il ricorso per cassazione può essere censurata la mancata assunzione in appello, in sede di giudizio abbreviato non condizioNOME, di prove richieste dalle parti solo qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 3, n. 3028 del 15/12/2023, dep. 2024, D., Rv. 285745; Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher, Rv. 265323; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., Rv. 261799).
Ciò che – come si vedrà anche in occasione della trattazione degli ulteriori motivi di doglianza – non è accaduto nel caso che ci occupa: il Giudice di appello, con motivazione sintetica ma adeguata, ha infatti indicato le ragioni per le quali ha ritenuto non necessaria l’attività di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale richiesta, alla stregua del compendio probatorio acquisito e del rito abbreviato prescelto, affermando che gli accertamenti istruttori richiesti, quale che ne fosse stato l’esito, non avrebbero potuto in alcun modo infirmare il risultato probatorio raggiunto.
Di conseguenza, non sono rilevabili, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, lacune o manifeste illogicità concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello.
Sono perciò prive di fondamento le censure proposte avverso la decisione di non procedere alla rinnovazione istruttoria sollecitata dalla difesa.
2.2. Quanto alla dedotta violazione dell’obbligo del Giudice di appello di procedere ad una “motivazione rafforzata” nel caso di overtuming sfavorevole per l’imputato, assolto nel giudizio di primo grado, la Corte di assise di appello si è mossa nell’alveo dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui «Nel giudizio di appello, per la riforma della sentenza assolutoria, in assenza di elementi sopravvenuti, non basta una diversa valutazione del materiale probatorio acquisito in primo grado, che sia caratterizzata da pari plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo invece una forza persuasiva superiore, tale da far venir meno ogni ragionevole dubbio» (Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, P., Rv. 278056; Sez. 3, n. 6817 del 27/11/2014, dep. 2015, S. Rv. 262524; Sez. 1, n. 12273 del 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv.262261; Sez. 6, n. 45203 del 22/10/2013, COGNOME, Rv. 256869).
La Corte ha, infatti, – come si avrà modo di chiarire diffusamente in occasione della trattazione del secondo motivo del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO e del primo e terzo motivo del ricorso firma dell’AVV_NOTAIO – ha scrutiNOME adeguatamente le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia, facendosi carico di chiarire le ragioni per le quali ha ritenuto non condivisibile il giudizio di limitat valore di riscontro assegNOME a quelle di NOME COGNOME.
A ciò – osserva il Collegio – va aggiunto che le doglianze del ricorrente non tengono in alcuna considerazione la circostanza che, nel caso di specie, l’onere di rendere una motivazione puntuale e adeguata era certamente più agevole per il Giudice di secondo grado per avere questi valutato una piattaforma probatoria più ampia rispetto a quella a disposizione del giudice di primo grado. L’assoluzione in primo grado, infatti, era stata frutto di un’errata percezione del contributo dichiarativo di NOME COGNOME, che il Giudice per le indagini preliminari (p. 20 e 29 della sentenza di primo grado) aveva definito «parziale e poco circostanziato» a causa del fatto che i verbali di interrogatorio erano stati in gran parte “omissati”.
La sentenza di appello ha, invece, dato puntualmente atto (p. 26) della produzione da parte del AVV_NOTAIO ministero dei verbali privi degli originari omissis, ciò che le ha consentito una migliore contestualizzazione del narrato del collaboratore anche con riferimento all’agguato di COGNOME, compiuto unitamente a COGNOME, in occasione del quale gli furono fatte le confidenze da parte di quest’ultimo sull’omicidio COGNOME. Di tanto è conferma, inoltre, quanto esposto a p. 37 della sentenza, laddove il Giudice di appello ha chiarito che la discovery di tali atti d’indagine era avvenuta solo in sede di gravame.
Per tale via, la Corte territoriale ha fatto buon governo dei principi espressi in sede di legittimità in materia di standard motivazionale per il caso di overtuming sfavorevole, ascoltando i due collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni ha reputato “prove decisive” e fornendo una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto al Giudice di primo grado, con la cui motivazione (per vero, piuttosto sintetica sul punto) si è adeguatamente confrontata.
Le considerazioni che precedono introducono lo scrutinio del secondo motivo dell’atto di ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, nonché il primo e il terzo motivo del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, con i quali è lamentata – sia pure con varietà di sviluppo e di accenti – l’erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione, anche sub specie del travisamento della prova, assumendo violato il metodo di valutazione prescritto dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., in ragione della dedotta inaffidabilità soggettiva e oggettiva delle fonti dichiarative rappresentate dai due collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché di pretese insanabili incongruenze e antinomie dei relativi narrati, che impedirebbero, in base ai criteri epistemologici elaborati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, di integrarsi vicendevolmente e assurgere a dignità di prova.
3.1. Si tratta di motivi privi di pregio e di censure interamente versate in fatto. Rileva, infatti, il Collegio che, proprio ove scrutinata alla luce di tali criteri, sentenza in verifica resiste, viceversa, alle deduzioni sopra sintetizzate.
La sentenza, infatti, dovendo confrontarsi con il tema dell’apprezzamento istruttorio delle chiamate in reità di COGNOME (p. 20 e s.) e COGNOME (p.36 e s) laddove il primo, vittima dell’agguato unitamente a COGNOME, ha affermato di avere riconosciuto COGNOME nello sparatore e il secondo ha ricordato di avere ricevuto le confidenze di quest’ultimo allorquando erano in procinto di realizzare l’omicidio di COGNOME – ha correttamente richiamato i pertinenti criteri di valutazione, da quella giurisprudenza elaborati (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME) e ne ha fatto adeguata applicazione, esaminando esaustivamente i profili di credibilità e attendibilità intrinseca delle dichiarazioni, in base ai canoni di specificità, coerenza e costanza dei rispettivi contenuti, parimenti verificando i rapporti tra i dichiaranti e le rispettive fonti, la genesi autonoma e la convergenza delle chiamate, la loro indipendenza, intesa anche come esclusione di collusioni e accordi fraudolenti.
Segnatamente, quanto al narrato di COGNOME, la Corte – dopo averne riassunto il contenuto rilevante ai fini della risposta alle criticità ovvero incongruenze segnalate dalla difesa – si è in primo luogo occupata della circostanza, oggetto di plurime contestazioni da parte della difesa che egli, nell’immediatezza dei fatti,
non rivelò il nome del riconosciuto aggressore agli inquirenti e, al contempo, nel parlare con soggetti appartenenti al proprio nucleo familiare ovvero ad amici, indicò nomi di altri soggetti che sarebbero risultati estranei all’agguato.
Ebbene, il Giudice di appello ha – con motivazione non manifestamente illogica – osservato che la mancata indicazione del nome del killer agli inquirenti corrispondeva, come dallo stesso COGNOME chiarito, all’ossequio al proprio “codice di onore” e funzionale all’intenzione di provvedere personalmente all’eliminazione dell’avversario; scelta che aveva coerentemente abbandoNOME una volta presa la decisione di collaborare con la giustizia.
In tale ottica, dunque, la Corte territoriale ha reputato esaurienti le spiegazioni fornite da COGNOME in ordine al proprio complessivo comportamento di “depistaggio”, che gli aveva fatto indicare alla madre e a un soggetto di sesso maschile rimasto non identificato che si erano recati a trovarlo in ospedale il nome di tale NOME (che gli investigatori hanno ritenuto trattarsi di NOME COGNOME, cogNOME di NOME) quale responsabile dell’agguato, laddove al padre della vittima, NOME COGNOME, aveva riferito il diverso nome di NOME COGNOME (del pari appartenente al dan NOME), sebbene nessuno dei due soggetti avesse avuto alcun ruolo nell’omicidio per cui è processo. La Corte ha, invero, ritenuto che tali false indicazioni – come peraltro genuinamente affermato dal collaboratore s’inserissero nella logica della volontà di procedere ad una vendetta personale, senza il rischio del coinvolgimento, in tale proposito, di altri soggetti.
A tanto – osserva il Collegio – deve aggiungersi la considerazione che il soggetto di sesso maschile cui COGNOME indicò in NOME l’autore dell’omicidio, lungi dall’essere un “sodale” – come assertivamente affermato dal ricorrente – non fu mai identificato, sicché perde di qualsiasi rilievo l’osservazione difensiva tendente ad accreditare la correttezza di quella originaria indicazione e la conseguente natura calunniosa delle accuse nei riguardi di COGNOME.
La Corte territoriale ha, poi, attentamente vagliato la circostanza, immotivatamente enfatizzata dalla difesa nell’appello come nel ricorso per cassazione, che COGNOME, nell’immediatezza dei fatti, aveva menzioNOME la presenza di un secondo soggetto, avendo scorto un casco bianco dietro una siepe, e aveva fatto riferimento ad NOME COGNOME, detto “COGNOME“, osservando – con motivazione scevra da aporie razionali – che tale affermazione era collocabile nelle prime dichiarazioni dei collaboratore, animato dall’intenzione di rievocare ogni minimo dettaglio della dinamica omicidiaria di cui stava riferendo agli investigatori, salvo a non farne più cenno in seguito, consapevole del carattere neutro di quell’elemento, riguardo al quale neppure gli erano mai state rivolte domande.
Del pari COGNOME è stato reputato il chiarimento offerto in occasione di uno dei primi interrogatori, allorquando COGNOME aveva precisato che il nome di COGNOME gli era stato fatto dal cugino del padre, NOME COGNOME.
In definitiva, con motivazione priva di fratture logiche, il Giudice di appello ha ritenuto assolutamente COGNOME – anche avuto riguardo alla descrizione della dinamica dell’agguato – l’avvenuto riconoscimento da parte del collaboratore del soggetto autore dell’agguato, sicché ciascuna delle dedotte distonie ovvero criticità sul punto da parte della difesa costituiscono tentativi di incursione nel merito, non consentiti in questa sede.
Analoghe considerazioni, concernenti il soddisfacente standard motivazionale in punto di credibilità della chiamata in reità, valgono con riferimento alle dichiarazioni di NOME COGNOME, che il Giudice di appello ha ricordato far parte di un’articolazione del dan COGNOMECOGNOME contrapposto a quello facente capo a COGNOME, nonché amico fraterno di COGNOME, invece appartenente al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con il quale lo stesso collaboratore aveva avuto contatti, proprio in virtù di tale rapporto amicale.
La Corte di assise di appello ha, invero, valorizzato quanto già emerso in fase investigativa, come risulta dai verbali di collaborazione del 7 e del 12 febbraio, nonché dell’8 marzo 2019, ossia le confidenze ricevute da RAGIONE_SOCIALE in merito all’omicidio COGNOME, contestualizzando le rivelazioni di COGNOME in occasione dell’appostamento che li aveva visti insieme protagonisti ai fini dell’eliminazione di tale NOME COGNOME.
Dopo avere sintetizzato il contributo dichiarativo di COGNOME (p. 36 e 37), la Corte territoriale ha evidenziato come tali dichiarazioni fossero dotate di un elevato valore di credibilità, siccome provenienti da soggetto estraneo ai RAGIONE_SOCIALE di appartenenza tanto di COGNOME, quanto di COGNOME, ma al contempo profondo conoscitore delle dinamiche criminali dei due gruppi per il suo legame personale e criminale con altro gruppo mafioso e con lo stesso ricorrente, non mancando di rimarcare come COGNOME avesse, in altri processi, usufruito dell’attenuante della “dissociazione attuosa”, infine sottolineando la specificità e la ricchezza di particolari delle propalazioni rese nel procedimento che ci occupa, apprezzati durante l’esame incrociato.
La Corte territoriale si è fatta altresì carico di chiarire perché non cogliessero nel segno le critiche difensive al narrato del collaboratore riguardo la ritenuta distonia tra l’affermazione di COGNOME in ordine alla “riservatezza” di RAGIONE_SOCIALE, e quella secondo la quale quest’ultimo gli aveva riferito dell’omicidio di COGNOME. Sul punto, con motivazione non manifestamente illogica, la Corte ha rimarcato che il descritto riserbo che La COGNOME serbava, quale precauzione per evitare di esporsi a vendette della criminalità organizzata, ovvero alle reazioni di parenti delle vittime
o, ancora, all’esposizione a processi penali, furono superate in quell’occasione, sia per l’evidente intento di accreditarsi, agli occhi dell’amico, quale persona esperta in relazione all’imminente agguato che i due stavano per compiere insieme, sia in ragione del legame amicale risalente nel tempo tra loro esistente.
Infine, sempre con riferimento alle dichiarazioni di COGNOME, non è superfluo porre in risalto come il Giudice di appello abbia fatto corretta applicazione dell’insegnamento di questa Corte secondo cui non rientrano nella nozione della chiamata de auditu (e, dunque, non soggiacciono alle relative regole) le dichiarazioni del collaboratore di giustizia che riferisce confidenze autoaccusatorie ricevute dall’imputato. Nei processi di criminalità organizzata accade spesso – ed è accaduto anche in questo – che il chiamante in correità o in reità riferisca, legittimamente, confidenze ricevute da un imputato, non ostandovi il divieto di cui all’art. 62 cod. proc. pen., norma che, pur rubricata «divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato», si riferisce alle sole dichiarazioni rese in un contesto procedinnentale. In tale evenienza, il disposto dell’art. 195 cod. proc. pen. non impone l’escussione della fonte diretta (Sez. U n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, in motivazione paragrafo 9.1.), che, identificandosi con l’imputato, non può essere chiamata a rendere dichiarazioni in grado di pregiudicare la sua posizione (Sez. 5, n. 21562 del 3/02/2015, Rv. Fiorisi, 263705; Sez. 5, n. 29821 del 25/11/2014, Trovato, Rv. 265298) e che, ai sensi dell’art. 494 cod. proc. pen., ha sempre la facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, interloquendo sulle propalazioni della fonte indiretta che lo chiamino in causa al fine di controbatterle.
Sotto il profilo della consistenza probatoria, va ribadito – come esattamente argomentato dal Giudice di secondo grado – che le confidenze autoaccusatorie dell’imputato ad un collaboratore di giustizia, che ne abbia successivamente riferito nelle proprie dichiarazioni, hanno natura confessoria, di talché, una volta positivamente vagliata la “chiamata” ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., dispiegano piena efficacia probatoria, a condizione che se ne apprezzi la sincerità e la spontaneità, in modo da potersene escludere la riconducibilità a costrizioni esterne o a possibili intenti autocalunniatori (Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, Grande Aracri, Rv. 281603; Sez. 1 n. 18019 del 11/10/2017, dep. 2018, Calabria, Rv. 273301; Sez. 1, n. 9891 del 04/06/2019, dep. 2020, Campana, Rv. 278503).
Ciò che è avvenuto nel caso che ci occupa, perché i pretesi travisamenti dedotti in riferimento alla dichiarazioni di COGNOME vanni esclusi in quanto: a) la “stesa” realizzata in danno dell’abitazione di La COGNOME non era stata denunciata e nulla esclude che si sia verificata realmente; b) le lievi divergenze nella descrizione dell’azione operata dal collaboratore rispetto agli accertamenti del consulente
tecnico della difesa non compromettono il nucleo essenziale della rievocazione; e) il riscontro consistente nell’avvenuto attentato a COGNOME – che la difesa ritiene valevole per COGNOME, non anche per COGNOME – non priva di veridicità quanto riferito dal collaboratore, che non si prospetta come animato da intento calunniatorio o da altro plausibile motivo per il mendacio.
Quanto, poi, alla convergenza delle propalazioni dei due collaboratori di giustizia, la sentenza impugnata appare rispettosa dell’ulteriore principio di diritto, secondo cui le chiamate suddette devono riscontrarsi tra loro, in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum (Sez. 1, n. 34102 del 14/07/2015, COGNOME, Rv. 264368; Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262309) ed è legittima la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie, soprattutto quando i fatti narrati siano lontani nel tempo e si riferiscano appunto a episodi appresi indirettamente, in conseguenza delle rivelazioni dei loro protagonisti (Sez. 1, n. 41585 del 20/06/2017, Maggi, Rv. 271253), dovendo l’integrazione reciproca delle chiamate, e il riscontro mutuo che ne deriva, essere riferito al fatto reato nella sua unitarietà e non a singoli frammenti della condotta.
3.2. In tale contesto motivazionale, rileva il Collegio come le censure contenute nei due atti di ricorso siano meramente riproduttive di quelle già prospettate al Giudice di secondo grado e da questi adeguatamente vagliate e superate e che ciascuno dei dedotti travisamenti di prova in realtà costituisca il tentativo del ricorrente di ottenere una non consentita rivalutazione del materiale probatorio.
Sotto il primo profilo, va ricordato che è, invero, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (fra molte, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour Sami, Rv. 277710).
Quanto ai dedotti plurimi travisamenti di prova, è appena il caso di ricordare, che «In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova» (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME Welton, Rv. 283370).
Ebbene, nel caso che ci occupa la Corte di assise di appello ha riprodotto correttamente ciascun dato probatorio che la difesa assume travisato, fornendone una chiave di lettura affatto logica e coerente e, come tale, non censurabile in questa sede.
Rileva, in particolare, il Collegio che: i) i presunti travisamenti riguardanti l’epoca di frequentazione dell’imputato da parte di COGNOME si basano sulla estrapolazione di una sola frase dal verbale di interrogatorio e non tengono conto dell’intero contenuto informativo dell’atto; li) quelli concernenti la pretesa impossibilità per COGNOME di riconoscere il killer, trascurano di considerare la descrizione dell’azione come confermata dai dati di prova generica e dalla generale ricostruzione dei fatti e, comunque, le dedotte le contestazioni riguardano la valutazione del narrato piuttosto che la fedele considerazione dello stesso; iii) affatto generiche sono le deduzioni riguardanti l’incapacità, derivante dal deficit visivo dell’imputato, di realizzare l’azione omicidiaria; iv) le censure sull’errata indicazione, da parte di COGNOME, alla madre, al soggetto che gli fece visita in carcere, infine al padre di COGNOME della corretta identità del killer non riguardano autentici travisamenti della prova, ma la sua valutazione e la relativa giustificazione; v) anche le censure in ordine alla appartenenza di COGNOME al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non integrano veri e propri travisamenti di prova e, comunque, non tengono conto che anche i giudici di merito hanno fatto espresso riferimento alla continuità di COGNOME ha detto RAGIONE_SOCIALE e alla commissione di reati nel suo interesse; vi) infine il preteso interesse di COGNOME a calunniare COGNOME per ragioni di vendetta, è oggetto di prospettazione in fatto, preclusa nel giudizio di legittimità
3.3. Conclusivamente sul punto, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata, si sia posta nel solco dei richiamati principi in tema di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, verificando positivamente l’attendibilità intrinseca di costoro, evidenziando la genuinità dei relativi percorsi collaborativi ed escludendo- con una motivazione che viene criticata nei ricorsi in modo assertivo – intendimenti calunniatori e/o sentimenti di astio nei confronti dei chiamati in correità ovvero in reità.
È stato correttamente valorizzato che si tratta di soggetti accusatisi di reati gravissimi, i verbali delle cui dichiarazioni hanno consentito un adeguato apprezzamento delle ragioni della collaborazione, la cui affidabilità si è reputata avvalorata dalla comprovata militanza nel novero dei collaboratori ritenuti credibili in altri giudizi (p. 30 per COGNOME e p. 39 per COGNOME).
La Corte territoriale – lungi dal limitarsi a trasferire il giudizio di attendibili nei loro riguardi espresso in altri procedimenti – si è confrontata con tutte le deduzioni della difesa, ha attentamente scrutiNOME le censure da questa segnalate
al fine di testimoniare un deficit di attendibilità di COGNOME e COGNOME, che ha superato con motivazione di volta in volta non manifestamente illogica.
La sentenza impugnata ha, inoltre, individuato plurimi riscontri esterni basati sulla prova generica alle dichiarazioni dei dichiaranti, nonché quello individualizzante (p. 42) costituito dalla circostanza che NOME COGNOME spense il proprio telefono cellulare poco prima della consumazione dell’omicidio, per accenderlo ore dopo, quando si era trasferito a Somma Vesuviana e dalla sua accertata appartenenza al RAGIONE_SOCIALE, come da sentenza irrevocabile di condanna; ha puntualmente scrutiNOME i profili asseritamente critici evidenziati dalle difese, superandoli attraverso un’accurata analisi di tutte le risultanze di prova, facendo corretta applicazione del principio di diritto secondo cui «In tema di prova di delitti maturati nell’ambito d’organizzazione criminale di tipo mafioso, le eventuali smagliature e discrasie, anche di un certo rilievo, rilevabili nelle dichiarazioni accusatorie rese dai collaboratori di giustizia, sia al loro interno, sia nel confronto tra esse, non implicano, di per sé, il venir meno della loro affidabilità, quando, sulla base d’adeguata motivazione, risulti dimostrata la loro complessiva convergenza nei nuclei fondamentali» (Sez. 2, n. 25795 del 19/06/2012, COGNOME, Rv. 253418; Sez. 6, n. 6425 del 18/12/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246528 Sez. 1, n. 42990 del 18/09/2008, COGNOME, Rv. 241821), pervenendo – con motivazione congrua ed esaustiva – ad un giudizio di piena affidabilità dei due collaboratori che ha consentito di apprezzarne il prezioso contributo dichiarativo.
È stata, infine, a buon diritto, esclusa ogni questione di “circolarità della prova”, ciò in ragione della riconosciuta autonomia della fonte di conoscenza da parte dei due propalanti: come correttamente valorizzato dal Giudice di secondo grado, NOME COGNOME era egli stesso vittima designata dell’agguato, unitamente a COGNOME, e apparteneva al RAGIONE_SOCIALE COGNOME, gruppo avverso che l’imputato, appartenente al RAGIONE_SOCIALE COGNOME, intendeva colpire; NOME COGNOME, non appartenente a nessuno dei due gruppi, ma amico di COGNOME e comunque inserito nei circuiti criminali mafiosi, fornisce valido riscontro alle propalazioni di COGNOME e la diversità dell’acquisizione della notizia assicura quell’autonomia genetica idonea a scongiurare il rischio di “circolarità”, paventato dalle difese.
Il terzo motivo di ricorso dell’atto a forma dell’AVV_NOTAIO, che deduce censure analoghe a quelle di cui al quinto motivo dell’atto a forma dell’AVV_NOTAIO, è manifestamente infondato.
Com’è noto, l’omessa valutazione di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugNOME, non trattandosi d’ipotesi prevista dalla legge, ma può influire sulla congruità e
correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive che devono essere esaminate dal giudice cui vengono rivolte, a meno che contengano la mera ripetizione di difese già svolte o siano inconferenti rispetto all’oggetto del giudizio (Sez. 4, n. 18385 del 09/01/2018, COGNOME, Rv. 272739; Sez. 5, n. 51117 del 21/09/2017, COGNOME, Rv. 271600; Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. 29/01/2016, COGNOME, Rv. 267561; Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012, COGNOME, Rv. 252713; Sez. 1, n. 37531 del 07/10/2010, COGNOME, Rv. 248551).
Ebbene, trasponendo detto principio al caso di specie, va detto che il Giudice di appello ha fatto espresso riferimento (p. 27) alle critiche difensive contenute nella memoria versata in atti, sicché l’obbligo del giudice di motivare in ordine al contenuto delle memorie o deduzioni deve intendersi assolto quanto – come nel caso di specie – ne risulti testualmente avvenuto l’esame e sia desumibile, dal complessivo tenore del provvedimento, l’implicita esclusione della loro fondatezza.
5. Una volta superato positivamente – secondo le considerazioni appena svolte – il tema dell’attendibilità della prova costituita dalle dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia, osserva il Collegio che la sentenza di merito ha offerto una lettura approfondita delle risultanze processuali, dando conto in modo puntuale – con argomentazioni adeguate e coerenti, che non incorrono in vizi logici e che palesemente così si sottraggono a censure denunciabili in sede di legittimità (Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944) – delle ragioni, fattuali e giuridiche, che concretano l’aggravante di cui all’art. 416-bis 1. cod. pen.
5.1. Preliminarmente va detto che è motivo manifestamente infondato quello con cui il ricorrente, al quinto motivo dell’atto a firma dell’AVV_NOTAIO, ha eccepito l’inammissibilità per genericità dell’appello della Pubblica Accusa quanto alle contestate circostanze aggravanti che – giusta la tesi difensiva – si riverbererebbe sull’impossibilità della Corte di valutarne la sussistenza ex officio.
Deve, in proposito, ricordarsi che il principio devolutivo vale a definire l’ambito della cognizione del Giudice di appello con riguardo al capo della sentenza appellata, ma non a limitarne il potere di qualificare correttamente il fatto.
Si è, difatti, precisato che «L’appello del pubblico ministero avverso una pronuncia di assoluzione è ampiamente devolutivo, sicché il giudice di secondo grado ha la più ampia facoltà di accertamento circa la sussistenza del reato e può prendere in considerazione, anche senza specifica impugnazione del difensore, l’eventuale esistenza di circostanze attenuanti, in quanto ciò diventa conseguenziale al pronunziare la condanna in luogo dell’assoluzione o al ritenere
la configurabilità di un’ipotesi diversa, più grave di quella oggetto del giudizio di primo grado» (Sez. 3, n. 41713 del 19/06/2018, G., Rv. 274415; Sez. 1, n. 9427 del 26/09/2017, dep. 2018, T., Rv. 272486).
5.2. Ciò premesso, per quanto concerne l’aggravante di cui all’art. 416-bis 1. la sentenza impugnata (p. 42) ha fatto riferimento in primo luogo alla sicura riconducibilità dell’agguato alla finalità di agevolare l’associazione criminale del RAGIONE_SOCIALE, rimarcandone la matrice camorristica e la correlata logica di affermazione di primazia sul territorio, così pervenendo alla dimostrazione che il reato de quo è stato commesso al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e della consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio. Né vale, in senso contrario, rilevare – come ha fatto il ricorrente – l’esistenza di uno scopo di vendetta personale, poiché l’aggravante è pacificamente configurabile anche nel caso in cui l’agente persegua l’ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio dal fatto criminoso, purché ad esso si accompagni la consapevolezza di favorire l’interesse della cosca beneficiata (si veda, per tutte, Sez. 5, n. 11101 del 04/02/2015, Platania, Rv. 262713).
Corretta è, inoltre, l’affermata sussistenza dell’aggravante sub specie del “metodo mafioso”, laddove il Giudice di appello ha fatto riferimento alle modalità dell’azione, idonee in concreto ad evocare nei confronti dei consociati la forza intinnidatrice tipica dell’agire mafioso. La circostanza aggravante prevista dall’art. 7 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203, il cui contenuto è stato trasfuso nell’art. 416-bis.1 cod. pen. dall’art. 8, comma 1, d.lgs. 10 marzo 2018, n. 21, nella forma dell’aver commesso il fatto avvalendosi del cd. “metodo mafioso”, è invero configurabile nel caso di condotte che presentano un nesso eziologico immediato rispetto all’azione criminosa, in quanto logicamente funzionali alla più pronta e agevole perpetrazione del crimine, non essendo invece integrata dalla sola connotazione mafiosa dell’azione o dalla mera ostentazione, evidente e provocatoria, dei comportamenti di tale organizzazione (Sez. 1, n. 37621 del 14/07/2023, C., Rv. 285761; Sez. 1, n. 38770 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283637; Sez. 1, n. 26399 del 28/02/2018, Barba, Rv. 273365).
In tale cornice ermeneutica, la riconducibilità dell’agguato consumato ai danni di COGNOME (e COGNOME) all’interesse della consorteria è stata correttamente posta in relazione con la necessità, da parte del RAGIONE_SOCIALE COGNOME, di ribadire il proprio predominio sul territorio. Un complessivo movente, questo, che concreta anche l’ulteriore ragione di aggravamento della pena, previsto dalla citata norma e contestato nell’odierna imputazione, sotto il già citato profilo del “metodo mafioso”, posto che le continue “stese” poste reciprocamente in essere dagli appartenenti ai due gruppi contrapposti erano tutte condotte perpetrate con il
ricordato metodo, siccome volte a intimidire gli avversari al fine di ottenere il riconoscimento della supremazia della cosca di appartenenza.
Tali motivazioni, logicamente coerenti ed esenti da fratture razionali, resistono alle critiche a-specifiche e rivalutative contenute nell’ottavo e nono motivo dell’atto di ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO e nel settimo motivo dell’atto a firma dell’AVV_NOTAIO che devono, pertanto, essere rigettati.
5.3. Del pari infondato è l’ottavo motivo del ricorso a forma dell’AVV_NOTAIO, riguardante la circostanza attenuante della provocazione che il ricorrente collega all’asserito fatto ingiusto patito da RAGIONE_SOCIALE, siccome fatto oggetto di colpi d’arma da fuoco da parte di COGNOME e COGNOME.
La ricostruzione dell’agguato oggetto del presente giudizio, invero, esclude in radice la possibilità del riconoscimento dell’invocata attenuante, anche nella formula della provocazione “per accumulo”.
In tema di provocazione, deve ribadirsi che l’attenuante inerisce a una situazione iniziale di legittimità o, almeno, di non illiceità dell’offensore, confliggente con una opposta situazione di illiceità dell’offeso e qualificata da un intento reattivo a siffatta situazione di illiceità.
Ne consegue che l’attenuante non è applicabile a favore dell’autore di un delitto quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l’agente abbia reagito, sia stato determiNOME a sua volta da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di reciproche provocazioni. (Sez. 1, n. 21899 del 27/02/2024, COGNOME, Rv. 286420; Sez. 5, n. 42826 del 16/07/2014 P., Rv. 261037; Sez. 1, Sentenza n. 1285 del 24/10/1996, dep. 1997, Prestininzi, Rv. 206927).
In virtù del richiamato costante orientamento ermeneutico di questa Corte, l’accettazione di una sfida, come anche il portare una sfida, per la risoluzione di una contesa o per dare sfogo a un risentimento, impedisce l’applicazione della circostanza attenuante della provocazione, per la illiceità del comportamento di sfida (Sez. 1, n. 16123 del 12/04/2012, COGNOME, Rv. 253210; Sez. 1, n. 10406 del 18/01/2005, Cattina, Rv. 231097) e per avere contribuito, con tale atteggiamento, a cagionare quelle condotte che erano sfociate, prima, nel fatto ingiusto, da cui dovrebbe derivare la ragione di attenuazione della pena, e, poi, nel contestato delitto.
5.4. Manifestamente infondato, oltre che inammissibile per carenza d’interesse, è il settimo motivo del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, che lamenta l’esistenza di una contraddittorietà tra la parte motiva della sentenza dove si legge (p. 44) che è configurabile la «sola aggravante di avvantaggiare il RAGIONE_SOCIALE» e il dispositivo della stessa, nel quale si parla di
«assorbimento» dell’aggravante dei motivi futili di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen. in quella di cui all’art. 416-bis 1. cod. pen.
La Corte, invero, ha correttamente ritenuto che non vi fosse il quid pluris richiesto per il concorso delle due aggravanti, così facendo corretta applicazione del principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui «la circostanza aggravante di aver agito al fine di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso e quella dei motivi futili o abietti possono concorrere se quella comune, nei termini fattuali della contestazione e dell’accertamento giudiziale, risulta autonomamente caratterizzata da un quid pluris rispetto alla finalità di consolidamento del prestigio e del predominio sul territorio del gruppo malavitoso» (Sez. 1, n. 28594 del 27/04/2021, COGNOME, Rv. 281640 – 02).
5.5. E’, invece, fondata – come preannunciato – la censura, oggetto del sesto motivo di ricorso dell’atto a firma dell’AVV_NOTAIO e del sesto motivo dell’atto a firma dell’AVV_NOTAIO, in punto di ritenuta aggravante della premeditazione.
Fermo, nella giurisprudenza di questa Corte, è il principio (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 241575; Sez. 5, n. 42576 del 03/06/2015, COGNOME, Rv. 265149; Sez. 5, n. 34016 del 09/04/2013, F., Rv. 256528) secondo cui gli elementi costitutivi della premeditazione sono, da un lato, l’apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica), e dall’altro la ferma risoluzione criminosa, perdurante nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica).
In tale contesto, l’aggravante deve essere esclusa solo quando l’occasionalità del momento di consumazione del reato appaia preponderante, tale cioè da neutralizzare la sintomaticità della causale e della scelta del tempo, del luogo e dei mezzi di esecuzione del reato; mentre al suo riconoscimento non osta il fatto che il soggetto agente abbia condizioNOME l’attuazione del proposito criminoso alla mancata verificazione di un evento ad opera della vittima, allorché la fattispecie risolutiva si ponga come avvenimento preventivato, dal quale il reo faccia dipendere l’abbandono della già precisa e ferma risoluzione criminosa (Sez. 1, n. 19974 del 12/02/2013, Zuica, Rv. 256180; Sez. 1, n. 7766 del 30/01/2008, COGNOME, Rv. 239232; Sez. 1, n. 1079 del 27/11/2008, dep. 2009, Lancia, Rv. 242485).
Non è poi superfluo richiamare l’insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di omicidio volontario, l’agguato costituisce, in astratto, indice rivelatore della premeditazione, siccome sinonimo d’imboscata o insidia preordinata che postula un appostamento, protratto per un tempo più o meno lungo, in attesa
della vittima designata ed in presenza di mezzi e modalità tali da non consentire dubbi sul reale intendimento dell’insidia e che spetta al giudice di merito, ai fini della configurabilità dell’aggravante in questione, cogliere e apprezzare tutte le peculiarità della concreta fattispecie, accertando se i necessari requisiti, ideologico e cronologi, sussistano o siano, invece, l’uno o l’altro da escludere, come nel caso di avvistamento casuale della vittima o, comunque, di un agguato frutto di iniziativa estemporanea, sicché la risoluzione omicida non sia maturata attraverso lunga riflessione, con possibilità di recesso prima dell’attentato» (Sez. 5, n. 26406 del 11/03/2014, COGNOME, Rv. 260219).
Ebbene, ciò premesso in diritto, la sentenza impugnata ha del tutto omesso di chiarire le ragioni della ritenuta ricorrenza dei suddetti requisiti, trascurando in di prendere posizione sull’epoca dell’insorgenza del proposito criminoso e della deliberazione di darvi esecuzione, limitandosi a inserire l’agguato a COGNOME e COGNOME nell’ambito del «conflitto in corso tra il RAGIONE_SOCIALE COGNOME e quello dei COGNOME e della lunga scia di sangue che seguì alle azioni violente poste in essere dagli appartenenti alle due consorterie criminali», senza tuttavia enucleare elementi aventi il valore di chiari sintomi di radicamento e persistenza costante, per apprezzabile lasso di tempo, nella psiche dell’agente del proposito omicida.
S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata sul punto, per nuovo esame da parte del Giudice del rinvio che, libero negli esiti, sia ossequiante dei principi sin qui sunteggiati.
Il nono motivo dell’atto di ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO denunzia vizi motivazionali in tema di attenuanti generiche del tutto inesistenti.
Com’è noto, la concessione delle attenuanti generiche risponde a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato, ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Detta motivazione, in caso di diniego delle attenuanti in parola, può pertanto legittimamente ricavarsi, per implicito, dall’ordito motivazionale. Non è, infatti, censurabile, in sede di legittimità, la sentenza che non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando il suo rigetto risulti dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza.
Nel caso che ci occupa, la richiesta a-specifica, svolta con i motivi di appello, del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, deve ritenersi disattesa con motivazione implicita, certamente inferibile dalla parte della sentenza inerente alla ricostruzione del grave fatto di sangue (descritto come eseguito con professionalità e inserito nell’ambito di sanguinosi contrasti tra gruppi criminali
contrapposti), alla dosimetria della pena e alla particolare pregnanza attribuita alle circostanze aggravanti di cui all’art. 416-bis 1. cod. pen.
La sentenza dev’essere, pertanto, annullata limitatamente alla circostanza aggravante della premeditazione, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Napoli.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante della premeditazione con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Napoli.
Rigetta nel resto il ricorso.
Dichiara irrevocabile la sentenza impugnata quanto al giudizio di responsabilità.
Così deciso il 14 marzo
Il Consigliere estensore
Il Presidente