Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18987 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18987 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nato a RAGUSA il 26/07/1981
COGNOME nato a CORIGLIANO CALABRO il 07/01/1967
NOME nato a CORIGLIANO CALABRO il 09/11/1976
avverso la sentenza del 20/05/2024 della CORTE di APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo, quanto al ricorso del COGNOME, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1), cod. pen., e nel resto l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 20 maggio 2024 la Corte d’Appello di Milano confermava, per quel che qui interessa e salva la rideterminazione della pena nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, la sentenza emessa il 29 novembre 2023 dal Tribunale di Milano, con la quale gli imputati COGNOME
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NOME NOME NOME e COGNOME NOME erano stati dichiarati colpevoli del reato di estorsione aggravata in concorso.
Era stato, in particolare, contestato agli imputati di avere agito nell’interesse dell’impresa individuale “COGNOME NOME” (di fatto riconducibile all’imputato NOME NOME), con violenza e minaccia nei confronti dei fratelli COGNOME NOME e COGNOME NOME e dei figli di costoro, nonché dell’imprenditore COGNOME NOME, costringendo i COGNOME ad estromettere il COGNOME dai lavori di pompaggio del calcestruzzo nella cosiddetta “cava COGNOME” e ad assegnarli all’impresa individuale “COGNOME NOME“, nel contempo costringendo il Di COGNOME a rinunciare a talune offerte di lavoro nel medesimo contesto.
Avverso la detta sentenza proponevano ricorso per cassazione, con distinti atti, tutti e tre gli imputati, per il tramite dei rispettivi di chiedendone l’annullamento.
La difesa di COGNOME COGNOME articolava quattro motivi di doglianza.
3.1. Con il primo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale, travisamento e manifesta illogicità della motivazione con riferimento agli artt. 110 e 629, commi primo e secondo, cod. pen., in relazione all’affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di estorsione ascrittogli.
Quanto al fatto di avere riferito al coimputato COGNOME, datore di lavoro del COGNOME ed effettivo gestore dell’impresa individuale denominata “COGNOME Francesco”, informazioni in merito all’assegnazione da parte dei Ferrari di lavori a imprese concorrenti diverse da quella facente capo al COGNOME, evidenziava che, nel corso dei tre anni considerati nell’imputazione, soltanto in una occasione, il 28 agosto 2018, COGNOME aveva informato lo COGNOME del fatto che i Ferrari avevano assegnato al Di Maggio un lavoro originariamente commesso all’impresa individuale “COGNOME RAGIONE_SOCIALE“, e che, in tale occasione, il ricorrente si era limitato ad esprimere il proprio comprensibile disappunto per la decisione dei Ferrari, che era giunta inaspettata.
Con riferimento all’episodio occorso in data 14 gennaio 2019 assumeva che COGNOME, nel corso di una conversazione intercorsa con NOME Guido e fatta oggetto di captazione, il cui contenuto era stato travisato dai giudici di merito, aveva semplicemente contestato a COGNOME il mancato pagamento di alcuni lavori e le conseguenze che tale notizia avrebbe comportato se diffusa tra altre imprese del settore, precisando che, nel corso della precedente interlocuzione
avuta con il coimputato COGNOME nessuno dei due colloquianti aveva mai inteso estromettere COGNOME dai novero dei fornitori dell’impresa gestita dai Ferrari, circostanza che, peraltro, era stata esclusa dallo stesso COGNOME COGNOME in sede di esame testimoniale.
Riguardo, poi, all’aggressione subìta da quest’ultimo ad opera del ricorrente, la difesa assumeva che si era trattato di una lite contenuta al piano verbale e dovuta esclusivamente a ragioni di lavoro, del tutto avulse dalle logiche sottese ai fatti contestati, e in particolare al fatto che COGNOME aveva rimproverat COGNOME in relazione alle modalità del lavaggio di un’autopompa, circostanza che era stata riferita pure dai testimoni COGNOME NOME, COGNOME Guido e COGNOME NOME, quest’ultimo dipendente dei Ferrari.
3.2. Con il secondo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale, travisamento e manifesta illogicità della motivazione con riferimento agli artt. 110 e 629, commi primo e secondo, cod. pen. per avere la Corte territoriale ritenuto la responsabilità del ricorrente per il delitto di estorsion luogo di quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, assumendo al riguardo che nessuna condotta caratterizzata da violenza o minaccia era stata contestata al COGNOME come commessa in epoca anteriore al 14 gennaio 2019 e che, nel corso della conversazione intervenuta in tale data con uno dei fratelli COGNOME, il ricorrente aveva fatto riferimento a un diritto di credito, tutela davanti al giudice, vantato dall’impresa individuale “RAGIONE_SOCIALE“, senza mai pretendere dal proprio interlocutore l’assegnazione di nuovi lavori per conto della predetta impresa.
3.3. Con il terzo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale, travisamento e manifesta illogicità della motivazione con riferimento agli artt. 110 e 629, commi primo e secondo, cod. pen., per avere la Corte territoriale ritenuto la responsabilità del ricorrente per il delitto di estorsione consumata, in luogo di quello di estorsione tentata.
Assumeva in particolare che COGNOME, con la sentenza di primo grado, era stato assolto dal reato di estorsione in danno del COGNOME e ritenuto responsabile esclusivamente del reato di estorsione commesso in danno dei fratelli COGNOME
Evidenziava che nel corso della conversazione intercorsa il 7 marzo 2018 fra COGNOME COGNOME e il coimputato COGNOME quest’ultimo aveva chiesto al primo di revocare l’assegnazione di un lavoro a COGNOME e COGNOME si era mostrato in disaccordo con tale evenienza prospettatagli.
Assumeva inoltre, che nel corso di altra conversazione intercorsa in data 18 gennaio 2019 fra i coimputati COGNOME e COGNOME non erano emerse le ragioni per le quali COGNOME si era rifiutato di effettuare un lavoro per conto dei Ferrari, e osservava che l’ulteriore rifiuto ad effettuare il detto lavoro opposto da altra impresa interpellata era dipeso esclusivamente dal fatto che l’impresa dei COGNOME ritardava spesso nei pagamenti, così che doveva ritenersi mancante la prova del fatto che le condotte poste in essere dagli imputati avessero raggiunto l’effetto di estromettere COGNOME dalle commesse della società facente capo ai fratelli COGNOME in favore dell’impresa di COGNOME NOME, estromissione che costituiva l’evento del contestato delitto di estorsione.
3.4. Con il quarto motivo deduceva erronea applicazione della legge penale e motivazione apparente in relazione all’art. 628, terzo comma, n. 1), cod. pen. per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente la circostanza aggravante dell’avere agito in più persone riunite in mancanza dei presupposti di legge, assumendo in particolare che non erano stati individuati, neanche a livello di contestazione, specifici episodi caratterizzati dall’azione criminosa di COGNOME in presenza di altri soggetti, neppure specificamente indicati, ed evidenziando, in particolare, che in occasione dell’incontro con i fratelli COGNOME risalente al 1 gennaio 2019 COGNOME non era stato accompagnato da alcuno dei correi, essendo, nell’occorso, il coimputato COGNOME intento ad ascoltare da remoto, al telefono, la conversazione intercorsa fra COGNOME e i COGNOME.
La difesa di COGNOME Bruno articolava due motivi di doglianza.
4.1. Con il primo motivo deduceva violazione ed erronea applicazione della legge penale, inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza e vizio di motivazione in relazione agli artt. 393 e 629 cod. pen., 125 e 192 cod. proc. pen.
Assumeva che in ordine alla qualificazione del fatto nel delitto di estorsione, piuttosto che in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la Corte territoriale non si era confrontata con le emergenze processuali e aveva reso una lettura parcellizzata dei fatti, e in particolare: che l’arco di tempo all’intern del quale collocare le condotte contestate era più ristretto rispetto a quello indicato nell’imputazione; che i problemi tra l’impresa individuale “RAGIONE_SOCIALE” e la società riconducibile alla famiglia COGNOME erano sorti esclusivamente in ragione del mancato pagamento di alcuni lavori svolti dalla prima per conto della seconda; che le condotte poste in essere dal ricorrente
avevano avuto la finalità esclusiva di porre rimedio a una condotta truffaldina dei COGNOME; che, nel corso di una delle conversazioni intercettate, intercorsa fra i coimputati COGNOME e COGNOME, era emerso che Ferrari Guido era solito assegnare i lavori alla società di cui era titolare COGNOME Giovanni poiché con quest’ultima “andava in compensazione”, cioè a dire non doveva remunerarla, continuando a guadagnare e omettendo di pagare i debiti che aveva assunto nei confronti di COGNOME NOME; che la condotta minacciosa di COGNOME non era risalente a un periodo anteriore al sorgere del debito dei Ferrari, ciò che era dimostrato dal tenore alcune conversazioni telefoniche intercettate, risalenti al mese di gennaio 2019 e riportate per stralci nel ricorso; che, nonostante i comportamenti del ricorrente ritenuti di rilievo penale fossero stati collocati tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, soltanto il 24 maggio di quell’anno COGNOME aveva riferito a NOME che non avrebbe voluto più lavorare con lui fin tanto che fosse rimasto in atto il rapporto con l’impresa di Cofone.
4.2. Con il secondo motivo deduceva violazione ed erronea applicazione degli artt. 56 e 629 cod. pen., 125 e 192 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, assumendo che in ogni caso il delitto di estorsione era configurabile nella forma tentata, considerato che la parte offesa COGNOME, nonostante le minacce, aveva continuato a lavorare per conto della società riconducibile alla famiglia COGNOME e non vi era prova del fatto che lo stesso COGNOME avesse rinunciato a dei lavori, dovendosi anche porre mente al fatto che, nel periodo di interesse, anche altre imprese avevano lavorato per i Ferrari, ciò che emergeva da alcune delle testimonianze assunte.
La difesa di COGNOME NOME articolava un unico motivo di doglianza, con il quale deduceva carenza e manifesta illogicità di motivazione in relazione agli artt. 125, comma 3, 192, comma 2, e 546 cod. proc. pen. e con riferimento alla mancata valutazione delle argomentazioni dedotte con i motivi di appello.
Assumeva, in particolare, che la Corte territoriale aveva valorizzato alcune frasi tratte dalla conversazione intercettata del 17 gennaio 2019, intercorsa tra COGNOME e COGNOME, e altre estrapolate dalla testimonianza resa dal medesimo COGNOME, omettendo di valutare altri elementi, favorevoli al ricorrente, costituiti dai contenuti della conversazione intercettata due giorni dopo, il 19 gennaio 2019, e dalla testimonianza resa dallo stesso COGNOME, indicativi del fatto che l’incontro, avvenuto in precedenza, tra Curino e COGNOME era avvenuto non all’interno di un bar bensì presso una cava, incontro nel corso del
quale, peraltro, non era stata proferita alcuna minaccia, dovendosi anche considerare che COGNOME non aveva rinunciato a nessuna commessa nell’arco di tempo, pari a venti giorni circa, intercorso tra l’incontro con Curino presso la cava e la telefonata del 17 gennaio 2019, circostanze tutte che erano state rassegnate con l’atto di appello.
Contestava anche la lettura data dai giudici di merito alla suddetta conversazione fatta oggetto di captazione, secondo la quale la condotta di COGNOME non doveva essere qualificata quale autonoma estorsione bensì quale concorso nel delitto di estorsione posto in essere insieme agli altri correi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Si viene a trattare dapprima il ricorso presentato da COGNOME Rosario.
Il primo motivo è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
Con tale motivo la difesa contesta la ritenuta responsabilità del ricorrente e richiama alcune specifiche condotte dell’imputato poste dalla Corte d’Appello a fondamento dell’affermazione di responsabilità, dandone una lettura diversa rispetto a quella data dai giudici di secondo grado e avulsa dalle logiche sottese al reato contestato; ciò, con particolare riferimento al fatto che in data 28 agosto 2018, COGNOME aveva informato Sposato del fatto che i Ferrari avevano assegnato Di Maggio un lavoro originariamente commesso a Cofone, alla conversazione intercorsa in data 14 gennaio 2019 fra COGNOME e COGNOME nel corso della quale il primo aveva contestato al secondo il pagamento di alcuni lavori e rappresentato le conseguenza che tale comportamento avrebbe comportato nel mercato del lavoro in quel settore, e ancora all’episodio relativo alla lite occorsa tra i due in cantiere, anch’essa avulsa da contesti estorsivi e ingenerata da un contrasto occasionale concernente lavaggio di un’autopompa.
Si deve, innanzitutto, osservare che, nella fattispecie, si verte in ipotesi di cosiddetta “doppia conforme”, in quanto la sentenza di appello conferma pienamente le valutazioni espresse dal giudice di primo grado, così che la relativa motivazione è il risultato integrato delle decisioni dei due giudici d merito, risultando rispettati i seguenti parametri: 1) la sentenza di appello ripetutamente si richiama alla decisione del Tribunale; 2) entrambe le sentenze di merito adottano gli stessi criteri nella valutazione delle prove (cfr., Sez. 3, 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Tale circostanza rende particolarmente angusto l’ambito di accesso al controllo di legittimità, che ha ad oggetto la valutazione della sussistenza di una motivazione idonea a sorreggere la decisione di merito ed espressa in termini logici e aderenti agli elementi probatori acquisiti, senza salti logici contraddizioni.
Ciò premesso, ritiene il Collegio che la Corte territoriale abbia reso adeguata motivazione in ordine alla valutazione degli elementi probatori utilizzati ai fini dell’affermazione di responsabilità di COGNOME.
In particolare, ha ritenuto non condivisibili “le osservazioni avanzate dalle difese circa il fatto che non sarebbe stata indirizzata alcuna minaccia a Ferrari, perché COGNOME e COGNOME si sarebbero limitati a pretendere legittimamente i pagamenti di lavori, precedentemente svolti, e ad osservare come, una volta diffusasi la voce che la Cava non pagava i lavori, nessun’altra ditta avrebbe più accettato e commesse e i Ferrari non avrebbero saputo come portare avanti la loro attività” (v. pag. 11 della sentenza impugnata) e ha anche ritenuto non rispondente al vero “che le pretese avevano ad oggetto il saldo degli arretrati, mirando univocamente ad ottenere nuovi lavori” (id.).
Per confutare gli assunti difensivi, la Corte territoriale ha congruamente richiamato le dichiarazioni rese dalla parte offesa COGNOME COGNOME all’udienza del 7 giugno 2023, nel corso della quale il teste aveva affermato che le difficoltà dell’impresa nei pagamenti si erano manifestate soltanto per un periodo di tempo contenuto, di “un paio di mesi”, che aveva ricevuto “vere e proprie minacce, rivoltegli perché aveva deciso di estromettere COGNOME e i suoi soci dai lavori della cava, non per evitare di pagargli quanto doveva loro, ma perché non si comportavano correttamente e i clienti della cava non volevano avere a che fare con loro” (v. pag. 12 della sentenza impugnata), e ancora che le minacce erano iniziate quando aveva deciso di estromettere l’impresa gestita da COGNOME e provenivano soprattutto da quest’ultimo ma anche da COGNOME, dipendente di COGNOME, trattandosi in particolare di minacce verbali proferite ripetutamente nel tempo a partire dal mese di febbraio 2018 (quanto al tenore delle minacce v. pag. 13 della sentenza impugnata: “Ti prendo a sberle, non so cosa ti può succedere … Attento che non ti salta in arie quella betopompa là, che prende fuoco. Ci vuole niente che prende fuoco tutto l’impianto … Si devono cominciare a preoccupare tutti! Non mi devi parlare a me, lo sai bene … con chi cazzo hai a che fare! Va bene? … Lo devo prendere a pedate nel culo? Ma veramente? Lasciarlo morto in cava? Che devo fare?”).
Con particolare riferimento alla condotta di COGNOME, la Corte territoriale ha congruamente richiamato le conversazioni ritenute di interesse evidenziando che quando i COGNOME avevano assegnato i lavori all’imprenditore COGNOME piuttosto che al ricorrente, questi aveva sollecitato COGNOME ad intervenire affermando che “così diventa una pagliacciata” (pag. 14 della sentenza impugnata, che si riferisce a una conversazione intercorsa fra COGNOME e COGNOME in data 28 agosto 2018), evidenziando altresì che, in una occasione, COGNOME aveva proferito esplicite frasi minacciose all’indirizzo di NOME COGNOME, in particolare così esprimendosi, in data 14 gennaio 2019: “No, tu prima mi vieni incontro a me. E poi chiami gli altri. Perché sennò gli altri non viene nessuno. Te lo dico io”.
La Corte d’Appello ha, dunque, reso un motivazione immune da vizi, richiamando puntualmente le fonti di prova a carico di COGNOME e da esse traendo conseguenze del tutto logiche nel ritenere che le esplicite e reiterate minacce proferite dal ricorrente fossero finalizzate a ottenere da parte dei Ferrari l’assegnazione di lavori a discapito delle imprese concorrenti, in tal modo ottenendo un ingiusto profitto con conseguente danno per le suddette imprese, dal che, peraltro, emerge la corretta applicazione dell’art. 629 cod. pen.
Parimenti inammissibile, in quanto manifestamente infondato, è il secondo motivo, con il quale il ricorrente lamenta la mancata qualificazione del fatto nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Ed invero, la Corte territoriale ha reso sul punto una motivazione immune da vizi osservando che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa che aveva affermato che la condotta di COGNOME era stata posta in essere soltanto a partire dal gennaio 2019 e al solo fine di ottenere il pagamento dei lavori svolti, in realtà “già nel corso del 2018 COGNOME avvisava di volta in volta puntualmente Sposato quando i lavori venivano assegnati a COGNOME piuttosto che a lui, sollecitandolo ad intervenire nei confronti di NOME COGNOME (“così diventa una pagliacciata”)” (v. pag. 14 della sentenza impugnata, che contiene un puntuale riferimento alla già menzionata conversazione intercorsa fra COGNOME e COGNOME in data 28 agosto 2018).
Concludendo sul punto, la Corte territoriale ha congruamente osservato che la pretesa di COGNOME di ottenere nuovi lavori era esorbitante rispetto a “quanto gli spettava effettivamente e non poteva quindi integrare il reato di
esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, circostanza che consente di escludere la ricorrenza del diverso reato di cui si è chiesta la derubricazione.
Anche il terzo motivo, con il quale la difesa lamenta la mancata qualificazione del fatto nell’ipotesi di estorsione tentata, è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
La Corte territoriale ha, ancora una volta, reso una motivazione immune da vizi sul punto, osservando in maniera congrua che era emerso “che in diverse occasioni le condotte dei due imputati avevano sortito l’effetto di estromettere il COGNOME dai lavori presso la cava COGNOME“, richiamando puntualmente un episodio, occorso in data 7 marzo 2018, nel corso del quale “Sposato costringeva NOME COGNOME a revocare l’assegnazione di un lavoro assegnato a COGNOME, dicendo che altrimenti avrebbe litigato direttamente lui con NOME“, e richiamando altresì una conversazione intercorsa fra COGNOME e COGNOME in data 18 gennaio 2019, nel corso della quale quest’ultimo aveva informato il primo del fatto che COGNOME si era rivolto all’impresa di tale COGNOME NOME per alcuni lavori in quanto COGNOME NOME gli aveva comunicato di non essere più intenzionato a lavorare con lui, e che a sua volta COGNOME lo aveva chiamato per cedergli il lavoro in quanto “non voleva andarci di mezzo” (v. pag. 14 cit.).
Ha osservato congruamente la Corte d’Appello che tali episodi evidenziavano il fatto che COGNOME e COGNOME erano riusciti nell’intento di costringere i COGNOME a non assegnare i lavori ad altre ditte, ciò che costituiva l’evento del contestato delitto di estorsione consumata.
Diversamente, è fondato il quarto motivo, con il quale si contesta l’applicazione dell’aggravante dell’avere agito in più persone riunite.
Secondo il consolidato orientamento del Giudice di legittimità, condiviso da questo Collegio, nel reato di estorsione, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia (cfr., Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, COGNOME, Rv. 252518 – 01).
Orbene, la ricostruzione dei fatti risultante dalla sentenza impugnata consente di apprezzare che in nessuna delle occasioni nelle quale erano state proferite minacce le parti offese si erano trovate al cospetto di più di una persona.
Deve, pertanto, essere ritenuta sussistente la denunciata violazione di legge.
Osserva, ulteriormente, il Collegio che l’effetto estensivo dell’impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di ricorso per cassazione non esclusivamente personale, giova anche nei confronti del coimputato che ha proposto ricorso per motivi diversi da quelli accolti, con conseguente applicabilità della disciplina prevista dall’art. 627, comma quinto, cod. proc. pen. (v., in tal senso, Sez. 6, n. 46202 del 02/10/2013, Serio, Rv. 258155 01, che tratta di una fattispecie relativa ad annullamento con rinvio per vizio di motivazione sulla configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 416bis, comma sesto, cod. pen., disposto nei confronti del solo ricorrente che aveva dedotto il corrispondente motivo; Conf. N. 46203 del 2013, non mass.).
Applicando il sopra richiamato principio al caso di specie, osserva il Collegio che, nel caso di specie, il motivo di ricorso ha ad oggetto un’aggravante oggettiva e pertanto non può essere considerato un motivo esclusivamente personale, con la conseguenza che l’accoglimento dello stesso giova anche agli altri ricorrenti.
Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di COGNOME ma anche di COGNOME e di COGNOME i quali non hanno dedotto motivi relativi alla circostanza aggravante dell’avere agito in più persone riunite, limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 1, cod. pen., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Si viene a trattare, a questo punto, il ricorso presentato da NOME Bruno.
Il primo motivo è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile per le medesime ragioni illustrate in sede di trattazione del secondo motivo di ricorso presentato nell’interesse di COGNOME COGNOME
Il secondo motivo è manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile per le medesime ragioni illustrate in sede di trattazione del terzo motivo di ricorso presentato nell’interesse di COGNOME COGNOME
Si viene, infine, a trattare il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOMECOGNOME affidato a un unico motivo, che risulta manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile.
La Corte d’Appello, nell’argomentare la ritenuta responsabilità di COGNOME in ordine al reato di estorsione commesso in danno di COGNOME NOME, ha congruamente richiamato la conversazione, debitamente intercettata, intercorsa fra COGNOME e COGNOME in data 17 gennaio 2019, nel corso della quale il primo aveva lamentato il fatto di essere stato poco prima aggredito da COGNOME e aveva ricordato al ricorrente che in precedenza i due si erano incontrati alla presenza di un terzo soggetto mai identificato all’interno di un bar ove Curino e il soggetto rimasto sconosciuto gli avevano chiesto di lasciarli lavorare nella cava dei Ferrari “per rispetto” e lui aveva accettato, precisando che alla luce di tale aggressione il rispetto era finito (“il rispetto è finito. Mi avete parlato di rispetto, mi avete parlato di lasciarvi lavorare, io vi ho fatto lavorare, ma i rispetto è finito”; v. pag. 16 della sentenza impugnata).
La Corte territoriale ha anche richiamato la testimonianza resa sul punto dl COGNOME, il quale aveva affermato: “mi hanno chiesto di farli lavorare da Ferrari e ho detto per rispetto, per non avere problemi ho detto okay” (id.).
Ha affermato la difesa che il detto incontro non sarebbe avvenuto all’interno di un bar bensì di una cava, che nel corso di tale incontro non sarebbero state proferite minacce e che il Di Maggio, nel periodo intercorso tra il detto incontro e la telefonata al Curino, non avrebbe rinunciato a nessuna commessa.
Osserva il Collegio che la prima deduzione difensiva, relativa al luogo dell’incontro, risulta all’evidenza del tutto irrilevante ai fini del giudizi responsabilità effettuato dalla Corte d’Appello, e che le altre due deduzioni appaiono del tutto generiche, a fronte dello specifico richiamo effettuato nella sentenza impugnata al fatto che COGNOME aveva rinunciato a lavori presso la cava dei Ferrari per non avere problemi.
In proposito la Corte d’Appello ha, del tutto congruamente, osservato che nel corso dell’incontro i due interlocutori del COGNOME avevano esercitato una forte pressione nei suoi confronti, tanto da ottenere una sua rinuncia a commesse da parte dei Ferrari, e che il riferimento “al rispetto” era in realtà “evocativo di realtà ben più articolate e pericolose” e rivelava “la forza intimidatoria del messaggio trasmesso da Curino …” (v. pag. 17 della sentenza impugnata).
10. In ragione dei rilievi fin qui esposti la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME NOME NOME e COGNOME NOME
limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 628, terzo comma, n. 1, cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di
Appello di Milano; nel resto i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 628,
terzo comma, n. 1, cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Milano; dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Così deciso il 11/02/2025