Aggravante Persona Armata e Patteggiamento: La Cassazione Fa Chiarezza
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale all’intersezione tra reati di droga e possesso di armi: la corretta applicazione dell’aggravante persona armata. La pronuncia chiarisce la possibilità di contestare simultaneamente il reato di detenzione di arma clandestina e l’aggravante per il reato di spaccio, senza che ciò configuri una duplicazione di sanzione. Questo caso offre anche importanti spunti sui limiti dell’impugnazione delle sentenze di patteggiamento.
I Fatti del Caso: Droga e un’Arma Clandestina
Il caso ha origine dal controllo di un individuo a bordo del suo veicolo. Le forze dell’ordine rinvenivano una quantità di cocaina suddivisa in involucri termosaldati. Un’ulteriore perquisizione personale portava alla scoperta di un’altra cospicua quantità della stessa sostanza, occultata negli indumenti intimi.
Le operazioni proseguivano con una perquisizione domiciliare, durante la quale venivano sequestrati non solo un quantitativo di droga sufficiente per centinaia di dosi, ma anche una pistola semiautomatica con relativo munizionamento. L’arma presentava il numero di matricola abraso, qualificandola come “arma clandestina” ai sensi di legge.
Di conseguenza, all’imputato venivano contestati due distinti reati: la detenzione di sostanze stupefacenti, aggravata dall’essere il fatto commesso da persona armata, e la detenzione dell’arma clandestina.
Il Patteggiamento e il Ricorso in Cassazione
L’imputato sceglieva la via del patteggiamento, accordandosi con la Procura per la pena da applicare, che veniva poi ratificata dal Tribunale. Tuttavia, successivamente, la difesa decideva di impugnare la sentenza di patteggiamento davanti alla Corte di Cassazione.
L’unico motivo di ricorso si basava sulla presunta erroneità della decisione del Tribunale di avallare un accordo che includeva sia l’aggravante persona armata per il reato di droga, sia il reato autonomo di detenzione di arma. Secondo la difesa, tale impostazione avrebbe portato a una “doppia incriminazione” per la medesima condotta, ovvero il possesso della pistola, chiedendo quindi l’esclusione della circostanza aggravante.
La Decisione della Suprema Corte e l’Aggravante Persona Armata
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi distinti ma collegati.
In primo luogo, la Corte ha ribadito i rigidi limiti imposti dalla legge per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, consente il ricorso solo per motivi specifici, tra cui l’erronea qualificazione giuridica del fatto. Tuttavia, la giurisprudenza ha costantemente chiarito che tale motivo è valido solo in caso di “errore manifesto”, ovvero un errore palese, indiscutibile e immediatamente riconoscibile dalla lettura degli atti, cosa che non sussisteva nel caso di specie.
In secondo luogo, e nel merito della questione, la Corte ha escluso categoricamente la sussistenza di una duplicazione di incriminazione. L’aggravante persona armata e il reato di detenzione di arma clandestina tutelano beni giuridici diversi e puniscono condotte differenti.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte è chiara: non c’è sovrapposizione tra le due fattispecie. L’aggravante prevista dall’art. 80 del Testo Unico Stupefacenti si applica per la semplice coincidenza temporale e spaziale tra la detenzione della droga e la disponibilità di un’arma. La sua ratio è quella di sanzionare più severamente la maggiore pericolosità sociale di chi opera nel mercato degli stupefacenti essendo anche armato.
Il reato di detenzione di arma clandestina, invece, punisce un fatto diverso: il possesso di un’arma il cui numero di matricola è stato alterato, a prescindere dal contesto in cui viene trovata. Questo reato protegge l’interesse dello Stato a mantenere il controllo sulla circolazione delle armi e a garantirne la tracciabilità.
Pertanto, le due contestazioni possono legittimamente coesistere. L’una aggrava la pena per il reato di droga, l’altra punisce un reato autonomo e distinto. La scelta delle parti di includere entrambe nell’accordo di patteggiamento non costituisce un errore giuridico, men che meno un “errore manifesto” tale da giustificare un ricorso in Cassazione.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida due principi fondamentali. Primo, il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è uno strumento eccezionale, non una terza istanza di giudizio, e i motivi di doglianza devono rientrare nel perimetro ristretto delineato dalla legge. Secondo, la detenzione di un’arma durante la commissione di un reato di spaccio può comportare un doppio addebito: uno per il possesso dell’arma stessa e uno, in forma di aggravante, per l’aumentata pericolosità della condotta legata agli stupefacenti. Questa decisione ha implicazioni significative per la strategia processuale, ricordando che gli accordi di patteggiamento, una volta ratificati, sono difficilmente attaccabili se non per vizi evidenti e macroscopici.
È possibile essere condannati sia per detenzione di un’arma clandestina sia per spaccio di droga con l’aggravante di essere una persona armata?
Sì, la Corte di Cassazione ha chiarito che non vi è duplicazione di incriminazione. Le due contestazioni sono distinte: una punisce il possesso dell’arma illegale in sé, l’altra sanziona più gravemente il reato di spaccio perché commesso da una persona armata, a causa della maggiore pericolosità.
Quali sono i limiti per impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, il ricorso è limitato a motivi specifici, tra cui l’erronea qualificazione giuridica del fatto, ma solo se si tratta di un “errore manifesto”, cioè palese e indiscutibile.
Cosa si intende per “errore manifesto” nella qualificazione giuridica del fatto?
Si tratta di un errore che risulta con immediata evidenza e senza margini di dubbio dal capo di imputazione, apparendo come una qualificazione palesemente eccentrica rispetto ai fatti contestati. Non basta un’interpretazione diversa o opinabile della norma.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19265 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19265 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 03/06/1988
avverso la sentenza del 20/01/2025 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza del Tribunale di Roma con la quale gli è stata applicata la pena richiesta ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen. in relazione ai reati di cui agli artt. 73, c bis e 80 co. 1 lett. d) d.P.R. 209/1990 e 23, co. 3, L. 110/1975.
COGNOME era colto nella flagranza della detenzione all’interno del veicolo sul quale veniva controllato di sette involucri termosaldati contenenti sostanza stupefacente del tipo cocaina del peso di 3,56 grammi e sulla sua persona altri 19,90 grammi della stessa sostanza occultati negli slip. In occasione della perquisizione domiciliare che seguiva era rinvenuta altra sostanza stupefacente dello stesso tipo dalla quale erano ricavabili 668 dosi medie singole nonché una pistola Beretta calibro 6,35 munita di 53 cartucce. Al Belli erano contestati, dunque, il reato di detenzione di stupefacente aggravato dall’aver commesso il fatto quale persona armata perché in possesso dell’arma nonché della detenzione dell’arma clandestina in quanto avente numero di matricola abraso.
Avverso la sentenza è stato proposto ricorso affidato ad un unico motivo con il quale la difesa si duole che il Tribunale abbia ratificato la proposta di patteggia mento per mezzo della quale le parti avevano prospettato la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80 lett. d) d.P.R. 309/1990 rilevando che “melius re perpensa detta prospettazione e la scelta tribunalizia di avallarla pedissequamente si sono rivelate infelici” poiché le contestazioni oggetto dell’accordo postulavano la doppia incriminazione di una stessa unica condotta, il che avrebbe dovuto condurre all’esclusione della circostanza aggravante.
Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivo non proponibile in sede di legittimità.
Con riferimento all’unico motivo di ricorso proposto dall’imputato, va premesso che, trattandosi di sentenza che ha ratificato l’accordo proposto successivamente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 50, legge n. 103 del 2017, trova applicazione il comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen. che limita il ricorso per Cassazione avverso la sentenza di patteggiamento ai soli -casi in esso previsti («motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correl zione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto all’illegalità della pena o della misura di sicurezza»).
In particolare, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-
bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, sicché è inammissibile l’impugnazione che denunci, in modo aspecifico e non autosufficiente, una violazione di legge non immediatamente evincibile dal tenore dei capi di imputazione e dalla motivazione della sentenza (Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, NOME, Rv. 283023).
Nel caso di specie, peraltro, la Corte ha precisato, con congrui richiami giurisprudenziali che la circostanza contestata opera per effetto del rapporto di coincidenza temporale e di luogo tra la detenzione della droga e quello dell’arma in capo alla stessa persona, “senza che ciò determini una duplicazione di incriminazione della medesima condotta rispetto al delitto contestato al capo b) dell’imputazione”, ossia la detenzione dell’arma clandestina, in quanto con matricola abrasa.
Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile “senza formalità” ai sensi del disposto dell’art. 610, co. 5, cod. proc. pen. con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non sussistendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende per ciascuno.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ee-vaxsafFrelategdella somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 13 maggio 2025
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