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Aggravante odio razziale: quando si configura?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per minaccia aggravata, confermando che l’aggravante odio razziale si configura non solo quando si intende incitare all’odio, ma anche quando l’azione si fonda su un manifesto pregiudizio di inferiorità razziale. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Aggravante Odio Razziale: La Cassazione Chiarisce i Limiti dell’Applicabilità

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi per l’applicazione dell’aggravante odio razziale nel contesto del reato di minaccia. Con questa decisione, i giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, confermando che la finalità di discriminazione non richiede necessariamente l’intento di suscitare odio in terzi, ma può basarsi anche sulla manifestazione di un pregiudizio di inferiorità. Analizziamo nel dettaglio la vicenda.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di minaccia aggravata, confermata sia in primo grado dal Tribunale di Velletri sia in appello dalla Corte di Appello di Roma. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando specificamente l’applicazione dell’aggravante legata alla finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso.

L’argomento centrale della difesa era che la sua condotta non fosse finalizzata a diffondere un sentimento di odio verso l’esterno, ma si fosse limitata a una minaccia individuale. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, rigettandolo.

L’Applicazione dell’Aggravante Odio Razziale

La Corte Suprema ha colto l’occasione per riaffermare i criteri interpretativi consolidati in materia di aggravante odio razziale. Citando precedenti sentenze, i giudici hanno spiegato che tale circostanza è configurabile in due scenari principali:

1. Quando l’azione è intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno un sentimento di odio e a suscitare in altri lo stesso sentimento, creando un pericolo concreto di comportamenti discriminatori.
2. Quando l’azione, nell’accezione comune, si ricollega a un manifesto pregiudizio di inferiorità di una razza rispetto ad altre.

Questa seconda ipotesi è cruciale: non è necessario che l’agente voglia ‘fare proselitismo’ o istigare altri all’odio. È sufficiente che la sua condotta sia motivata e permeata da un pregiudizio razzista, manifestando la convinzione che la vittima, a causa della sua appartenenza etnica o razziale, sia un essere umano di rango inferiore.

La Decisione della Corte di Cassazione

Sulla base di questi principi, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La condotta dell’imputato è stata ritenuta rientrare pienamente nel perimetro dell’aggravante contestata. Di conseguenza, la condanna è diventata definitiva.

Oltre a confermare la decisione di merito, la declaratoria di inammissibilità ha comportato due conseguenze economiche per il ricorrente, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale:

– La condanna al pagamento delle spese processuali.
– La condanna al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. I giudici hanno sottolineato che il ricorso non presentava argomenti validi per mettere in discussione tale interpretazione. L’aggravante odio razziale non tutela solo l’ordine pubblico da manifestazioni di odio collettivo, ma anche la dignità della singola persona, colpita da un reato che si fonda sulla negazione del principio di uguaglianza. La minaccia, in questo caso, non era solo un’intimidazione fine a se stessa, ma un atto che veicolava un messaggio di disprezzo e superiorità razziale, rendendo la condotta più grave e meritevole di una sanzione più aspra.

Conclusioni

Questa ordinanza conferma la linea dura della giurisprudenza contro i reati motivati da discriminazione. Il messaggio è chiaro: qualsiasi reato commesso con la finalità di odio etnico, razziale o religioso sarà punito più severamente. Non è necessario dimostrare un intento di diffondere l’odio; è sufficiente che l’azione sia espressione di un pregiudizio radicato. La decisione rappresenta un importante presidio a tutela della dignità umana e del principio di non discriminazione, ribadendo che il sistema penale non tollera condotte ispirate da ideologie di superiorità razziale.

Quando si applica l’aggravante della finalità di discriminazione o di odio razziale?
L’aggravante si applica non solo quando l’azione è diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri un sentimento di odio, ma anche quando si rapporta a un manifesto pregiudizio di inferiorità di una sola razza.

È necessario che l’azione miri a suscitare odio in altre persone perché si configuri l’aggravante?
No, non è necessario. Secondo la Corte, l’aggravante è configurabile anche quando l’azione, pur non avendo lo scopo di istigare terzi, è fondata su un manifesto pregiudizio di inferiorità razziale o etnica.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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