Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 4336 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 4336 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GENOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/04/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Mi · ero, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO che ha conckchiedendo udito il dif sore
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 12 aprile 2023, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Genova a carico di NOME per il reato di tentato furto aggravato e possesso di arnesi idonei allo scasso.
Era contestato all’imputato di avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di oggetti (un borsello ed una sacca contenente effetti personali) custoditi all’interno del vano sottosella di un motociclo, previ forzatura della chiusura del sellino (capo A della imputazione); era altresì contestato il possesso di strumenti atti ad aprire o forzare serrature (capo B della imputazione).
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, deducendo quanto segue.
Nullità della sentenza per violazione degli artt. 441, 441-bis e 533, comma 2, cod. proc. pen.; violazione del principio di corrispondenza tra imputazione e sentenza laddove il capo di imputazione risulta mancante della contestazione della circostanza aggravante speciale della “esposizione alla pubblica fede” (art. 625, comma 1, n. 7, cod. pen.).
La sentenza impugnata risulterebbe viziata nella parte in cui ha dichiarato la penale responsabilità dell’imputato in ordine ad un fatto parzialmente diverso da quello che ha formato oggetto di contestazione.
Entrambe le sentenze di merito, infatti, hanno ritenuto sussistente l’aggravante del furto commesso su cose esposte per necessità o consuetudine alla pubblica fede, nonostante l’aggravante non fosse stata contestata neppure in fatto dal P.M.
Il vizio denunciato sarebbe evincibile dalla motivazione della sentenza di primo grado, in cui, nella parte motiva, il giudice ha affermato la sussistenza e la piena prova della ricorrenza della predetta aggravante, concedendo le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulle aggravanti di cui ai numeri 2 e 7 dell’art. 625 cod. pen.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui venga ritenuta un’aggravante mai contestata dal pubblico ministero ricorre un’ipotesi di nullità assoluta della sentenza, non suscettibile di sanatoria.
Il vizio è infatti compreso tra le ipotesi di nullità assolu concernenti “l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale” di cui agli artt. 178, comma 1, lett. b) e 179 cod. proc. pen. (in questi termini Sez. V, sentenza del 19/01/2021 n.11.412, dove si è enunciato il seguente principio di diritto: “la sentenza di condanna pronunziata riconoscendo una circostanza aggravante mai contestata, neppure in fatto, costituendo violazione di disposizioni concernenti l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale, è, nella parte relativa a tale statuizione, affetta da nullità assoluta, come tale insanabile e rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del procedimento”). Inoltre, il presente giudizio è stato celebrato nelle forme del giudizio abbreviato “secco”; pertanto, la contestazione di una nuova circostanza aggravante doveva ritenersi ipso facto preclusa, non operando per tale rito speciale la disposizione di cui all’art. 423 cod. proc. pen.
Sulla base di quanto precede, la Corte di Cassazione sarebbe tenuta a dichiarare la parziale nullità della sentenza, con adozione di ogni conseguente provvedimento diretto ad escludere la circostanza aggravante di cui all’art. 625, n. 7 c.p. ed a ridurre la pena inflit all’imputato.
II) Inosservanza degli artt. 20-bis cod. pen., 545-bis cod. proc. pen. e legge 689/81.
La difesa si duole dell’inosservanza e della manc:ata applicazione della nuova disciplina sanzionatoria delle “pene sostitutive delle pene detentive brevi” regolata dagli artt. 20-bis cod. pen. e 545-bis cod. proc. pen., così come introdotta in seguito alla entrata in vigore del d.lgs 10 ottobre 2022, n. 150, c.d. “Riforma Cartabia”.
Il nuovo modello sanzionatorio, regolato dall’art. 545-bis cod. proc. pen. sarebbe stato concepito per essere applicato su iniziativa officiosa del giudice della cognizione. Invero, il giudice, all’esito del camera di consiglio, subito dopo la lettura del dispositivo di sentenza, quando ravvisa in astratto la sussistenza dei presupposti per l’applicazione di una pena sostitutiva ex art. 20-bis cod. pen., è tenuto ad avvisare l’imputato al fine di acquisire il suo eventuale consenso all’applicazion delle sanzioni sostitutive.
Nel caso in esame, nonostante vi fossero tutti i presupposti per l’applicazione dell’istituto, la Corte territoriale ha omesso di procedere ex art. 545-bis cod.proc. pen. ad avvisare l’imputato della possibilità di applicazione di una pena sostitutiva.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
La censura riguardante la mancata contestazione dell’aggravante di cui all’art. 625, comma 1, n.7 cod. pen. è priva di pregio.
Deve ritenersi che l’aggravante della esposizione alla pubblica fede sia stata contestata in fatto, essendo il motoveicolo oggetto dell’azione predatoria parcheggiato sulla pubblica via. In proposito i giudici di merito, nel ripercorrere la vicenda, hanno rammentato come il ricorrente fosse stato sorpreso dagli operanti di polizia, nel corso di un controllo su strada, nell’atto di impossessarsi degli oggetti contenuti nel sellino della motocicletta della vittima che si trovava parcheggiata sulla pubblica via.
Secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della verifica del rispetto del principio di correlazione tra accusa e sentenza, «si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all’indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia descritto in modo puntuale, la mancata od erronea individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell’esercizio del diritto di difesa» (cfr. Sez. 1, n. 30141 del 05/04/2019, Poltrone, Rv. 276602; Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013, COGNOME, Rv. 255772).
Avuto riguardo al tenore dell’imputazione, in cui compare il riferimento alla circostanza che il tentativo di furto avesse riguardato un motoveicolo, deve ritenersi che vi siano sufficienti elementi per consentire la desumibilità dell’aggravante dalla parte descrittiva della rubrica.
Quanto alla possibilità che si sia verificata una compressione delle facoltà difensive, le risultanze d’indagine, ben note alla difesa, ponevano questi in condizione di esercitare ogni sua prerogativa in relazione al profilo che occupa.
Al riguardo non è superfluo aggiungere che la difesa, nel dolersi per la prima volta innanzi alla Corte di Cassazione del riconoscimento dell’aggravante asseritamente non contestata, nulla ha rappresentato in ordine alle facoltà difensive che, nel corso del processo, gli sarebbero state precluse.
Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso. La questione, nei termini prospettati nel ricorso, è stata già affrontata in questa sede e risolta nel senso che, ove il difensore , nelle conclusioni o con richiesta formulata subito dopo la lettura del dispositivo, non abbia sollecitato l’esercizio, da parte del giudice, dei poteri di sostituzione delle pene detentive di cui all’art. 545-bis cod. proc. pen. non può, in sede di impugnazione, dolersi del fatto che non gli sia stato dato l’avviso previsto dal comma 1 di tale disposizione (cfr. Sez. 2, n. 43848 del 29/09/2023, Rv. 285412 – 02:”In tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, il difensore che, nelle conclusioni o con richiesta formulata
subito dopo la lettura del dispositivo, non abbia sollecitato l’esercizio, da parte del giudice, dei poteri di sostituzione delle pene detentive di cui all’art. 545-bi cod. proc. pen. non può, in sede di impugnazione, dolersi del fatto che non gli sia stato dato l’avviso previsto dal comma 1 di tale disposizione”).
Consegue alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila in favore della. Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/6/2000).
P.Q.III.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
In Roma, così deciso il 9 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente