Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15811 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15811 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposto da
1. COGNOME NOME, nato a Riposto il 16/08/1957 2. COGNOME NOME, nato a Riposto il 26/04/1961 avverso la sentenza del 19/06/2024 della Corte di appello di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata; udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; udito il difensore di NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Catania ha riformato la sentenza del Tribunale di Catania del 10 maggio 2021 che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di falso materiale in atto pubblico commesso da privato – per avere essi,
in concorso tra loro, in data antecedente e prossima al 30 novembre 2011, formato una falsa comunicazione del provvedimento di annullamento di iscrizione a ruolo emesso dall’INPS di Catania – e li aveva condannati alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore della persona offesa RAGIONE_SOCIALE costituitasi parte civile.
In particolare, la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione, mantenendo ferme le statuizioni civili.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME ciascuno di essi con un autonomo atto di impugnazione ed a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendone l’annullamento ed articolando NOME COGNOME tre motivi e NOME COGNOME due.
2.1. Con il primo motivo entrambi i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 597, comma 3, cod. proc. pen. per avere la Corte territoriale, dopo avere riqualificato il fatto oggetto di contestazione in termini più gravi rispetto quanto ritenuto dal Tribunale, escluso che il reato si fosse prescritto prima della pronuncia di primo grado, confermando, quindi, le statuizioni civili ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen.
Il Tribunale aveva, infatti, affermato la penale responsabilità degli imputati per il reato di cui agli artt. 476 e 482 cod. pen., mentre la Corte di merito h ritenuto che sussistesse il reato di cui agli artt. 476, secondo comma, e 482 cod. pen.
Il capo di imputazione, però, non faceva alcun riferimento all’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 476 cod. pen. e comunque la riqualificazione in peius è avvenuta senza alcuna previa instaurazione del contraddittorio sul punto, in violazione dell’art. 6 CEDU. In ogni caso la riqualificazione in peius non era possibile laddove essa comportava un allungamento del termine di prescrizione.
Dovendo essere ripristinata l’originaria qualificazione giuridica, il reato doveva ritenersi prescritto già in data 18 febbraio 2021, prima della pronuncia della sentenza di primo grado e, di conseguenza, anche le statuizioni civili della sentenza di primo grado dovevano essere revocate.
2.2. Con il secondo motivo entrambi i ricorrenti segnalano che la riqualificazione giuridica del fatto è stata attuata dalla Corte di merito senz fornire sul punto alcuna motivazione.
2.3. NOME COGNOME con il suo secondo motivo deduce anche che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere inattendibile NOME COGNOME laddove la stessa ha affermato che il documento era stato consegnato a fine marzo del 2011 e che pertanto, dovendo il termine di prescrizione decorrere da questa data, esso risultava maturato prima della sentenza di primo grado, con
conseguente revoca delle statuizioni civili.
2.4. NOME COGNOME con il suo terzo motivo si duole della mancanza di motivazione del rigetto del motivo di appello volto a contestare l’affermazione della propria penale responsabilità per il fatto ascrittogli.
La Corte di appello ha confermato le statuizioni civili della sentenza di primo grado senza dare risposta al secondo motivo di appello volto ad ottenere il proscioglimento dall’imputazione. L’intervenuta prescrizione del reato non esonerava la Corte di merito dal dare risposta al secondo motivo ai fini della decisione in ordine agli effetti civili della condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di entrambi i ricorsi è fondato per quanto di seguito esposto.
Deve innanzitutto osservarsi che le Sezioni Unite hanno ormai da alcuni anni affermato, in tema di reato di falso in atto pubblico, che non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice, la fattispecie aggravata di cui all’art. 476, secondo comma, cod. pen., qualora nel capo d’imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell’atto, o direttamente, o mediante l’impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l’indicazione della relativa norma (Sez. U, n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436 – 01, che in applicazione di detto principio ha escluso che la mera indicazione dell’atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, si sufficiente a tal fine in quanto l’attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione).
Da tale pronuncia si ricava in primo luogo che il secondo comma dell’art. 476 cod. pen. non prevede una autonoma ipotesi di reato, ma costituisce circostanza aggravante del reato previsto dal primo comma e, in secondo luogo, che, poiché detta aggravante ha una componente valutativa, essa non può ritenersi contestata in fatto sulla base della mera indicazione dell’atto che si assume essere stato falsificato.
Deve, allora, rilevarsi che, nel caso di specie, nel capo di imputazione contenuto nel decreto di citazione diretta a giudizio non si menziona il secondo comma dell’art. 476 cod. pen. e neppure si fa riferimento alla natura fidefaciente dell’atto oggetto di materiale falsificazione; il capo di imputazione si limita a affermare che l’atto falsificato è un atto pubblico.
Applicando i principi sopra esposti, deve concludersi che l’aggravante sopra citata non sia stata affatto contestata e, dall’esame della motivazione della sentenza di primo grado, essa neppure è stata ritenuta dal Tribunale, che non
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motiva su di essa e neppure applica il relativo aumento di pena; pur non essendo state applicate le circostanze attenuanti generiche, la pena viene fissata in un anno e sei mesi di reclusione, mentre la pena minima per il delitto di falso materiale di atto pubblico fidefaciente commesso da privato è pari ad anni due di reclusione. Del resto, laddove la aggravante fosse stata contestata, neppure sarebbe stato possibile per il Pubblico ministero citare direttamente a giudizio i due imputati, atteso che la pena edittale di anni sei e mesi otto di reclusione per l’ipotesi aggravata avrebbe imposto la celebrazione dell’udienza preliminare.
Deve, quindi, osservarsi che la Corte di merito, onde giungere all’affermazione che il reato non era prescritto in primo grado, ha applicato un’aggravante mai contestata.
Questa Corte di cassazione ha affermato che la sentenza di condanna pronunziata riconoscendo una circostanza aggravante mai contestata, neppure in fatto, costituendo violazione di disposizioni concernenti l’iniziativa del pubblic ministero nell’esercizio dell’azione penale, è, nella parte relativa a tal statuizione, affetta da nullità assoluta, come tale insanabile e rilevabile da giudice in ogni stato e grado del procedimento (Sez. 5, n. 11412 del 19/01/2021, COGNOME, Rv. 280748 – 01) e tale principio risulta applicabile anche laddove sia stata applicata un’aggravante non contestata per farne discendere la posticipazione degli effetti estintivi del reato ad un momento successivo alla sentenza di primo grado e quindi non revocare, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen., le statuizioni civili.
Le ragioni addotte dai ricorrenti risulterebbero infondate, atteso che non rientra nell’ambito della disciplina di cui all’art. 597, terzo comma, cod. proc pen. la previsione della possibile diversità del termine di prescrizione del reato, conseguente alla diversa e più grave qualificazione giuridica del fatto contestato operata nella sentenza di appello rispetto a quella data dal giudice di primo grado, poiché il divieto di reformatio in peius riguarda il solo trattamento sanzionatorio, in senso stretto, stabilito in concreto dal giudice (Sez. 2, n. 23410 del 01/07/2020, Ndiaye, Rv. 279772; Sez. 6, n. 32710 del 16/07/2014, Schepis, Rv. 260663).
Tuttavia, come si è già sopra esposto, nel caso di specie ricorre non una riqualificazione giuridica del fatto, ma l’applicazione di un’aggravante mai contestata con conseguente nullità assoluta, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità.
Dovendo escludersi l’aggravante sopra descritta, la pena edittale risulta pari ad anni quattro di reclusione, mentre il termine massimo di prescrizione è pari ad anni sette e mesi sei.
Facendo decorrere tale termine dal 30 novembre 2011, il termine massimo
sarebbe maturato il 30 maggio 2019. Occorre, tuttavia, aggiungere i periodi in cui il termine di prescrizione è rimasto sospeso, per complessivi n. 403 giorni,
cosicché il termine di prescrizione è scaduto il 6 luglio 2020, ben prima della sentenza di primo grado pronunciata in data 24 giugno 2021.
Ne deriva che la Corte di appello ha errato nel non affermare che il reato si era prescritto già nel corso del giudizio di primo grado e nel non revocare le
statuizioni civili.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere annullata senza rinvio limitatamente alle statuizioni civili che devono essere eliminate. Gli altri motivi d
ricorso restano assorbiti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, che elimina.
Così deciso il 20/03/2025.