Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31855 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31855 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CARDITO l’ 11/02/1965
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 28/11/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata del 28 novembre 2024, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione del Tribunale di Napoli Nord in data 14 settembre 2020, con la quale NOME COGNOME è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di furto di energia elettrica, aggravato ai sensi dell’art. 625, nn. cod. pen.
Avverso la sentenza indicata ha proposto ricorso l’imputato, con atto a firma del difensore, Avvocato NOME COGNOME affidando le proprie censure ad un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. co proc. pen., con il quale deduce la mancanza della condizione di procedibilità.
Evidenzia, al riguardo, come l’aggravante dell’aver commesso il fatto su cose destinate a pubblico servizio di cui all’art. 625, n. 7 cod. pen. non sia stat specificamente contestata e sia, comunque, insussistente, vertendosi in ipotesi di utilizzo privato, senza impatto diretto sul funzionamento di un servizio collettivo.
Con requisitoria scritta del 5 luglio 2025, il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione, NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per difetto di querela.
Premesso che, in tema di giudizio di legittimità, è ammissibile il ricorso che pone, con unico motivo, la questione della improcedibilità per difetto di querela di un reato per il quale tale forma di procedibilità sia stata introdotta successivamente alla sentenza impugnata (Sez. 5, n. 11929 del 26/02/2025, B., Rv. 287768 – 01), va, in primis, rilevato come la prospettazione del ricorrente non sia condivisibile, in diritto, poiché articola le proprie doglianze sia deducendo un deficit di contestazione, che invece non sussiste, sia argomentando sulla configurabilità dell’aggravante dell’aver commesso il fatto su cose destinate a pubblico servizio di cui all’art. 625, n. 7 cod. pen. in termini non fondati sotto il profilo della violazione di legge denunciata.
1.1. Ed invero, quanto al primo profilo, dalla lettura del capo d’imputazione si evince chiaramente che all’imputato è stato contestato il furto di energia elettrica, aggravato anche ai sensi dell’art. 625, n. 7, in quanto res destinata a servizio elettrico pubblico, in tal modo enunciandosi, con evidenza, il profilo aggravatore del fatto, in linea con quanto richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. U. n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436 – 01).
Con specifico riferimento alle aggravanti nelle quali, in luogo dei fatti material o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa include componenti valutative, risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative quantitative, le Sezioni Unite hanno osservato come dette connotazioni sono ritenute o meno ricorrenti nei singoli casi in base ad una valutazione compiuta in primo luogo dal pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, e di seguito sottoposta alla verifica del giudizio: «ove il risultato di questa valutazione non sia esplicitato nell’imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle connotazioni di cui sopra, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale. Né può esigersi dall’imputato, pur assistito da una difesa tecnica, l’individuazione dell’esito qualificativo che connota l’ipotesi aggravata in base ad un autonomo compimento del percorso valutativo dell’autorità giudiziaria sulla base dei dati di fatto contestati, trattandosi per l’appu di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse. La necessità dell’enunciazione in forma chiara e precisa del contenuto dell’imputazione, prevista dalla legge processuale, impone che la scelta operata dalla pubblica accusa fra tali possibili conclusioni sia portata a conoscenza della difesa; non potendosi pertanto ravvisare una valida contestazione della circostanza aggravante nella mera prospettazione in fatto degli elementi materiali della relativa fattispecie» (Sez. U. n. 24906 del 2019, cit.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.2. Ebbene, l’imputazione all’odierno vaglio soddisfa siffatti requisiti poiché contiene tanto il riferimento testuale all’articolo di legge relativo alla pred aggravante, che l’esplicita enunciazione della destinazione al pubblico servizio dell’energia sottratta. Igalt Quanto al secondo aspetto, va qui ribadito come la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7), cod. pen., configurata dall’essere i beni oggetto di sottrazione destinati a pubblico servizio – che ha natura valutativa, poiché impone una verifica di ordine giuridico sulla natura della “res”, sulla sua specifica destinazione e sul concetto di pubblico servizio, la cui nozione è variabile in quanto condizionata dalle mutevoli scelte del legislatore – è da ritenersi adeguatamente contestata ove venga addebitata una condotta di furto posta in
essere mediante allaccio diretto alla rete di distribuzione dell’ente gestore, la quale garantisce l’erogazione di un “servizio” destinato a raggiungere le utenze terminali di un numero indeterminato di persone, per soddisfare un’esigenza di rilevanza “pubblica” (ex multis Sez. 5, n. 14890 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286291 – 01).
1.3. A fronte di una incolpazione circostanziale siffatta, che enuclea specificamente, dal punto di vista descrittivo, i tratti identitari dell’aggravant parola, consentendo chiaramente all’imputato di difendersi dall’addebito, non si pongono – nel caso al vaglio – questioni sul punto della determinatezza del capo d’imputazione (Sez. 5, n. 9611 del 26/02/2025, COGNOME, Rv. 287743 – 01; N.14890 del 2024 Rv. 286291 – 01, N. 35873 del 2024 Rv. 286943 – 01, N. 34061 del 2024 Rv. 286937 – 01, N. 4767 del 2025 Rv. 287615 – 01, N. 37142 del 2024 Rv. 287060 – 01, che hanno delineato i requisiti della contestazione dell’aggravante di cui all’art. 625, n.7 cod. pen.).
Né si pone, conseguentemente, il tema della necessità di una contestazione suppletiva che presuppone, all’evidenza, un deficit genetico nell’esercizio dell’azione penale, rimediabile nel corso del giudizio (Sez. 5, n. 21003 del 10/03/2025, COGNOME Rv. 288196 – 01; nello stesso senso N. 14710 del 2024 Rv. 286124 – 01 Rv. 286124 – 01, N. 14890 del 2024 Rv. 286291 – 01 Rv. 286291 – 02, N. 15098 del 2024 Rv. 286108 – 01, N. 43255 del 2023 Rv. 285216 – 01, N. 14700 del 2024 Rv. 286123 1, N. 47769 del 2023 Rv. 285421 – 01, N. 48347 del 2023 Rv. 285682 – 01, N. 17455 del 2024 Rv. 286344 – 01 Rv. 286344 -01, N. 4767 del 2025 Rv. 2876152, N. 17532 del 2024 Rv. 286448 – 01 Rv. 86448 – 01, N. 50258 del 2023 Rv. 285471 – 01 Rv. 285471 – 01, che hanno affermato come, in tema di reati divenuti procedibili a querela, ove sia decorso il termine di cui alli art. 85 dal d.lgs. 10 otto 2022, n. 150 senza che la stessa sia stata proposta, al pubblico ministero è consentita la contestazione di un’aggravante che renda il reato procedibile d’ufficio anche nel caso in cui l’improcedibilità si sia virtualmente prodotta).
In altri termini, nel caso in esame si è al cospetto di una situazione processuale opposta ai casi affrontati nei precedenti richiamati, nel senso che l’aggravante è stata ritualmente contestata ed alla stregua della originaria contestazione la Corte d’appello ha ritenuto la procedibilità ex officio del reato.
La prospettazione del ricorrente è, pertanto, da un lato non condivisibile; dall’altro eccentrica rispetto al tema qui devoluto.
Nondimeno, la questione relativa alla procedibilità del reato di furto è stata posta, interpella questa Corte sull’esercizio delle prerogative di cui all’art. 129 cod proc. pen. ed è fondata.
2.1. I termini impropri, con i quali la questione è stata dedotta nel testuale riferimento al difetto di contestazione, sono, invero, conseguenza della ritenuta sussistenza, nella decisione della Corte d’appello, della condanna dell’imputato per il delitto di furto aggravato anche dalla circostanza in parola nella sentenza di primo grado.
Come premesso, all’imputato erano state originariamente contestate le aggravanti di cui all’art. 625, n. 2, nella duplice ipotesi ivi prevista, e n. 7, cod. Dalla lettura della sentenza di primo grado si evince, tuttavia, che:
-il giudice ha ritenuto sussistente solo l’aggravante della violenza sulle cose, omettendo invece di addebitare all’imputato l’ulteriore aggravante dell’esposizione a pubblico servizio o a pubblica utilità;
-solo l’aggravante di cui all’art. 625, n. 2 è stata dedotta nel giudizio d comparazione con le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti.
Deve, quindi, ritenersi che – stante il vuoto motivazionale sul punto – la mancata confluenza dell’aggravante dell’esposizione a pubblico servizio o a pubblica utilità nella complessiva ed unitaria valutazione delle circostanze eterogenee costituisca indizio ulteriore del fatto che la circostanza aggravante in parola non sia stata riconosciuta.
Ne discende, allora, che l’aggravante prevista al n. 7 dell’art. 625 cod. pen., sebbene ritualmente contestata, non è stata applicata, non ha prodotto effetti sul trattamento sanzionatorio e di essa non si può tener conto ai fini della procedibilità del reato.
2.2. Come ribadito dal Supremo consesso di questa Corte, invero, di una circostanza aggravante contestata, ma esclusa dal giudice, non si può tener conto ad ogni effetto (V. Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275319 – 01).
Con la sentenza n. 31669 del 23/06/2016, Filosofi, Rv. 267044, le Sezioni unite hanno esaminato la questione relativa alla individuazione del corretto significato del verbo “applicare” in riferimento alle circostanze del reato.
Richiamando quanto già evidenziato da altra e più risalente pronuncia delle stesse Sezioni unite, si è osservato che la circostanza aggravante deve ritenersi, oltre che riconosciuta, anche applicata, non solo quando esplica il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando produca, nel bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti di cui all’art. 69 cod. pen., un altro degli effe che le sono propri, cioè quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena da irrogare.
Già Sez. U, n. 17 del 18/06/1991, COGNOME, Rv. 187856 avevano, difatti, chiarito come «una norma va considerata applicata allorquando essa venga concretamente ed effettivamente utilizzata in senso funzionale ai suoi scopi, facendole esercitare uno qualsiasi degli effetti che le sono propri e da essa dipendano con nesso di causalità giuridica necessaria, in modo che senza di essa non possono derivare quegli effetti che il giudice riconosce nel farne uso. Salvo, quindi, i casi in cui vi sia specifica se indiretta – esclusione di taluno di quegli effetti, una norma deve essere ritenuta come applicata non solo quando da essa si facciano conseguire gli effetti tipici o primari, ma anche allorquando ne derivi uno qualsiasi di tali effetti, pure se secondari o collaterali, ma che trovano comunque matrice nella norma. Non sul piano meramente teorico bensì effettivamente incidendo sulla specifica realtà giuridica. Ne consegue che una circostanza aggravante deve essere ritenuta, oltre che riconosciuta, anche come applicata, non solo allorquando nella realtà giuridica di un processo viene attivato il suo effetto tipico di aggravamento della pena, ma anche quando se ne tragga – ai sensi dell’art. 69 c.p. – un altro degli effetti che le so propri e cioè quello di paralizzare un’attenuante, impedendo a questa di svolgere la sua funzione di concreto alleviamento della pena irroganda per il reato. Invece, non è da ritenere applicata solo allorquando, ancorchè riconosciuta la ricorrenza dei suoi estremi di fatto e di diritto, essa non manifesti concretamente alcuno degli effetti che le sono propri a cagione della prevalenza attribuita all’attenuante la quale non si limita a paralizzarla, ma la sopraffà in modo che sul piano dell’afflittività sanzionatori l’aggravante risulta tamquam non esset».
2.3. È quanto si è verificato nel caso in esame.
Il giudice di primo grado ha escluso tanto dal corpo della motivazione in diritto, che sul versante del trattamento sanzionatorio, l’aggravante – ritualmente contestata – di cui all’art. 625, n.7 cod. pen. che, pertanto, non ha dispiegato alcun effetto.
E siffatta statuizione non è stata impugnata dal pubblico ministero, sicchè la valutazione resa nella sentenza impugnata sul punto è stata assunta in violazione della preclusione derivante dal giudicato.
Trova, allora, applicazione il principio – che va in questa sede riaffermato per cui, in assenza di impugnazione da parte del pubblico ministero, il giudice di secondo grado non può ritenere una circostanza aggravante in precedenza esclusa, atteso che tale facoltà non rientra nel potere d’ufficio della corte di appello, previs dall’art. 597, comma 3, cod. proc. pen., di attribuire al fatto una diversa e più grav definizione giuridica (Sez. 5, n. 31996 del 27/03/2019, COGNOME Rv. 277249 – 01 in fattispecie in tema di furto, in cui è stata annullata la sentenza che aveva riconosciuto le circostanze aggravanti di cui all’art. 625, nn. 2 e 7 cod
pen., escluse dal tribunale, avendo la corte deciso su un punto che, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, non era stato devoluto alla sua cognizione e sul quale si era ormai prodotta una preclusione).
2.4. A tanto consegue che, in difetto di querela, il delitto di furt circostanziato ai sensi dell’art. 625 n. 2 cod. pen., è, per effetto della modifi introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 e ormai decorso il termine previsto dall’art. 85 d.lgs. citato senza che sia stata proposta l’istanza di punizione im procedi bile.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata senza rinvio per difetto di querela.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché l’azione penale non può essere proseguita per difetto della condizione di procedibilità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 settembre 2025