Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 45593 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 45593 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME COGNOME nato in Albania il giorno 17/7/1988 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
NOME COGNOME nato a Roma il giorno 16/1/1981 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
avverso la sentenza in data 7/11/2023 della Corte di Appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che è stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che, riportandosi alla requisitoria scritta già depositata, ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità di entrambi i ricorsi;
udito il difensore dell’imputato COGNOME avv. NOME COGNOME in sostituzione del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 7 novembre 2023 la Corte di Appello di Bari, in parziale riforma della sentenza del 16 novembre 2022 del Tribunale di Trani nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME ha:
previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche rideterminato la pena inflitta al COGNOME;
previo riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui ai capi A e B della rubrica delle imputazioni, rideterminato la pena inflitta al COGNOME;
revocato nei confronti del COGNOME la pena accessoria dell’interdizione legale e sostituito la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici con quella temporanea per la durata di anni 5;
confermato nel resto l’affermazione della penale responsabilità di entrambi gli imputati in relazione al reato di concorso in estorsione continuata tentata e consumata (artt. 110, 629, e 110, 56, 629 cod. pen.) aggravata ex art. 416-bis.1 cod. pen. (capo A della rubrica delle imputazioni), nonché del solo Gishti in relazione al reato di violazione della legge sulle armi aggravata (artt. 2, 4 e 7 I. 895/1967 e 416-bis.1 cod. pen.) (capo B della rubrica delle imputazioni).
In estrema sintesi si contesta ad entrambi gli imputati al capo A di avere costretto mediante minaccia di ritorsioni NOME COGNOME, titolare di un’impresa funebre, a corrispondere loro una somma di denaro non quantificata nonché di aver compiuto, sempre mediante minacce, atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere tale “NOME il biondo” (non meglio identificato) a corrispondere loro la somma di 3.000,00 euro.
Oltre alla già menzionata aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. al solo COGNOME era stata contestata anche la circostanza aggravante di cui all’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 159/2011 per avere commesso il delitto di cui al capo A durante il periodo in cui era sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale applicatagli il 10 ottobre 2003 e rispristina 1’11 marzo 2029 fino al giugno 2019, circostanza aggravante peraltro esclusa già nella sentenza del Tribunale.
Ricorrono per Cassazione avverso la predetta sentenza i difensori degli imputati, deducendo:
2.1. per Gishti:
2.1.1. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione al motivo di gravame con il quale si censurava il mancato riconoscimento all’imputato della diminuente speciale di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen.
Osserva la difesa del ricorrente che la Corte territoriale ha ritenuto rilevanti per l’affermazione della penale responsabilità del coimputato COGNOME
dichiarazioni del collaborante COGNOME ritenute pienamente attendibili e confortate dagli esiti delle intercettazioni. Il COGNOME, come affermato dai Giudici di merito, co le proprie dichiarazioni avrebbe ampliato il quadro probatorio inchiodando il complice alle proprie responsabilità.
Ciononostante, la Corte territoriale, con una motivazione asseritamente contraddittorie ed illogica, avrebbe negato all’odierno ricorrente il riconoscimento della invocata diminuente speciale di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen.
2.1.2. Vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione al mancato riconoscimento all’imputato della diminuente speciale di cui all’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen. anche se non nella sua massima estensione.
Osserva, al riguardo, parte ricorrente come non appare corretto che la Corte territoriale abbia parificato, anche attraverso il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ad entrambi gli imputati, il trattamento sanzionatorio del Gishiti a quello del COGNOME non tenendo conto del fatto che il primo è un collaboratore di giustizia.
2.2. per Lomolino:
2.2.1. Annullamento della sentenza impugnata in relazione agli episodi del 25.3.2019 e 11.4.2019 di cui al capo A della rubrica delle imputazioni per violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in rapporto agli artt. 629 cod. pen. e 125 e 546 cod. proc. pen.
Sulle premesse che il Tribunale di Trani ha assolto entrambi gli imputati con la formula “perché il fatto non sussiste” dall’ulteriore episodio estorsivo originariamente contestato al capo A come consumato in data 27.3.2019, e che gli elementi probatori sui quali è stata fondata la decisione di condanna sono costituiti da una serie di conversazioni intercettate a bordo dell’autovettura in uso agli imputati stessi nonché dalle dichiarazioni auto ed etero-accusatorie del Gishiti, osserva la difesa del ricorrente che se è vero che il COGNOME ed il coimputato chiesero a NOME COGNOME una somma di 3.000,00 euro ricevendo poi dallo stesso solo la consegna di 1.000,00 euro ed a “NOME biondo” la somma di 3.000,00 euro senza poi ricevere nulla e che se è altrettanto vero che la caratura criminale di entrambi gli imputati era nota nella città ove avvennero i fatti, tuttavia la fama criminale di uno o più soggetti non può essere valorizzata sino al punto di qualificare come estorsiva ogni richiesta proveniente da quei soggetti. Ciò in quanto per ritenere che ci si trova in presenza di una c.d. “estorsione ambientale” è necessario che il soggetto agente, anche mediante un linguaggio o gesti criptici, abbia assunto un atteggiamento idoneo ad incutere timore ed a coartare la volontà della vittima, situazione che nel caso in esame non si sarebbe concretizzata tanto è vero che nella situazione in esame gli imputati chiesero i soldi non a titolo di “tassa” ma a titolo di “prestito”, non con prepotenza ma con le buone maniere.
A ciò si aggiunge che il COGNOME ha dichiarato di essere un caro amico del fratello del COGNOME ed il COGNOME ha confermato tale circostanza con la conseguenza che la consegna della somma di 1.000,00 euro agli imputati era fondata su rapporti di altra natura intercorrenti tra le parti.
Rileva, ancora, parte ricorrente, che quanto a “NOME il biondo” è emerso che lo stesso era in procinto di chiudere la propria attività commerciale ed aveva litigato con la propria moglie con la conseguenza che il fatto che egli scoppiò a piangere in occasione dell’incontro avuto con il COGNOME era dovuto esclusivamente a problemi personali dello stesso e non alla richiesta di denaro a lui rivolta.
2.2.2. Annullamento della sentenza impugnata in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. di cui al capo A della rubrica delle imputazioni per violazione di legge e vizi di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. in rapporto agli artt. 125 e 546 cod. proc. pen.
Rileva al riguardo la difesa del ricorrente che hanno errato i Giudici di merito laddove hanno ritenuto che gli imputati nel compiere le azioni di cui al capo A della rubrica delle imputazioni hanno in qualche modo evocato la loro appartenenza o vicinanza all’associazione di tipo mafioso denominata “clan COGNOME–COGNOME“. Sul punto vi sarebbe, comunque, una carenza di motivazione della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Appare, innanzitutto, doveroso premettere che l’imputato COGNOME è confesso in relazione ai fatti-reato allo stesso addebitati (ivi compresa la detenzione della pistola di cui al capo B della rubrica delle imputazioni) e che neppure la difesa del ricorrente COGNOME contesta l’oggettiva esistenza dei fatti di cui al capo A della rubrica delle imputazioni con riguardo alle richieste di consegna di somme di denaro alle persone offese COGNOME e “NOME il biondo”, richiesta poi esaudita dal solo Pappalettera in misura inferiore a quella originaria.
Manifestamente infondati sono i due motivi di ricorso formulati nell’interesse dell’imputato COGNOME che, stante la loro interconnessione, impongono una trattazione congiunta.
Come è noto il terzo comma dell’art. 416-bis.1 cod. pen. disciplina una circostanza attenuante ad effetto speciale che, nella parte qui di interesse, si realizza allorquando l’imputato «dissociandosi dagli altri, si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti».
I Giudici di merito con motivazione congrua, logica e non contraddittoria hanno evidenziato come nel caso in esame difetta la decisività e la concretezza dell’apporto fornito dal COGNOME che ha reso dichiarazioni solo in un momento successivo e solo in termini di mero riscontro rispetto ad elementi probatori già acquisiti ed hanno comunque reputato che detta condotta processuale poteva comunque ben essere valorizzata attraverso il riconoscimento allo stesso delle circostanze attenuanti generiche.
Osserva, ancora, l’odierno Collegio che quella operata dalla Corte di appello è una valutazione di merito – come tale insindacabile in sede di legittimità – che risulta comunque conforme al dettato normativo (già art. 8 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203 ora art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen.) ed ai principi dettati in materia da questa Corte di legittimità (ex ceteris: Sez. 1, n. 52513 del 14/06/2018, L., Rv. 274190).
E’ poi di tutta evidenza che nel momento in cui detta circostanza attenuante non è stata ritenuta configurabile ciò rende ex sé superata la questione dell’eventuale incidenza della stessa sul trattamento sanzionatorio di cui al motivo di ricorso di cui al superiore par. 2.1.2.
Sul punto deve essere, ancora, evidenziato che in ogni caso la Corte di appello ha dimostrato di aver tenuto conto dell’atteggiamento collaborativo del COGNOME atteso che, nonostante quest’ultimo fosse chiamato e rispondere di più fatti delittuosi, lo stesso ha avuto un trattamento sanzionatorio complessivo inferiore rispetto a quello riservato al coimputato COGNOME.
Manifestamente infondato è anche il primo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME
Sia il Tribunale che la Corte di appello, con due sentenze in c.d. “doppia conforme” e che quindi si integrano dal punto di vista della motivazione, hanno adeguatamente ricostruito i fatti e, per quanto qui maggiormente interessa, il (non contestato) ruolo dell’imputato COGNOME
In particolare, la Corte di appello ha evidenziato come la consegna del denaro dal Pappalettera al Gishiti è avvenuta in assenza di un valido titolo giustificativo e che le modalità stesse di erogazione della somma di denaro depongono per la condizione di vessazione della persona offesa, peraltro, desumibile anche dal contenuto delle conversazioni intercettate e correttamente richiamate nella sentenza impugnata.
La stessa Corte di appello ha, poi, evidenziato che la medesima metodica operativa («che vede entrambi i prevenuti spadroneggiare per la città di Trani a bordo di autovettura per attivare estorsioni o esigerne l’indebito profitto») ha caratterizzato anche l’azione delittuosa consumata a breve distanza temporale ai
danni di tale “NOME biondo”, sottolineando come la sudditanza psicologica determinata nei confronti delle vittime ed il modo di veicolare le richieste di denaro appaiono essere state idonee ad indurre una coazione psichica nei confronti delle stesse.
Del resto, anche i passaggi delle dichiarazioni rese dal COGNOME e richiamati nel ricorso confortano totalmente l’ipotesi accusatoria chiaramente evidenziando che non ci trova di certo in presenza di mere richieste di “prestiti” di somme di denaro (Pres: “ma era un prestito?” COGNOME: “Non era mai un prestito, non è stato mai un prestito ,.. tutti quanti dovevano pagare una tassa di soldi, al ristorante, al bar altre aziende come le pietre”… si sapeva che stava il blitz dietro le estorsioni e l droga, e non si potevano fare più casini, allora li chiedevamo come prestito, poi alla fine non li avevano più indietro. Questo è il modo”).
Manifestamente infondato è, infine, anche il secondo motivo di ricorso formulato nell’interesse dell’imputato COGNOME in relazione alla configurabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1.
Anche in questo caso, con motivazione congrua e logica, la Corte di appello ha richiamato le dichiarazioni del COGNOME che con riguardo alla posizione del COGNOME lettera si è così espresso: “È normale che aveva paura di noi, lui sapeva noi chi eravamo, siamo conosciuti bene chi eravamo perché avevamo fatto le estorsioni prima …” così comprovando un dato di consolidata conoscenza sociale dell’agito criminoso dei prevenuti attesa la notoria riconducibilità degli imputati al clan COGNOME, radicato sul territorio tranese, tale da giustificare per un verso l’immediatezza ed agilità delle richieste estorsive da costoro compiute nella città di Trani e, per l’altro, l’apparente contrasto tra la neutralità delle richiest titolo di prestito del denaro e la capacità delle stesse di sortire effetti intimidato nei confronti dei destinatari.
In sostanza – ha ancora osservato la Corte territoriale – «proprio l’assenza di minacce esplicite in entrambi gli episodi contestati comprova la forza intimidatrice dell’associazione cui i prevenuti sono riconducibili, tale da rendere superfluo qualsivoglia avvertimento mafioso sia pure implicito o il ricorso a specifici comportamenti di violenza o minaccia, potendosi quindi tranquillamente affermare che la caratterizzazione mafiosa del loro agito sia stata inversamente proporzionale alla bassa intensità del criterio di esternazione della richiesta estorsiva».
Quanto affermato dai Giudici di merito risponde ai principi enunciati da questa Corte di legittimità e condivisi anche dall’odierno Collegio secondo i quali «In tema di estorsione, è configurabile l’aggravante del metodo mafioso anche a fronte di un messaggio intimidatorio “silente”, in quanto privo di un’esplicita richiesta, nel
caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi. (Sez. 2, n. 51324 del 18/10/2023, COGNOME, Rv. 285669), anche tenuto conto del fatto che «In tema di estorsione, la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso non è esclusa dal fatto che la vittima delle minacce abbia assunto un atteggiamento “dialettico” rispetto alle ingiuste richieste, ciò non determinando il venir meno della portata intimidatoria delle stesse. (Fattispecie in cui la Corte ha valutato corretta la decisione con la quale si era escluso che la riduzione, da parte della vittima, della somma da consegnare nell’immediato all’estorsore, che ne pretendeva una d’importo più elevato, facesse venir meno la particolare e qualificata portata intimidatoria della richiesta estorsiva e, quindi, la sussistenza dell’aggravante). (Sez. 2, n. 6683 del 12/01/2023, Bloise, Rv. 284392).
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, quanto a ciascuno di essi, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29 ottobre 2024.