Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18575 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18575 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato nel Regno Unito il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 31/03/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta rassegnata, ai sensi dell’art. 23 d.l. n. 137 del 2020 e succ. modd., dal Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza pronunciata (all’esito del giudizio abbreviato) dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 7 novembre 2022 NOME COGNOME era stato riconosciuto colpevole dei delitti ascrittigli ai capi a), b), c), ed e) della rubrica ed era stato condannato alla pena di anni sette e mesi dieci di reclusione ed euro 12.800 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia in carcere.
1.1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli, decidendo sull’appello proposto dall’imputato, ha dichiarato non doversi procedere con riguardo ai capi c) e d) perché l’azione penale non doveva essere proseguita per mancanza di querela e, per l’effetto, limitatamente ai suddetti capi, ha dichiarato la perdita di efficacia della misura cautelare applicata nei suoi confronti, confermando nel resto la gravata sentenza relativamente ai capi a), b) ed e) della rubrica, rideterminando la pena complessiva in anni cinque e mesi dieci di reclusione ed euro 12.000 di multa.
1.2. Le imputazioni, per le quali è stato confermato il giudizio di responsabilità a carico del predetto, sono le seguenti: a) reato di cui agli artt. 110, 61 n.2, 2 e 4 1.895/67, 61, comma 1, n.2 e 416-bis.1. cod. pen., perché in concorso con COGNOME NOME (per il quale si è proceduto separatamente), anche al fine di commettere il reato che segue, illegalmente deteneva e portava in luogo pubblico un ordigno esplosivo artigianale, presso l’attività commerciale denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘, sita in INDIRIZZO, che, per la sua capacità di arrecare offesa alla incolumità delle persone, è da considerare ‘congegno micidiale’. Con l’aggravante di cui all’art.416-bis.1. cod. pen. per avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art.416-bis cod. pen. e, in particolare, avendo agito con metodo mafioso in ragione delle descritte modalità della condotta facendo affidamento sul diffuso senso di assoggettamento e sulla conseguente omertà scaturente dalla ben nota consapevolezza della esistenza e predominio di pericolose organizzazioni criminali di tipo mafioso, gravitanti nell’ambito della cRAGIONE_SOCIALE. ‘RAGIONE_SOCIALE operante anche nel territorio teatro dell’illecito ed ossia il quartiere ‘Vasto Arenaccia’ di Napoli. In Napoli il 20 aprile 2020; b) reato di cui agli artt.110, 635 comma secondo, n.1, 625 nn.5 e 7 e 416-bis.1. cod. pen. perché, in concorso
con NOME COGNOME (per il quale si è proceduto separatamente), collocava un ordigno esplosivo all’esterno dell’attività commerciale denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘ sita in Napoli INDIRIZZO, la cui deflagrazione danneggiava gravemente la saracinesca del negozio, un frigorifero sito all’interno dello stesso, due motocicli ed un’autovettura parcheggiati nelle immediate vicinanze, mandando in frantumi la vetrina attigua. Con l’aggravante di cui all’art.625 n.5 cod. pen. per essere stato commesso il fatto da persona travisata, indossante un casco da motociclista, con l’aggravante di cui all’art.625 n.7 cod. pen. trattandosi di cose esposte alla pubblica fede e con l’ulteriore aggravante di cui all’art.416bis.l. cod. pen. per avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art.416-bis cod. pen. e, in particolare, avendo agito con metodo mafioso in ragione delle descritte modalità della condotta facendo affidamento sul diffuso senso di assoggettamento e sulla conseguente omertà scaturente dalla ben nota consapevolezza della esistenza e predominio di pericolose organizzazioni criminali di tipo mafioso, gravitanti nell’ambito della cRAGIONE_SOCIALE. ‘RAGIONE_SOCIALE operante anche nel territorio teatro dell’illecito ed ossia il quartiere ‘Vasto Arenaccia’ di Napoli. In Napoli il 20 aprile 2020; e) reato di cui agli artt.81 cpv e 73 d.P.R. 309/90 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, anche in tempi diversi deteneva e cedeva a tale COGNOME NOME NOME, sostanza stupefacente di quantità e qualità non meglio accertata e, in particolare, quattro dosi cedute in data 31 maggio 2020; con la recidiva reiterata e specifica. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.3. La Corte territoriale ha confermato la sentenza di primo grado – fatta eccezione, come visto, per le imputazioni di cui ai capi c) e d) per difetto di querela – osservando che la responsabilità dell’imputato risultava dimostrata dalle immagini delle telecamere di sorveglianza site nella zona dove era avvenuto l’attentato per cui si procede, dalle dichiarazioni del coimputato e, con riferimento alla violazione della legge stupefacenti, dal tenore della conversazione telefonica (oggetto di intercettazione) intercorsa tra l’imputato e l’acquirente.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen., insiste per l’annullamento del provvedimento impugnato.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. rispetto alle dichiarazioni del coimputato NOME COGNOME utilizzate dalla Corte territoriale per confermare il giudizio di responsabilità nei confronti dell’imputato, nonostante la assoluta inverosimiglianza delle stesse.
2.2. Con il secondo ed il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione dell’art.429 lett. c) del codice di rito e dell’art. 416-bis.1. cod. pen. sia rispetto alla contestazione di detta aggravante sia alla ritenuta sussistenza della medesima.
2.3. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente censura, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art.81 cod. pen. per il mancato riconoscimento della continuazione tra la violazione della legge stupefacenti (capo e) con i reati di cui ai capi a) e b) della rubrica, nonostante gli stessi fossero stati commessi a breve distanza di tempo tra loro e risultassero espressione di un unico disegno criminoso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso, i cui motivi sono in parte inammissibili ed in parte infondati, va respinto.
Anzitutto deve ricordarsi che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, e ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta “doppia conforme” (come, nel caso di specie, rispetto ai reati di cui alle lettere a,b ed e della rubrica) e l’intangibilità valutazione nel merito del risultato probatorio (ex multis Cass. Sez. 5, Sentenza n.48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
Orbene, come chiarito in seguito, le critiche esposte dal ricorrente riguardano profili in fatto, coerentemente scrutinati nel corpo della decisione impugnata e la cui riproposizione è tesa – in tutta evidenza – ad una rivalutazione del peso
dimostrativo degli elementi di prova. In tal senso, quindi il ricorso finisce con i proporre argomenti di merito la cui rivalutazione è preclusa in sede di legittimità.
E’ costante, infatti, l’ insegnamento di questa Corte per cui il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logico giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità «nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178). Così come va ribadito che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U., n. 24 del 24/11/1999 Rv. 214794; Sez. U., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
3. I fatti relativi ai reati di cui alle lettere a) e b) della rubrica sono ricostruiti da entrambi i giudici di merito nei seguenti termini. La notte tra il 1 ed il 20 aprile 2020, intorno alle ore 03:30, presso l’attività commerciale ‘RAGIONE_SOCIALE‘, sita in Napoli, INDIRIZZO (posta nelle immediate adiacenze della stazione ferroviaria di Napoli) veniva fatto esplodere un ordigno dinamitardo. La polizia giudiziaria, dopo essere intervenuta sul luogo per effettuare i rilievi di rito, aveva poi estratto dalle telecamere di sorveglianz dell’esercizio commerciale adiacente al panificio colpito le immagini che avevano permesso di individuare, nelle sue fattezze fisiche, il soggetto che aveva collocato l’ordigno, l’aveva fatto esplodere ed era poi fuggito in direzione di INDIRIZZO.
3.1. In considerazione dell’atteggiamento omertoso del titolare del panificio, il quale aveva dichiarato di non avere sospetti e di non avere ricevuto in precedenza alcuna richiesta di natura estorsiva, il Giudice per le indagini preliminari aveva autorizzato intercettazioni telefoniche per acquisire unitamente all’attivazione di fonti confidenziali – informazioni utili al prosieguo
delle indagini. Al contempo era state anche acquisite, da parte degli investigatori, le immagini di altri impianti di videosorveglianza esistenti in zona, dal cui esame era stato possibile identificare un’autovettura Mazda 2 targata TARGA_VEICOLO presente nelle vicinanze del luogo dell’attentato poco prima la deflagrazione e che poco prima delle ore 03:30 del 20 aprile 2020 si era fermata all’angolo tra INDIRIZZO e INDIRIZZO e dalla quale era sceso, dal lato passeggero, un soggetto che trasportava un involucro nella mano sinistra, il quale ,dopo un percorso evincibile dalla visione delle immagini degli impianti esistenti in zona, aveva lasciato un involucro presso la saracinesca del panificio di INDIRIZZO che aveva provveduto ad accendere. Pochi istanti dopo si era verificata la deflagrazione dell’ordigno lasciato ed il medesimo soggetto era stato poi immortalato risalire sull’autovettura sopra indicata in INDIRIZZO.
3.2. Dal controllo della banca dati SDI era stato accertato che l’auto in questione, la notte del fatto, era stata fermata da una pattuglia dei Carabinieri in Pomigliano d’Arco alle ore 00:31 con a bordo NOME COGNOME (fratello del proprietario del veicolo) e NOME COGNOME e che, nell’occasione, era stata contestata ai predetti la violazione delle disposizioni anti COVID in vigore all’epoca.
Le intercettazioni telefoniche disposte sulle utenze cellulari in uso ai due soggetti sopra indicati avevano poi permesso di appurare numerose conversazioni tra i due nelle ore precedenti l’attentato, con l’aggancio di ripetitori presenti nella zona dove poi sarebbe avvenuta l’esplosione; i telefoni dei predetti erano invece poi rimasti silenti sino al giorno successivo il fatto.
La Corte di appello, investita del gravame proposto da NOME COGNOME, ha – per quanto di interesse in questa sede – confermato il giudizio di responsabilità con riferimento ai reati di cui ai capi a), b) ed e), osservando che l’individuo ripreso dalle telecamere nell’atto di deporre ed innescare l’ordigno andava identificato proprio nella persona dell’appellante sulla base di quanto dichiarato dal coimputato NOME COGNOME, il quale aveva confermato che l’imputato era sceso dall’auto e che poi vi aveva fatto ritorno poco dopo l’esplosione (pur sostenendo, inverosimilmente, che egli non sapeva nulla dell’attentato), dei ripetuti contatti telefonici tra i due prima del fa dell’avvenuto controllo, da parte dei Carabinieri, dell’autovettura con a bordo i
due effettuato qualche ora prima dell’episodio, nonché dall’aggancio del telefono di NOME COGNOME a celle compatibili con la zona dove era avvenuta la deflagrazione la notte dell’evento.
E’ stata confermata anche la contestata aggravante ex art.416-bis.1. cod. pen. tenuto conto che le modalità della condotta, la reticenza della persona offesa ed i collegamenti dell’imputato con la criminalità organizzata costituivano la proova del carattere intimidatorio e della matrice camorristica dell’azione tesa al controllo dell’economia del quartiere.
Rispetto, poi, alla violazione della legge stupefacenti (rispetto alla quale il ricorrente non ha contestato il giudizio di responsabilità) la Corte territoriale l’ha ritenuta dimostrata in forza della intercettazione telefonica della conversazione tra l’imputato e l’acquirente ed il linguaggio criptico usato nell’occasione dai due; con riferimento a tale ultimo reato, infine, è stata esclusa la continuazione con i reati sub a) e b) trattandosi di fatti del tutto distinti tra loro.
Ciò posto, con riferimento al primo motivo si osserva che la Corte territoriale, con motivazione adeguata ed esente da vizi logici, ha confermato la responsabilità dell’imputato rispetto ai reati sub a) e b) dando rilievo alle immagini tratte dagli impianti di videosorveglianza, alle dichiarazioni del coimputato, al controllo effettuato alcune ore prima del fatto da parte dei Carabinieri (i quali avevano fermato ed identificato i due soggetti a bordo della medesima auto successivamente ripresa dalle telecamere nelle vicinanze del luogo dell’attentato) ed alle conversazioni telefoniche intercorse tra l’odierno imputato e NOME COGNOME nelle ore precedenti il fatto.
Ne consegue che il ricorrente, pur lamentando la violazione dell’art.192 cod. proc. pen., in realtà suggerisce una inammissibile lettura alternativa del materiale probatorio, coerentemente valutato dalla Corte territoriale per confermare la sua responsabilità per i reati sub a) e b).
Il secondo ed il terzo motivo (strettamente connessi tra loro) sono infondati. Anzitutto va ricordato il condivisibile principio secondo il quale in tema di citazione a giudizio, non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all’imputato di difendersi
(Sez. 5 – , Sentenza n. 16993 del 02/03/2020, Rv. 279090 – 01). Orbene deve escludersi la lamentata violazione dell’art.429, lett. c) cod. proc. pen., poiché l’aggravante in parola è stata chiaramente e precisamente indicata mediante gli specifici richiami alle modalità della condotta ed al senso di assoggettamento ed alla conseguente omertà scaturente dalla presenza delle organizzazioni camorristiche, gravitanti nell’ambito della RAGIONE_SOCIALE, nella zona dove sono avvenuti i fatti.
Premesso quanto sopra, la Corte di appello di Napoli, in puntuale applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, ha desunto gli elementi costitutivi dell’aggravante in parola non dalle ‘caratteristiche soggettive’ degli autori, ma piuttosto dalle modalità esecutive dell’attentato, reputandole concretamente idonee ad evocare la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso (Sez. 2, n.22096 del 03/07/2020, COGNOME, Rv. 279771-01; Sez. 2 n.22096 del 17/05/2019, COGNOME, Rv. 276109-01; Sez. 6, n.41772 del 13/06/2017, COGNOME, Rv. 271103; Sez. 1, n.5881 del 04/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251830.01). Come sopra esposto la Corte territoriale, in modo non manifestamente illogico, ha confermato la contestata aggravata in considerazione delle modalità esecutive del fatto, del luogo ove lo stesso si è verificato (rientrante in un’area soggetta all’egemonia del RAGIONE_SOCIALE) e dei legami dell’imputato con ambienti della criminalità organizzata.
6.1. Invero, ai fini della configurabilità dell’aggravante, la forza intimidazione non deve essere necessariamente indirizzata in via diretta sul soggetto passivo, poiché l’art.416-bis.1. cod. pen. nel descrivere l’aggravante del metodo mafioso, fa riferimento alla consumazione di reati ‘commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art.416-bis cod. pen.’ sicché è consequenziale ritenere che qualora essa acceda a reati la cui esecuzione prescinda del tutto dall’esercizio di forza di intimidazione indirizzata in via diretta sui soggetti passiv possa essere integrata da altre condotte, desunte sempre dalle caratteristiche delle modalità esecutive, se funzionali ad una più agevole e sicura consumazione del reato in regione del diretto immediato collegamento con la forza di intimidazione ordinariamente esercitata sul territorio dai gruppi mafiosi su consociati ed alla conseguenziale condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva. Pertanto, deve ritenersi sussistente l’aggravante in questione se, come
nel caso di specie, gli autori abbiano consapevolmente sfruttato, ai fini della riuscita del loro intento delittuoso e della riduzione del rischio di essere scoperti, la forza intimidatrice tipica dell’organizzazione camorristica e del conseguente atteggiamento reticente ed omertoso della persona offesa.
Con riferimento al quarto motivo, relativo alla negata continuazione tra i reati sub a) e b) e la violazione della legge stupefacenti di cui al capo e) della rubrica (in ordine alla quale l’imputato in questa sede non mette in discussione la propria responsabilità), deve ricordarsi che in tema di continuazione, l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione (Sez. 1, Sentenza n. 12936 del 03/12/2018, dep. 2019, Rv. 275222 – 01). La Corte di appello ha respinto la relativa censura sollevata in sede di appello dall’imputato osservando, con motivazione non contraddittoria, che ostava al riconoscimento della invocata continuazione la circostanza che si trattava di condotte completamente disomogenee tra loro per natura e commesse in tempi diversi, di talché non vi era prova di una progettualità unitaria posta alla base delle condotte poste in essere.
Rispetto a tale compiuto ragionamento, il ricorrente si limita a sostenere in modo del tutto generico che la continuazione deriverebbe dalla contiguità temporale e spaziale delle condotte senza, però, dedurre alcunché circa la unicità del disegno criminoso e la iniziale progettazione dei reati, insistendo per una differente valutazione degli elementi processuali che non è consentita in sede.
Il ricorso, pertanto, deve essere respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 25 gennaio 2024.