Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20883 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20883 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Rosarno il 25/06/1970
avverso l ‘ordinanza del 20/12/2024 del Tribunale di Brescia visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’ avvocato NOME COGNOME difensore di Oppedisano NOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso .
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Brescia ha respinto l ‘ istanza di riesame proposta avverso l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva applicato a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per il delitto di tentata estorsione, posto in essere in concorso con NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in
danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME delitto aggravato ex art. 416bis .1 cod. pen. nella duplice declinazione oggettiva e soggettiva.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati.
2.1 Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all ‘ aggravante di cui all’art. 416bis .1 cod. pen.
L’aggravante, nella sua declinazione oggettiva, non sarebbe applicabile al ricorrente, in quanto non vi sarebbero indizi circa la sua effettiva partecipazione all’incontro tra estorti ed estorsori, mentre le intercettazioni successive non lo riguardano. Infine, le modalità di intervento sulle vittime non sarebbero state concordate alla presenza del ricorrente, che si è limitato a suggerire di mettere un mazzo di fiori fuori dalla porta di casa della vittima, proposta, questa, mai attuata.
Quanto alla declinazione soggettiva, l’ordinanza impugnata ritiene sussistenti gravi indizi della finalità agevolativa della cosca Oppedisano, nella sua articolazione locale. Sul punto, però, la motivazione sarebbe del tutto apodittica, non essendo indicate le circostanze dalle quali poter dedurre che la condotta del ricorrente fosse indirizzata ad accrescere non i vantaggi personali di NOME COGNOME ma quelli della cosca di appartenenza.
2.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alle esigenze cautelari, in quanto la condotta estorsiva in forma tentata si sarebbe verificata nel ristretto arco temporale di febbraio-marzo 2021 e, da allora, non vi sarebbe stata alcuna manifestazione di pericolosità.
Inoltre, il rischio concreto di commissione di reati della stessa specie dovrebbe essere escluso sia perché in un’indagine durata parecchi anni il ricorrente è stato coinvolto marginalmente in un solo episodio sia in ragione del suo grave stato di salute.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va rigettato.
Con il primo motivo di ricorso si contesta la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 -bis .1. cod. pen. Tale disposizione prevede una aggravante speciale per i delitti commessi: a) avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 -bis cod. pen. ; b) al fine di agevolare l ‘ attività delle associazioni di cui all’art. 416 -bis cod. pen.
2.1. Nella sua declinazione oggettiva, l’aggravante dell’utilizzo del “metodo mafioso” richiede la ragionevole percezione, anche solo ipotetica, da parte della persona offesa della provenienza dell’attività delittuosa da un contesto di criminalità organizzata di tipo mafioso. Perciò non occorre che sia dimostrata l’esistenza di un’associazione, essendo necessario solo che la violenza o la minaccia assumano la veste propria della violenza o della minaccia mafiosa, ossia di quella ben più penetrante, energica ed efficace che deriva dalla prospettazione della sua provenienza da tale tipo di sodalizio criminoso (Sez. 2, n. 32564 del 12/04/2023, COGNOME, Rv. 285018 -02).
L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi, rilevando che da una serie di intercettazioni -di cui riporta il contenuto- emerge in modo non equivoco che sono stati posti in essere atti coercitivi dal ricorrente e dai correi nei confronti delle vittime, tanto da indurle a rivolgersi ai COGNOME, apparentemente estranei alla condotta estorsiva, per ottenere protezione.
Quanto all’ aggravante del metodo mafioso, l’ordinanza valorizza la conversazione intervenuta tra il ricorrente, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME (prog. 5284 del 03/03/2021), in cui il primo suggerisce di prendere un mazzo di fiori e di metterlo davanti alla porta di casa della vittima, ritenendo che ciò evochi pericoli e azioni ritorsive tipicamente riconducibili a contesti di criminalità organizzata e, come tali, percepiti dagli offesi.
Vengono, poi, riportate altre intercettazioni in cui i COGNOME, parlando con la vittima NOME COGNOME, sottolineano la pericolosità della cosca COGNOME e di NOME COGNOME, in particolare ( « se lui ha un figlio, glielo prendono … questo è pericoloso! potete andare all’estero, potete andare dove volete, questi vi trovano, dovete scomparire » , pag. 49 ordinanza impugnata).
Del tutto condivisibilmente il Tribunale per il riesame ha ritenuto che tali elementi siano idonei a ingenerare nelle persone offese una più accentuata condizione di minorata difesa, indotta dalla consapevolezza della appartenenza degli estorsori al sodalizio criminale e delle modalità di azione dello stesso.
Conseguentemente, la censura relativa al la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso è infondata.
2.2. L’aggravante prevista dall’art. 416bis .1 cod. pen., nella sua declinazione soggettiva, è caratterizzata dal dolo intenzionale e richiede la finalità specifica di agevolare, con la propria condotta l’associazione mafiosa.
Deduce il ricorrente che la motivazione dell’ordinanza, sul punto, sarebbe apodittica.
Tale censura è inammissibile per carenza di interesse, in quanto, ritenuti i gravi indizi di colpevolezza in ordine all’aggravante nella sua declinazione
oggettiva per i motivi sopra esposti, dal suo eventuale accoglimento non deriverebbe alcuna concreta utilità al ricorrente.
L ‘eventuale sussistenza dell’ aggravante nella forma dell’agevolazione potrebbe, infatti, influire sulla misura della pena ma non sulla durata della misura cautelare.
La durata della custodia cautelare prima dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, infatti, è elevata da ll’art. 303 , comma 1, n. 3 cod. proc. pen. fino a un anno, quando si procede per uno dei delitti di cui all’art. 407, co mma 2, lett. a) cod. proc pen.; tale disposizione, al comma 2, n. 3, prevede sia i delitti commessi avvalendosi delle condi zioni previste dall’art. 416 -bis cod. pen., sia quelli commessi p er agevolare l’attività delle associazioni di cui al medesimo articolo, di talché anche una sola di tali condizioni è sufficiente per fare scattare il più ampio termine di cui al richiamato art. 303, comma 1, n. 3.
3. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
L’ordinanza impugnata cita il condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata, con riguardo ai delitti aggravati ai sensi dell’art. 416bis .1 cod. pen., a condizione che si dia conto dell’avvenuto apprezzamento di elementi, evidenziati dalla parte o direttamente enucleati dagli atti, significativi in tal senso, afferenti, in specie, alla tipologia del delitto in contestazione, alle concrete modalità del fatto e alla sua risalenza, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero decorso del cd. “tempo silente”, posto che è escluso, in materia, qualsiasi automatismo valutativo (Sez. 2, n. 24553 del 22/03/2024, COGNOME, Rv. 286698).
Sulla base di tali criteri, il Tribunale per il riesame ha ritenuto che il tempo decorso dalla commissione dei fatti non sia idoneo a vincere la presunzione, tanto più che il reato è stato commesso durante l’esecuzione di una misura di prevenzione. Ha, inoltre, evidenziato, che nonostante le numerose condanne per gravi reati (tra cui associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione e porto illegale di armi) e nonostante le esperienze detentive subite, il ricorrente ha sempre ripreso a delinquere, circostanze, queste, che rendono concreto e attuale il pericolo di recidivanza.
In conclusione il ricorso va respinto, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 29/04/2025.