Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 34551 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 34551 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA a PALERMO avverso la sentenza in data 07/11/2023 della CORTE DI APPELLO DI TORINO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
sentito l’AVV_NOTAIO che, nell’interesse della parte civile COGNOME NOME, si è riportato alla propria memoria scritta e ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o per il suo rigetto;
sentito l’AVV_NOTAIO che, nell’interesse di COGNOME NOME, ha illustrato i motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, per il tramite del proprio procuratore speciale, impugna la sentenza in data 07/11/2023 della Corte di appello di Torino, che ha confermato la sentenza in data 28/02/2023 del G.i.p. del Tribunale Torino, che lo aveva condannato per il reato di usura e per il reato di tentativo di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen..
Deduce:
Violazione di legge, inosservanza di norma processuale e vizio di
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e travisamento della prova nella parte in cui viene escluso che la persona offesa COGNOME NOME abbia concorso con COGNOME nel delitto di prestazione usuraria e abbia realizzato appropriazione indebita e ricettazione nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Il ricorrente sostiene che sin dalle prime dichiarazioni rese dalla persona offesa, già in sede di querela, emergeva il concorso della stessa persona offesa COGNOME NOME nei reati indicati nell’intitolazione, così che le sue sommarie informazioni dovevano essere assunte secondo lo statuto prevista dagli artt. 63, commi 3 e 3-bis, 64, 191, 197, 197-bis e 210 cod. proc. pen..
Per tale ragione eccepisce l’inutilizzabilità patologica ex art. 191 cod. proc. pen. delle dichiarazioni rese da COGNOME, avendo la persona offesa, in sede di querela orale del 05/04/2022, reso dichiarazioni auto-indizianti ed eteroaccusatorie.
A sostegno dell’assunto il ricorrente ripercorre i contenuti di tali dichiarazioni.
Violazione di legge, inosservanza di norma processuale e vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità in relazione alla contestazione a carico di COGNOME del concorso nel reato di usura e in relazione al mancato vaglio di attendibilità della persona offesa COGNOME NOME in relazione alla conoscenza di COGNOME NOME e alla sua apparizione nel corso della vicenda usuraria.
Il ricorrente premette che l’affermazione di responsabilità a carico di COGNOME è fondata sulla conversazione intercorsa tra lo stesso COGNOME con COGNOME e COGNOME, intercettata in occasione del loro incontro in data 11/04/2022, dalla quale i giudici hanno tratto il concorso dell’imputato nell’usura commessa da COGNOME, anche accordando credibilità alle dichiarazioni rese dalla persona offesa.
La difesa sottolinea che l’interessamento di COGNOME era estemporaneo e che lo sforzo motivazionale dei giudici doveva andare oltre il rilievo dei precedenti penali dell’imputato e al suo interessamento nella riscossione dei ratei dovuti da COGNOME e della vendita del terreno di Rivoli e circa la possibilità che COGNOME avesse semplicemente assecondato la messinscena di COGNOME, intesa a far credere che nella vicenda fossero interessate terze persone. La presenza di terze persone, peraltro, non ha trovato riscontro probatorio.
Osserva come gli esiti dell’attività investigativa non consentisse di provare la responsabilità di COGNOME nella vicenda usuraria.
Vengono perciò ripercorsi i contenuti delle dichiarazioni rese da COGNOME NOME, al cui riguardo è contestato il giudizio di attendibilità in ragione delle contraddizioni rinvenute nel suo dichiarato, che vengono esplicitate.
Vengono altresì ripercorsi i contenuti delle conversazioni intercettate, al fine di evidenziare l’errata applicazione degli artt. 110 e 644 cod. pen..
Violazione di legge e vizio di mancanza, Manifesta illogicità e
contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 629 cod. pen., difettando in concreto i requisiti integranti il protocollo di tipicità oggettivo e il dolo di fattispec
A tale riguardo la difesa scrive: «A pag. 35 della sentenza di appello si motiva la sussistenza della penale responsabilità del ricorrente per il reato di tentata estorsione in ragione delle minacce propalate e il linguaggio allusivo adoperato dal COGNOME nei confronti del COGNOME. Indubbiamente il COGNOME sbaglia nell’accogliere la richiesta di aiuto da parte dello COGNOME e volta a convincere il COGNOME a corrispondere quanto dallo stesso dovuto».
Secondo il ricorrente, però, tale condotta andrebbe più correttamente ricondotta nel paradigma del delitto di minaccia o di concorso dell’estraneo al delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante violenza personale, attesa la nullità solo parziale dell’accordo negoziale, limitatamente agli interessi.
Violazione di legge e vizio di motivazione e vizio di mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, oltre che travisamento della prova sia in relazione alla negazione delle circostanze attenuanti generiche, sia per l’erronea applicazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen..
Si deduce l’errata applicazione dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., in quanto essa non può essere configurata sulla base di una mera allusione, meramente generica, implicita e contratta, dell’esistenza di un gruppo criminale non meglio identificato e di cui non si ha riscontro negli atti d’indagine.
Si denuncia altresì la contraddittorietà della motivazione in relazione alla negazione delle circostanze attenuanti generiche sulla base delle sole modalità della condotta e sui precedenti penali, senza tenere nel debito conto l’età avanzata di COGNOME e la datazione a venti anni prima dei precedenti penali, oltre che la condotta serbata quando si trovava ristretto agli arresti domiciliari.
Vizio di mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’avvenuto pagamento da parte di COGNOME di interessi usurari pari a 528.000,00 euro. Inosservanza di norma processuale in relazione all’art. 538 cod. proc. pen. nella parte in cui non si dispone che la condanna al risarcimento dei danni avvenga in solido all’altro concorrente nel reato.
Secondo il ricorrente l’importo degli interessi corrisposti non può essere provata sulle base delle dichiarazioni di COGNOME, atteso che la documentazione contabile acquisita agli atti non consente la ricostruzione degli importi effettivamente versati da COGNOME a COGNOME, oltre che non risulta coerente con le capacità economiche della persona offesa.
Lamenta altresì l’omessa motivazione circa la denunciata possibilità di un’ingiusta locupletazione che COGNOME potrebbe ricavare riscuotendo importi di gran lunga superiori a quelli effettivamente versati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché propone questioni non consentite in sede di legittimità e perché pedissequamente reiterativo delle identiche questioni sollevate con l’atto di appello, affrontate e risolte dalla Corte di appello.
1.1. La Corte di appello, anzitutto, ha affrontato il tema del coinvolgimento di COGNOME nel reato di usura e della sua eventuale responsabilità per il reato di appropriazione indebita.
1.1.1. Con riguardo al reato di usura, la Corte di appello ha escluso che vi fossero condotte da cui ricavare un concorso di COGNOME, in quanto dalle sue dichiarazioni emergeva solo che aveva messo in contatto COGNOME con COGNOME e COGNOME, su richiesta di questi ultimi, senza partecipare all’accordo usurario che ne seguì. I giudici hanno precisato che COGNOME non si poteva ritenere indagabile né ai sensi dell’art. 644, comma primo, cod. pen., né ai sensi del secondo comma della stessa norma, “essendosi limitato, in sostanza, a presentare COGNOME a COGNOME e COGNOME quando costoro gli avevano rappresentato di aver bisogno di denaro, senza in alcun modo concordare il contenuto dell’accordo, né l’importo degli interessi”.
Quanto alla consegna a COGNOME -per il tramite di COGNOME– delle somme dovute a titolo di interessi da COGNOME e COGNOME, quella condotta doveva considerarsi un mero trasporto materiale, effettuato perché lo stesso COGNOME era vittima di usura e consegnava le somme da lui dovute a titolo di interessi insieme a quelle dovute allo stesso titolo da COGNOME e COGNOME, “avendo, infatti, precisato il COGNOME che egli consegnava a COGNOME la somma di 2.000 euro del COGNOME quando portava la sua rata mensile di 3.000 euro, lo stesso accadendo poi anche per la rata dello COGNOME“.
La Corte di appello, dunque: a) ha escluso il concorso di COGNOME alla pattuizione usuraria concordata tra COGNOME e COGNOME e COGNOME, così rimarcando l’assenza di un’astratta indagabilità della persona offesa per il reato di cui all’art. 644, comma primo, cod. pen.; b) ha evidenziato che dal compendio probatorio non si evinceva che COGNOME avesse ricevuto o gli fosse stato promesso un compenso per la sua “mediazione”, così dovendosi escludere la sua indagabilità ai sensi dell’art. 644, comma secondo, cod. pen.; ha escluso che le somme portate da COGNOME a COGNOME in nome e per conto di COGNOME e COGNOME fossero il frutto di un’esazione perpetrata da COGNOME in favore di COGNOME, ritenendo -invece- che le emergenze di fatto dimostrassero che lui agiva come mero esecutore di una richiesta proveniente da chi -come lui- era vittima dell’usura perpetrata da COGNOME.
A fronte di una motivazione che certamente non può dirsi mancante e che non è viziata da manifesta illogicità o da contraddittorietà, il ricorrente solleva la questione della violazione degli artt. 63 e 64 cod. proc. pen. sulla base di una ricostruzione fattuale alternativa e antagonista a quella dei giudici di merito, che si sono risolti nel senso della mancanza di emergenze processuali da cui dedurre un
4 COGNOME
o. Az,
concorso di COGNOME nella vicenda usuraria in esame.
In tal guisa che, con l’eccezione d’inutilizzabilità in esame, in realtà, si chiede di scegliere tra due diverse ricostruzioni del fatto, così sottoponendo alla Corte di cassazione una questione non scrutinabile in sede di legittimità.
1.1.1.1. Il compito demandato dal legislatore alla Corte di cassazione, invero, non è quello di stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti ovvero quello di condividerne la giustificazione. Il compito del giudice di legittimità è quello di verificare la conformità della sentenza impugnata alla legge sostanziale e a quella processuale, cui si aggiunge il controllo sulla motivazione che, però, è restrittivamente limitato alle ipotesi tassative della carenza, della manifesta illogicità e della contraddittorietà. Con l’ulteriore precisazione che la carenza va identificata con la mancanza della motivazione per difetto grafico o per la sua apparenza; che l’illogicità deve essere manifesta -ossia individuabile con immediatezza- e sostanzialmente identificabile nella violazione delle massime di esperienza o delle leggi scientifiche, così configurandosi quando la motivazione sia disancorata da criteri oggettivi di valutazione, e trascenda in valutazioni soggettive e congetturali, insuscettibili di verifica empirica; la contraddittorietà si configura quando la motivazione si mostri in contrasto -in termini di inconciliabilità assolutacon atti processuali specificamente indicati dalla parte e che rispetto alla struttura argomentativa abbiano natura portante, tale che dalla loro eliminazione deriva l’implosione della struttura argomentativa impugnata.
Nessuna di tali evenienze è stata di fatto denunciata con i motivi in esame, dal che deriva l’inammissibilità della proposizione difensiva.
1.1.2. A eguale conclusione d’inammissibilità -sia pure per ragioni diverse e ulteriori- si perviene anche in relazione alla configurabilità del reato di appropriazione indebita a carico di COGNOME, per avere egli trattenuto per sè le somme di denaro che COGNOME e COGNOME gli avevano consegnato per portarle in pagamento a COGNOME.
In questo caso l’eccezione di inutilizzabilità dedotta dalla difesa risulta aspecifica.
Questa Corte ha più volte spiegato che «Nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento», (Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016 Ud., dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218 – 01).
Il ricorrente ha omesso di illustrare quale incidenza abbiano avuto sul
5 COGNOME
OLI•J-.,D
complessivo impianto probatorio e argomentativo ritenuto e reso a carico di COGNOME le dichiarazioni rese in relazione a tale episodio da COGNOME, ossia in relazione alla sua appropriazione delle somme di denaro.
Incidenza che, per il vero, neanche si rinviene dalla lettura della sentenza impugna.
Da qui l’inammissibilità del motivo per aspecificità.
Passando all’esame degli ulteriori motivi di ricorso, non può che osservarsi come essi siano meramente reiterativi delle medesime questioni sollevate con l’atto di appello, affrontate e risolte dalla Corte di appello che:
ha affrontato i temi dell’attendibilità del dichiarante e della responsabilità di COGNOME per i reati di usura e di tentativo di estorsione alle pagine da 19 a 35 e seguenti della sentenza impugnata, dove -tra l’altro- ha rimarcato la presenza di una “mole enorme” di elementi che confermavano l’attendibilità di COGNOME, dalle cui dichiarazioni -confermate dalle conversazioni intercettate, dai servizi di osservazione, dalle registrazioni effettuate dalla stessa persona offesa, dalle dichiarazioni di COGNOME NOME– emergeva il diretto coinvolgimento di COGNOME sia nell’usura, sia nel tentativo di estorsione.
Peraltro, con specifico riguardo alle censure relative all’attendibilità della persona offesa, va ricordato che «in tema di valutazione della prova testimoniale, l’attendibilità della persona offesa dal reato è questione di fatto, non censurabile in sede di legittimità, salvo che la motivazione della sentenza impugnata sia affetta da manifeste contraddizioni, o abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulti priva di una pur minima plausibilità», (Sez. 4 – , Sentenza n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609 – 01).
Vizi non rinvenibili nella motivazione in esame, né denunciati con il ricorso.
Ha affrontato il tema della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 416bis.1 cod. pen. alla pagina 35 della sentenza impugnata, dove ha evidenziato come COGNOME agisse in piena sintonia con COGNOME e come nella condotta estorsiva si facesse riferimento a terze persone cui dovevano rendere conto, “quelli di sotto” e come il denaro fosse necessario per pagare i detenuti, così alludendo alla presenza di un gruppo di persone dietro la richiesta di pagamento della somma di denaro.
Tale motivazione è conforme all’insegnamento di questa Corte, che ha spiegato che «E’ configurabile la circostanza aggravante dell’utilizzo del “metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., nel caso in cui le modalità esecutive della condotta siano idonee, in concreto, a evocare, nei confronti dei consociati, la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso, quand’anche quest’ultima non sia direttamente indirizzata sui soggetti passivi, ma risulti comunque funzionale a una
6 COGNOME
2,4,.,
più agevole e sicura consumazione del reato», (Sez. 1 – , Sentenza n. 38770 del 22/06/2022, COGNOME, Rv. 283637 – 01).
Quanto alla configurabilità del delitto di estorsione e non di “ragion fattasi nella richiesta di pagamento di interessi usurari, va tenuto a mente l’insegnamento di questa Corte, secondo cui «È configurabile il delitto di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nei confronti del creditore che eserciti una minaccia per ottenere il pagamento di interessi usurari, poiché egli è consapevole di porre in essere una condotta per ottenere il soddisfacimento di un profitto ingiusto, in quanto derivante da una pretesa “contra ius”», (Sez. 2, Sentenza n. 9931 del 01/12/2014 Ud., dep. il 2015, Pinelli MMS, Rv. 262566 – 01. Da qui la manifesta infondatezza delle censure sollevate a tale riguardo, tanto più fondate su un assunto erroneo, là dove si sostiene che il patto usurario sarebbe illegittimo solo limitatamente alla misura degli interessi e non anche in relazione all’erogazione del capitale. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, invero, si colloca nell’ambito del penalmente rilevante tutto l’accordo avente matrice usuraria, non essendo possibile frazionare la condotta e l’elemento psicologico differenziondolo a seconda che si faccia riferimento al capitale o agli interessi.
Quanto alla negazione delle circostanze attenuanti generiche, la Corte di appello ha ritenuto che dagli atti non emergessero elementi favorevolmente valutabili e, comunque, non erano compatibili con la gravità delle minacce, al rilevante danno patrimoniale provocato alla vittima, oltre che alla perturbazione emotiva provocata alla persona dalle minacce.
Tale motivazione è conforme al principio di diritto secondo cui «Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il di. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato», (Sez. 4 – , Sentenza n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01).
Quanto alla determinazione della pena e agli aumenti per la continuazione, i giudici hanno valorizzato la gravità delle minacce e le modalità del fatto, così assolvendo adeguatamente l’obbligo di motivazione sul punto, in quanto in tema di graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base, Il giudice non è tenuto a dar conto di tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. nell’ambito della valutazione della fattispecie criminosa sottoposta al suo esame, bensì unicamente di quelli, tra essi, cui specificamente si riferisce.
Quanto al risarcimento del danno e alla sua entità, la Corte di appello ha
7 COGNOME
—
ritenuto l’attendibilità delle dichiarazioni rese da COGNOME e ha quantificato la misura del risarcimento del danno anche in relazione alla sofferenza patita.
2.1. A fronte di ciò, il ricorso ripropone in sede di legittimità le medesime questioni sollevate con il gravame, affrontate e risolte con una motivazione resa dal giudice dell’appello, puntuale e adeguata rispetto a tutte le questioni sollevate con il gravame e che, di fatto, è rimasta indenne da censure scrutinabili in sede di legittimità.
Al verificarsi di tale evenienza va ribadito che «In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l’aggiunta di espressioni ch contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti», (Sez. 6 – , Sentenza n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 – 01); ovvero che «È inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso», (Sez. 2 – , Sentenza n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710 – 01).
A ciò si aggiunga -per conseguenza- la medesima ragione di inammissibilità evidenziata al superiore peragrafo 1.1.1.1..
Quanto COGNOME esposto COGNOME porta COGNOME alla COGNOME declaratoria COGNOME di COGNOME inammissibilità dell’impugnazione, cui segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Non deve procedersi alla condanna dell’imputato alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, atteso che nella memoria depositata e fatta pervenire e nelle conclusioni rassegnate in udienza non si ha alcuna richiesta di provvedere in tal senso.
A tale proposito, va ricordato che In tema di spese processuali, la parte civile ha diritto ad ottenerne la liquidazione qualora abbia formulato domanda di condanna della controparte alla rifusione, (in tal senso cfr. Sez. 6, Sentenza n. 19271 del 05/04/2022, COGNOME, Rv. 283379 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
8 COGNOME
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26/06/2024