Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26262 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26262 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Napoli in data DATA_NASCITA
NOME NOME, nato a Napoli in data DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 7/11/ 2023 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo la inammissibilità del ricorso; udito il difensore degli imputati, AVV_NOTAIO, anche in sostituzione per delega orale ex art. 102 cod. proc. pen. dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza sopra indicata, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli in data 1.6 febbraio 2022, rideterminava la pena – previa esclusione della circostanza aggravante di cui
all’art. 577, primo comma, n. 3, cod. pen. – nei confronti di NOME COGNOME, imputato dei reati di cui agli artt. 582, primo e secondo comrra 42X21, 585 cod. pen e 416-bis.1 cod. pen. ai danni di NOME COGNOME; e nei confronti di NOME COGNOME, imputato del medesimo anzidetto reato, nonché di quello di cui all’art. 337 cod. pen, aggravato ai sensi degli artt. 61, primo comma, n. 2 cod. pen. e 416bis.1 cod. pen. Revocava la pena accessoria della interdizione legale e confermava nel resto la pronuncia di primo grado.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME, con atto sottoscritto dai rispettivi difensori, articolando cinque motivi.
2. NOME COGNOME
2.1. Con il primo motivo, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione ex art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e), in relazione all’art. 192 comma 2, cod. proc. pen. per avere la Corte di appello omesso di ricondurre la vicenda sub ludice nel paradigma normativo della rissa. La presenza di tracce ematiche appartenenti a NOME COGNOME e a NOME COGNOME sugli indumenti da quest’ultimo indossati rendeva altamente verosimile l’ipotesi dell’aggressione reciproca e non dell’agguato ai danni dell’COGNOME.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 238-bis cod. proc. pen. e il vizio di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto sussistente l’aggravante del metodo mafioso e dell’agevolazione mafiosa ex 416-bis.1 cod. pen., nonostante la metodologia mafiosa non fosse ravvisabile nelle modalità dell’azione lesiva e nonostante la mancanza di provvedimenti irrevocabili di condanna per reati associativi ex art. 416-bis cod. pen.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso, ha dedotto la violazione di legge in relazione all’art. 99 cod. pen., per avere la Corte distrettuale disatteso la richiesta di esclusione della contestata recidiva infraquinquennale, ritenuta esistente sulla base di sentenze non definitive.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso, ha dedotto motivazione carente e illogica relativamente alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, negate solo sulla base dei precedenti penali del ricorrente.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso, ha dedotto omessa motivazione per avere la Corte di appello irrogato una pena al di sopra del minimo edittale, senza spiegarne la congruità ai sensi dell’art. 133 cod. pen.
3. NOME COGNOME.
3.1. Con il primo e il secondo motivo, ha dedotto l’omessa assunzione di prova decisiva ex art. 603 cod. proc. pen. e la illogicità della motivazione, per non avere
la Corte distrettuale provveduto, benché fosse stata avanzata istanza rinnovazione della istruzione, all’espletamento di una perizia antropometric necessaria al fine di ricondurre in capo a NOME COGNOME la responsabilità “pestaggio” ai danni di COGNOME NOMENOME non essendo a tal fine affidabile riconoscimento fotografico operato dalla testimonianza di un ufficiale di poliz giudiziaria.
3.2. Con il terzo motivo, ha dedotto la violazione di legge, in relazione all 192 cod. proc. pen., e la illogicità della motivazione, per avere la Corte di ap identificato nel ricorrente l’autore del delitto di resistenza a pubblico uff nonostante il motociclo – che faceva da “apripista” a quello condotto da NOME COGNOME – fosse di colore scuro, mentre quello su cui lo stesso viaggia all’inseguimento di NOME risultava di colore bianco.
3.3. Con il quarto motivo, ha dedotto il vizio di motivazione, per avere la Cor distrettuale illogicamente riconosciuto la circostanza aggravante di cui all’art. bis.1 cod. pen. del metodo mafioso e dell’agevolazione mafiosa, nonostante NOME COGNOME non fosse presente al rione Pazziglio, non fosse stato condannato per reati associativi di stampo mafioso e il pestaggio ai danni dell’COGNOME pote inquadrarsi in normali contesti delinquenziali.
3.4. Con il quinto motivo, ha dedotto il vizio di motivazione, sub specie di motivazione apparente, per avere la Corte negato la concessione delle generiche sulla base dei soli precedenti penali e della personalità del ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene la Corte che i ricorsi presentati nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME non superino il preliminare vaglio di ammissibilità.
Per motivi di ordine sistematico si procederà ad esaminare singulatim la posizione di ciascuno dei ricorrenti.
2. Vicenzo NOME.
Con il primo motivo ricorso, il difensore del prevenuto ha introdotto “temi” non precedentemente sottoposti al vaglio della Corte distrettuale. Invero, con l’att appello, ha contestato la riconducibilità della condotta criminis in capo a NOME COGNOMECOGNOME ritenuto estraneo al pestaggio ai danni di NOME COGNOME, mentre con i ricorso ha contestato la qualificazione giuridica, ritenendo maggiormente corrett la sussunzione della fattispecie concreta nel delitto di rissa.
In tal modo, la difesa ha omesso di esaminare la quaestio iuris del concorso nel reato che era stata posta all’attenzione dei giudici di secondo grado e, cambian prospettazione, ha solo formalmente posto la questione della violazione di legg
per errata qualificazione giuridica della fattispecie, in tal modo sollecitando nel giudizio di legittimità una non consentita differente ricostruzione in fatto della vicenda.
Il devolutum, tuttavia, nei termini proposti “sfugge” al vaglio della Corte di cassazione. L’art. 609, comma 3, cod. proc. pen., precipitato logico giuridico del principio devolutivo, circoscrive la cognizione della Corte di cassazione entro il limite segnato dai motivi dedotti nell’atto di appello e preclude al giudice ad quem di estendere d’ufficio, salvo le eccezioni ex lege previste, la cognizione a questioni non prese in esame dal giudice a quo. Pertanto, per potere invocare una lacuna e/o una omissione motivazionale o un vizio di illogicità è necessario che il giudice a quo si stato posto in grado di conoscere e di esaminare la censura.
In particolare, il difensore ha chiesto a questa Corte una rilettura “orientata” degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione gravata, laddove ha prospettato che le macchie ematiche sugli abiti indossati da NOME COGNOME, in quanto riconducibili anche al predetto COGNOME oltre che all’COGNOME, avrebbero imposto una differente ricostruzione in fatto e una differente qualificazione giuridica.
Ora è noto che la rivisitazione del dato probatorio non è consentita in sede di legittimità, non potendo essere chiesto alla Cassazione un nuovo esame delle emergenze processuali da sovrapporre alle valutazioni compiute dai giudici di merito ed essendo il suo compito circoscritto alla verifica dell’esame di tutti gli elementi a disposizione, della corretta interpretazione di essi, della risposta alle deduzioni delle parti e della applicazione delle regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, ex multis, Sez. 6, n 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482-01; Sez. 6, n 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148-01)
Nel caso di specie, la trama argomentativa della sentenza impugnata è indenne da vulnus motivazionali. L’iter logico argomentativo è lineare, chiaro ed esaustivo; la vicenda nella sua oggettiva storicità è stata ricostruita in perfetta aderenza al dato probatorio e le conclusioni non sono né manifestamente illogiche né affette da incongruità (v. pagg. 6 ss. della sentenza di appello). D’altronde, al cospetto di tale apparato motivazionale, il difensore si è limitato sic et simpliciter a proporre una differente prospettazione fattuale, senza realmente “dialogare” con le argomentazioni spese dai giudici di merito.
Con il secondo motivo, il difensore ha contestato il riconoscimento dell’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. nella duplice declinazione del metodo mafioso e della agevolazione mafiosa, sia sotto il profilo della violazione di legge sia sotto il profilo del vizio di motivazione.
3.1. In ordine alla dedotta violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e del 238-bis cod. proc. pen., la censura nei termini proposti non supera il vaglio ammissibilità.
A tenore dell’art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. non è denunciabil l’error in procedendo in difetto di espressa sanzione di nullità, inutilizzabilità decadenza e/o inammissibilità. Le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione hanno, al riguardo, chiarito che non è consentito il motivo con cui si deduca violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. per censurare l’omessa valutazione deg elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all’ammissibilità delle dogl connesse alla motivazione, fissati specificatamente dall’art. 606, comma 1, le e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all’ 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., e in difetto di una espressa sanzion inutilizzabilità, nullità, inammissibilità, decadenza» (Sez. U. n 29541 16/07/2000, Filardo, Rv. 280027). La denunzia di una violazione di legge processuale non è, dunque, ammessa per introdurre surrettiz i amente doglianze che, relative alla logicità delle risposte date dai giudici di merito alle quest fatto, possono entrare nel giudizio di legittimità solo rappresentando i viz motivazione contemplati dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
3.2. Quanto poi al denunciato vizio di motivazione, va rilevato come il giudice di appello abbia spiegato- con motivazione saldamente ancorata alle obiettive risultanze processuali (pagg. 10- 16 della sentenza) – che l’agguato ai danni NOME COGNOME era inquadrabile nell’ambito di una sanguinosa faida tra due clan di stampo camorristico, in corso da qualche tempo a San NOME a Teduccio per accaparrarsi il controllo sul fiorente mercato dello spaccio e delle att economiche. Il pestaggio ai danni di COGNOME, affiliato al clan COGNOME, er dunque, l’ennesimo episodio che, senza soluzione di continuità, si era “innestat in un contesto di altri innumerevoli fatti di sangue, culminati anche in omicid tentati omicidi, riconducibili ad iniziativa di appartenenti al clan COGNOME, di ricorrenti erano “intranei”, nel tentativo di affermarne il dominio sul territo discapito del clan avverso.
I giudici di merito, da un lato, hanno efficacemente stigmatizzato le modalit dell’azione – manifestazione di elevata ferocia, consumata in pieno giorno, lung una pubblica via, ai danni di un “rivale”, a poca distanza da locali pubblici e presenza di intimiditi testimoni oculari (pag. 12 sent. di appello; pag. 23 s primo grado) – e dall’altro hanno adeguatamente focalizzato l’humus dei fatti causa, ricondotti ad una vera e propria “guerra di camorra”.
Il percorso argomentativo resta esente da vizi di manifesta illogicità e corretta applicazione del consolidato principio di diritto enunciato in subiecta materia dalla Corte di cassazione, secondo il quale l’aggravante del metodo
mafioso ricorre nell’ipotesi in cui l’illecito sia stato realizzato con l’utilizza una forza intimidatoria che ne mutui le modalità di azione e sia tale da creare ne vittima una condizione di assoggettamento, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafio piuttosto che di un criminale comune (Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019, dep. 03/43f 2020, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 5, n. 14867 del 26/01/2021, COGNOME, Rv. 281027; Sez. 2, n. 39424 del 09/09/2019, Pagnotta, Rv. 277222).
3.3. Manifestamente infondata è anche la doglianza relativa alla aggravante dell’agevolazione mafiosa. Il difensore ha in parte qua introdotto temi inconferenti rispetto al devolutum. L’assenza di provvedimenti giurisdizionali definitivi sulla esistenza e operatività di un sodalizio di stampo mafioso, riconducibile alla famigl NOME, non è un dato che consente ex se ed eo ipso di escludere l’aggravante di cui si discorre.
A tal riguardo, è utile evidenziare come, ai fini della configurabil dell’aggravante in oggetto, si registrino due diversi orientamenti. Secondo u primo orientamento, la configurabilità dell’aggravante in oggetto non richied necessariamente la sussistenza di una compagine mafiosa, seppure si sia precisato che lo scopo sia quello di contribuire all’attività di un’associazione operante contesto di matrice mafiosa, in una logica di contrapposizione tra gruppi ispira da finalità di controllo del territorio con le modalità tipiche previste dall’ar bis cod. pen. (Sez.2, n. 27548 del 17/5/2019, COGNOME, Rv. 276109; Sez.1, 18019 dell’11/10/2017, dep.2018, COGNOME, Rv. 273302; Sez. 2, n. 17879 del 13/3/2014, COGNOME, Rv. 260007). Secondo altro orientamento, che il Collegio reputa di dover privilegiare 7 la circostanza aggravante de qua, postulando che il reato sia commesso al fine specifico di agevolare l’attività di una determin associazione, implica necessariamente la prova dell’esistenza reale a no semplicemente supposta di essa (Sez.6, n. 1738 del 14/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274842; Sez. 2, n. 41003 del 20/9/2013, COGNOME, Rv. 257240; Sez.2, n. 49090 del 4/12/2015, COGNOME, Rv. 265515; Sez.6., n 11352 del 31/01/2023, COGNOME, Rv 284471-01). Purtuttavia, nell’ambito di detto orientamento, è fermo il principio secondo cui la prova del fenomeno associativo non necessariamente deve essere costituita da provvedimenti giurisdizionali definitivi ex art. 238-bis cod. proc. pen., poiché, in ragione del principio del l convincimento del giudice e dell’assenza di prove “legali”, essa può trarsi aliunde, sia da prova dichiarativa che documentale ex art. 234 cod. proc. pen.
Nel caso in esame, i giudici di merito hanno adeguatamente inferito la esistenza del clan RAGIONE_SOCIALE dalla valutazione sinottica del compendio probatorio, in specia modo dalle plurime e convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizi oggettivamente riscontrate e supportate dai risultati dell’attività Investigativa
una serie di provvedimenti giurisdizionali che – benché non definitivi – davano conto di significativi procedimenti penali in cui era stata accertata la sussist dan NOME (pagg. 23 ss., sentenza di primo grado).
Inammissibili per manifesta infondatezza e perché aspecifici sono i motivi relativi alla dosimetria della pena (terzo, quarto e quinto) che, tra strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
La Corte distrettuale si è soffermata sulla quaestio luris relativa alla contestazione ed applicazione della recidiva infraquinquennale. Al riguardo, ha valorizzato la condanna ad anni due e mesi quattro (oltre multa) per violazion dell’art. 73 d.P.R. n 309 del 1990, ritenendo – in ragione della non tenuità dei e del tempus commissi delicti (risalenti a circa un anno prima rispetto ai fatti di causa) – che la ricaduta nel crimine non fosse affatto occasionale, ma piuttos espressione di una accresciuta pericolosità sociale
Il ragionamento svolto è esente da profili di illogicità e incongruità.
Il riferimento ad una ulteriore e successiva condanna ad undici anni d reclusione e all’adozione di provvedimenti de libertate non hanno evidentemente orientato la decisione dei giudici, essendo piuttosto una informazione ulteriormente enunciata e trasfusa nel corpo motivazionale – per meglio tratteggiare la “personalità” del ricorrente.
Quanto alla doglianza relativa alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e all’applicazione di una pena superiore al minimo edittal si osserva che dette statuizioni implicano una valutazione discrezionale tipica d giudizio di merito e che quindi sfuggono al sindacato di legittimità, se non fr di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico: aspetti di negativit nel caso di specie, assenti.
La Corte territoriale, in modo congruo ed esaustivo, ha fatto riferimento al notevole gravità dei fatti commessi, al curriculum vitae di NOME COGNOMECOGNOME indicativo di particolare proclività a delinquere, all’assenza di elementi fat meritevoli di positivo apprezzamento. Quanto poi allo scollarnento dal minimo edittale, la pena base – sebbene determinata in misura superiore al minim edittale – è stata comunque contenuta entro la media edittale’ di guisa che n era richiesta una argomentazione dettagliata, essendo all’uopo sufficiente richiamo alla gravità dei fatti e alla negativa personalità del ricorrente (cos ex mu/tis, Sez. 3, n 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).
5. NOME NOME.
5.1. Il primo motivo di ricorso – con cui il difensore ha dedotto la violazion legge in relazione agli artt. 603 e 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen
inammissibile perché manifestamente infondato e perché acriticamente ripetitivo di questioni già congruamente scrutinate dai giudici di merito.
Nel giudizio di appello, come è noto, la rinnovazione istruttoria ha caratter eccezionale, dovendosi presumere che l’indagine sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado. Il potere del giudice è, dunque, subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predet presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. U 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820; Sez. U, 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203974)
Nel caso al vaglio i giudici di merito si sono uniformati agli enunciati principi diritto. Ed infatti, circa l’individuazione dell’imputato ed il suo coinvolgim nell’aggressione ai danni di NOME COGNOMECOGNOME la Corte d’appelllo ha spiegato ch NOME COGNOME era stato ripreso in volto da una delle telecamere che inquadravano le aree attigue al /ocus commissi delicti; che i fotogrammi estratti dalle videoriprese offrivano una immagine, chiara e nitida; che il teste di poliz giudiziaria, NOME COGNOMECOGNOME nel visionare i fotogrammi aveva, con certezza e senza palesare dubbi, riconosciuto tra le persone presenti anche il ricorrente. Corte distrettuale ha illustrato, con altrettanta precisione, le ragioni in bas quali tale riconoscimento fosse, nel caso in esame, particolarmente affidabile tenuto conto che l’autore era un agente di polizia giudiziaria che operava s territorio di San NOME da circa un ventennio e che lo stesso – benché no avesse mai fermato il ricorrente ne aveva tuttavia una conoscenza diretta e personale, avendolo incontrato pressoché quotidianamente in quel quartiere. Aggiungeva la Corte di merito – a sostegno ulteriore dell’affidabilità di qu riconoscimento- come il teste fosse aduso, per professione, a svolgere ricognizioni personali anche in condizioni logistiche difficile e complesse; il che escludeva c la mancata identificazione di NOME COGNOMECOGNOME durante l’inseguimento, potesse vulnerare l’attendibilità del successivo riconoscimento fotografico, dovendos apprezzare le fasi concitate dell’azione e il fatto che l’imputato viaggias velocità spedita a bordo di un motociclo (cfr. pagg. 11 ss. sent. impugnata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Alla luce di dette valutazioni, per i giudici di appello la perizia antropometr era un’indagine palesemente superflua, non sussistendo dubbio alcuno che anche NOME COGNOME avesse preso parte all’azione punitiva in danno di NOME COGNOME, Le conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito costituiscono i risultato di un percorso argomentativo logico, coerente, esaustivo, saldamente ancorato al dato probatorio, a fronte del quale le doglianze difensive hanno fini per risolversi nel mero “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutaz delle emergenze processuali da parte dei giudici di merito, e perciò, in una non
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consentita sollecitazione al giudice di legittimità di rilettura del dato probatorio (così, ex multis, Sez. 6, n 47204 del 7 /10/2015 COGNOME Rv. 265482; Sez. 6. n 22256 del 26/04/ 2006, COGNOME, Rv 234148).
5.2. Appare inidonea ad inficiare il ragionamento della Corte distrettuale anche la denunciata illogicità motivazionale, dedotta in termini di travisamento della prova, in relazione alla condanna per il reato di resistenza a pubblico ufficiale.
Il difensore ha sostenuto come la condanna di NOME COGNOME fosse conseguenza di un clamoroso errore percettivo del giudice di merito, dato che era emerso per tabulas, in specie dalla visione dei fotogrammi in atti, che il motociclo su cui l’imputato viaggiava all’inseguimento dell’COGNOME era di colore bianco, mentre il motociclo che aveva fatto da apripista all’altro mezzo, con a bordo i due complici, era di colore nero.
L’indicato contrasto non trova oggettivo riscontro nei fotogrammi allegati dalla stessa difesa. Sebbene in bianco e nero, detti fotogrammi raffigurano l’immagine di un motociclo in corsa con a bordo una persona, poi identificata in NOME: bianca è solo la maglietta indossata dal conducente e non anche il motociclo che è di colore scuro.
Sono inammissibili per manifesta infondatezza e per genericità i motivi ulteriori in punto di violazione di legge per errata applicazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e per mancata concessione delle generiche ex art. 62-bis cod. pen.
6.1. In relazione alla prima delle questioni dedotte, per economia espositiva, si rimanda a quanto già innanzi argomentato, essendo le censure perfettamente sovrapponibili quanto alla contestazione dell’aggravante in relazione al delitto di lesioni personali.
In ordine al delitto di resistenza a pubblico ufficiale (contestato al solo NOME COGNOME, essendo stato il coimputato giudicato separatamente), le censure sulla non configurabilità dell’aggravante del metodo mafioso non solo rimandano a valutazioni di fatto non consentite, ma poggiano su una ricostruzione dei fatti completamente diversa da quella offerta dai giudici di merito. I giudici di appello hanno evidenziato che – sebbene NOME COGNOME fosse sfuggito alle forze dell’ordine riuscendo a guadagnare la fuga, a differenza del fratello che era stato bloccato ed arrestato – il predetto aveva, comunque, deliberatamente condotto le forze dell’ordine all’interno del Rione Pazzigno, storica roccaforte del dan NOMERinaldi, al precipuo fine di ottenere fattivo aiuto dagli abitanti del quartiere (v. pag. 16 sent. impugn.). Circostanza poi effettivamente concretizzatasi, dal momento che circa una quarantina di persone prontamente erano scese in strada “per dare man forte al fuggitivo” e avevano cominciato a colpire con calci e pugni gli agenti, che erano rimasti feriti.
Tale argomentazione-appare esaustiva e non censurabile né sotto il profilo della illogicità manifesta né sotto quello della incongruenza.
6.2. In ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Co territoriale ha rimarcato sia la gravità dei fatti commessi, sia i precedenti pe l’assenza di elementi suscettibili di positivo apprezzamento; il ricorrente è per sottoposto a misura cautelare in altro procedimento penale per il reato di c all’art. 74 d.P.R. n 309 del 1990, aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen., nel quale è stato condannato ad una severa pena detentiva.
La motivazione, oltre che rispettosa della disposizione dettata dall’art. 133 c pen., applicabile anche ai fini della operatività dell’art. 62-bis cod. pen., è congrua e adeguata in base agli orientamenti interpretativi fissati in materia d giurisprudenza stabiliti in sede di legittimità (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 395 16/02/2017, Starace, Rv. 270986; Sez. 2, n.3896 del 20/01/2016, COGNOME Cotiis, Rv. 26582601).
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue – ai sensi dell’art cod. proc. pen. – la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (v. Corte cost., sent. n 186 del 2000), che si stima equo fissare nella mis indicata nel dispositivo che segue.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 29 maggio 2024.