Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 13785 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 13785 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
Sui ricorsi proposto da: COGNOME NOME nato 11 19/02/1973 a BARI COGNOME NOME nato il 22/02/1990 a BARI COGNOME NOME nato il 08/04/1970 a BARI NOME nato il 10/07/1977 a BARI avverso la sentenza in data 16/04/2024 della CORTE DI APPELLO DI BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentita la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
sentita l’Avvocata NOME COGNOME che, nell’interesse della parte civile REGIONE PUGLIA, si è associata alle conclusioni del pubblico ministero e si è riportata alle conclusioni scritte, contestualmente depositate unitamente alla nota spese;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di NOME COGNOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per il loro accoglimento, chiedendo l’applicazione del cumulo giuridico;
sentito l’Avvocato NOME COGNOME che, nell’interesse di COGNOME ha illustrato i motivi d’impugnazione e ha insistito per il loro accoglimento.
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RAGIONE_SOCIALEs…
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per il tramite dei rispettivi procuratori speciali e con separati ricorsi, impugnano la sentenza in data 16/04/2024 della Corte di appello di Bari, che ha confermato la sentenza in data 23/03/2023 del G.u.p. del Tribunale di Bari, che li aveva condannati per il reato di tentativo di estorsione pluriaggravata anche ai sensi dell’art. 416bis.1 cod. pen..
Deducono:
COGNOME NOME.
1.1. Vizio di motivazione e violazione di legge in relazione all’aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen..
Secondo il ricorrente la corte di appello ha erroneamente ritenuto che fosse stata riconosciuta dal primo giudice soltanto l’aggravante della modalità mafiosa e non anche quella dell’agevolazione mafiosa e quella ulteriore del fatto commesso con violenza o minaccia proveniente da soggetto appartenente a un’associazione mafiosa, così omettendo di motivare sugli specifici motivi di gravame esposti a loro riguardo.
Denuncia, quindi, l’insussistenza dei requisiti richiesti per la configurazione dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e, dopo avere enucleato le condotte poste a base della contestazione, osserva che «è evidente che non vi sia alcuna intenzione di agevolare alcun Clan delinquenziale: la richiesta è partita per mera occasione, allorché, durante l’intrattenimento diurno nei pressi del luogo di abituale ritrovo, si è deciso di proporre la richiesta, con il mero intento di spartirsi la somma tra di loro».
Aggiunge che COGNOME ossia la persona offesa, non si è intimidito davanti alle richieste estorsive, tanto che si rivolgeva alle forze dell’ordine.
Tale ultimo argomento viene richiamato anche per escludere la sussistenza del requisito dell’assoggettamento e dell’omertà, visto che COGNOME sin dall’immediatezza ha fatto i nomi dei propri taglieggiatori.
Rimarca come manchi l’ulteriore requisito del dolo specifico individuato nel fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso.
1.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla negazione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente osserva che la Corte di appello ha negato le circostanze attenuanti generiche valorizzando le concrete modalità dell’azione e la personalità di COGNOME e ritenendo che non fossero positivamente valutabili la piena confessione,
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A .,..).,
la presentazione delle scuse alla persona offesa e il versamento di cinquecento euro in favore di una ONLUS per la cura di bambini oncologici.
Ripercorre lo sviluppo delle circostanze che hanno condotto alla realizzazione dei fatti in esame, di cui si rimarca l’estemporaneità.
2. COGNOME NOME.
2.1. Vizio di motivazione sull’aggravante dell’art. 416-bis.1 cod. pen..
Dopo avere riportato la motivazione della sentenza di primo grado, il ricorrente sostiene che l’aggravante mafiosa è stata ritenuta nei confronti del COGNOME in violazione dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
A sostegno dell’assunto vengono illustrati i contenuti delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e viene descritto l’effettivo svolgimento dell’azione, al fine di evidenziare l’insussistenza dei requisiti richiesti per la configurazione dell’aggravante delle modalità mafiose.
Si rimarca come le osservazioni circa la configurabilità dell’aggravante delle modalità mafiose si rendano necessarie anche al fine di evitare duplicazioni di pena con il riconoscimento dell’aggravante del fatto commesso con violenza o minaccia proveniente da soggetto appartenente a un sodalizio di tipo mafioso.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di determinazione della pena.
A tale proposito si premette che le circostanze attenuanti generiche possono essere riconosciute anche per reati connotati dalla mafiosità.
Si evidenzia, quindi, come COGNOME non abbia mai contestato la propria responsabilità e come, inoltre, prima della definizione del giudizio di primo grado, abbia messo a disposizione della persona offesa una piccola somma di denaro, al fine di dimostrare il proprio pentimento.
Richiama i principi di proporzionalità e di finalità rieducativa della pena, che impongono un obbligo di motivazione tanto più approfondito, quanto più la pena si discosti dal minimo edittale, come nel caso in esame.
3. CAPUTO NOME
3.1. Violazione di legge e/o mancanza di motivazione in riferimento alle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorrente premette che le circostanze attenuanti generiche sono compatibili con l’aggravante del metodo mafioso ed evidenzia che il ruolo di COGNOME era stato marginale, la sua condotta si era risolta in una sporadica e strampalata richiesta di denaro, non accompagnata da violenza nei confronti della persona offesa.
3.2. Violazione di legge in riferimento all’aggravante dell’art. 71, comma 1, decreto legislativo n. 159 del 2011.
Secondo il ricorrente tale aggravante si rivolge soltanto all’estorsione consumata, ma non anche al tentativo di estorsione, in quanto quest’ultima ipotesi delittuosa non è contemplata nell’elenco del primo comma dell’art. 71 in esame.
Si duole, dunque, dell’ingiusto aumento di pena per tale aggravante.
3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’applicazione , della disciplina dell’art. 63, comma quarto, cod. pen..
In questo caso il ricorrente si duole dell’erroneità della sentenza nella parte in cui ha operato un doppio aumento di pena in relazione all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e per quella di cui all’art. 71 decreto legislativo n. 159 del 2011, là dove l’art. 63, comma quarto, cod. pen. consente soltanto un aumento per la violazione più grave, così che andava applicato un solo aumento per l’aggravante delle modalità mafiose, senza ulteriori aumenti.
Denuncia, quindi, la violazione di legge e il vizio di motivazione.
4. NOME NOME
4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 114 e 629 cod. pen..
Il ricorrente denuncia l’illogicità della motivazione, nella parte in cui la corte di appello, pur riconoscendo che NOME era rimasto estraneo alla condotta estorsiva, non ritiene -comunque- configurata la circostanza attenuante di cui all’art. 114 cod. pen..
Osserva come sulla base del giudizio controfattuale, sottraendo la presenza e il ruolo di NOME, non vi sarebbe mutamento della fisionomia del reato, dell’identità del fatto, delle modalità di esecuzione e del risultato finale.
Da ciò deduce la riconoscibilità dell’attenuante del contributo di minima importanza.
4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 546, lett. e), cod. proc. pen. e dell’art. 62-bis cod. pen..
In questo caso il ricorrente si duole della mancata considerazione del comportamento processuale di NOME e denuncia il vizio di omessa motivazione in punto di riconoscibilità di circostanze attenuanti generiche.
4.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 546, lett. e), cod. proc. pen. e dell’art. 629, comma secondo, cod. pen..
Il ricorrente denuncia il vizio di omessa motivazione in relazione alla richiesta difensiva di esclusione dell’aggravante delle più persone riunite, al cui riguardo si assume la mancanza di una risposta a opera della corte di appello.
Puntualizza come manchi il requisito della contemporanea presenza di più persone, visto che NOME compariva in una sola occasione e in assenza di altri soggetti.
4.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 546, lett. 1 4, cod. proc. pen., all’art. 416-bis.1 cod. pen. e all’art. 59, comma primo, cod. pen.,
Il ricorrente osserva che la platealità dell’azione e i plurimi richiami fatti dagli estorsori alla criminalità organizzata non sono idonei a configurare l’aggravante della modalità mafiose, a mente dei principi di diritto fissati in materia dalla Corte di cassazione, che vengono richiamati.
4.5. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 63, comma quarto, cod. pen.’,
Il motivo si rivolge all’aumento della metà della pena base per effetto dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., pur in presenza di un precedente aumento ai sensi dell’art. 629, comma secondo, cod. pen., così configurandosi una violazione dell’art. 63, comma quarto, cod. pen., essendovi un concorso tra aggravanti a effetto speciale e aggravanti a effetto speciale privilegiate che, in quanto tali, sono sottratte al giudizio di bilanciamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile.
1.1. Con il primo motivo di ricorso sostiene l’insussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., declinata nel senso dell’agevolazione mafiosa.
I giudici della corte di appello, però, hanno correttamente evidenziato che l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., è stata riconosciuta solo in relazione alle modalità mafiose, per come risulta sia dalla lettura della motivazione della sentenza di primo grado (pagine 32 e 33), sia dal fatto che nella determinazione della pena i giudici’ hanno applicato alcun aumento di pena correlato all’agevolazione mafiosa.
Da ciò l’inammissibilità del motivo, in quanto inteso a rimuovere una statuizione non contenuta nella doppia sentenza conforme.
1.1.1. Le ulteriori argomentazioni, con le quali si sostiene l’insussistenza dell’aggravante, sono inammissibili per le ragioni che si andranno a esporre ai paragrafi 2.1.1., 2.2. e 2.3..
1.2. Il secondo motivo di ricorso -con il quale il ricorrente si duole della negazione delle circostanze attenuanti generiche- è inammissibile perché prospetta valutazioni di merito non scrutinabili in sede di legittimità.
A tale proposito, va ricordato che, nel motivare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma sufficiente un congruo riferimento agli elementi negativi ritenuti decisivi o rilevanti ovvero all’assenza di elementi positivi, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione.
Tale motivazione è presente nel caso in esame, visto che i giudici hanno osservato come gli elementi valorizzati dalla difesa (confessione, la modesta somma donata a una ONLUS) risultavano recessivi rispetto al suo ruolo di autore materiale della condotta estorsiva e alla sua personalità, così come emergente dal curriculum delinquenziale.
La mera reiterazione delle medesime argomentazioni di merito contenute nell’appello e travasate nel ricorso porta all’inammissibilità del motivo.
2. Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile.
2.1. Entrambi i motivi di ricorso -con cui il ricorrente si duole del riconoscimento della circostanza aggravante delle modalità mafiose e della negazione delle circostanze attenuanti generiche- sono meramente reiterativi degli identici motivi contenuti nell’atto di appello e ora riproposti con il ricorso.
2.1.1. La Corte di appello ha spiegato che l’aggravante mafiosa doveva ritenersi configurata alla luce degli elementi concreti emersi, quali le modalità della richiesta estorsiva (conducendo COGNOME dal cantiere della sua attività sino al luogo notoriamente quartier generale del Clan Campanale, al cospetto del capo), i plurimi richiami fatti alla criminalità organizzata del luogo, la costante utilizzazione del plurale, la rappresentazione delle prassi estorsive come inevitabili e dilaganti in danno di imprenditori e di lavoratori, il riferimento ai sodali detenuti con l’implicito richiamo alla solidarietà criminale, il richiamo al controllo criminale del territorio tale da neutralizzare l’intervento delle Forze dell’ordine -al fine di scoraggiare la denuncia dei fatti da parte di NOME– e l’evocazione di gravi ritorsioni a opera del gruppo criminale nel caso di mancato pagamento.
La corte di appello ha così rinvenuto una molteplicità di elementi, tutti ampiamente significativi della sussistenza dell’aggravante della modalità mafiosa, in conformità al principio di diritto con il quale questa Corte ha precisato che «è configurabile la circostanza aggravante dell’utilizzo del “metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., nel caso in cui le modalità esecutive della condotta siano idonee, in concreto, a evocare, nei confronti dei consociati, la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso, quand’anche quest’ultima non sia direttamente indirizzata sui soggetti passivi, ma risulti comunque funzionale a una più agevole e sicura consumazione del reato» (Sez. 1, n. 38770 del 22/06/202, COGNOME, Rv. 283637 – 01).
2.1.2. Con riguardo alle circostanze attenuanti generiche, valga quanto esposto al paragrafo 1.2., specificandosi che a carico di COGNOME la Corte di appello ha valorizzato -oltre alla gravità delle condotte in esame- la personalità così come emergente dai gravi precedenti penali e la mancanza di elementi positivi di valutazione.
2.2. A fronte di ciò, le doglianze articolate nel ricorso non sono volte a evidenziare violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, ma mirano a sollecitare un improponibile sindacato sulle
scelte valutative della Corte di appello e reiterano in gran parte le censure già sollevate dinanzi a quel Giudice, che le ha ritenute infondate sulla base di una lineare e adeguata motivazione, strettamente ancorata a una completa e approfondita disamina delle risultanze processuali, nel rispetto dei principi di diritto vigenti in materia.
2.3. Va, dunque, ribadito che in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno, dovendo piuttosto verificare la coerenza strutturale della sentenza alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
2.4. Parimenti inammissibile per manifesta infondatezza risulta il denunciato vizio di motivazione in relazione alla misura della pena, in quanto superiore al minimo edittale.
La manifesta infondatezza emerge ove si consideri che la corte di appello ha dato puntuale risposta al -generico- motivo di gravame, spiegando che il giudice di primo grado si era correttamente discostato dal minimo edittale in ragione delle modalità del fatto, caratterizzate da plurime richieste estorsive, dai connotati non estemporanei della condotta, apparsa diversificata, continuativa e organizzata e accompagnate da una “straordinaria intensità del dolo”, tale da ingenerare estremo allarme sociale in capo alla collettività stanziata sulterritorio cti-i si sono svolti i fatti.
Da ciò discende la manifesta infondatezza dell’assunto secondo cui la corte di appello non avrebbe adeguatamente motivato sul trattamento sanzionatorio.
A ciò si aggiunga che il motivo di ricorso in esame è la pedissequa riproduzione dell’identico motivo di appello.
A fronte di tale evenienza va ribadito che «In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l’aggiunta di espressioni ch contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi appello non sono stati accolti» (Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., Rv. 281521 01); ovvero che «è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione
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di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso» (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01).
2.5. Il ricorso di COGNOME è, dunque, inammissibile.
Il ricorso di COGNOME NOME è inammissibile.
3.1. Il primo motivo si rivolge alle circostanze attenuanti generiche e la sua inammissibilità discende dalle ragioni esposte al paragrafo 1.2., con la specificazione che la corte di appello ha spiegato la sua negazione alla pagina 11, richiamando la modalità dei fatti e la personalità di COGNOME.
3.2. Il secondo motivo (con il quale si sostiene la non configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 71 decreto legislativo n. 159 del 2011) e il terzo motivo (con il quale si denuncia la violazione dell’art. 63, comma quarto, cod. pen.) non sono stati devoluti con l’atto di appello, così che essi non possono essere proposti per la prima volta con il ricorso.
3.2.1. Va ribadito, infatti, che «nel giudizio di legittimità, il ricorso proposto per motivi concernenti le statuizioni del giudice di primo grado che non siano state devolute al giudice d’appello, con specifico motivo d’impugnazione, è inammissibile, poiché la sentenza di primo grado, su tali punti, ha acquistato efficacia di giudicato (Massime Conformi n. 4712 del 1982, Rv. 153578; n. 2654 del 1983 Rv. 163291)» (Sez. 3, n. 2343 del 28/09/2018 Ud., dep. 2019, COGNOME, Rv. 274346).
3.2.2. Tanto vale anche per la questione relativa alla corretta applicazione dell’art. 63, comma quarto, cod. pen. ora in esame, atteso che non viene dedotto -né si rileva- che la pena esorbiti dai limiti edittali, così dovendosi ribadire che «l’errore di diritto contenuto nella sentenza di primo grado riguardante le modalità di calcolo della pena, comunque fissata entro i limiti edittali ed in assenza di modifiche normative incidenti sulla determinazione della stessa, non può essere prospettato per la prima volta con ricorso per cassazione, né è rilevabile d’ufficio, ai sensi dell’art. 609, comma secondo, cod. proc. pen., non potendosi ritenere nel suo complesso la pena irrogata all’imputato “illegale”. (Nella fattispecie, la SRAGIONE_SOCIALE. ha dichiarato inammissibile il ricorso che aveva prospettato per la prima volta e con motivi nuovi l’erronea applicazione della regola di cui all’art. 63, quarto comma, cod. pen. da parte del giudice di primo grado, osservando come si trattasse di questione non rilevabile d’ufficio ma che avrebbe dovuto essere oggetto di doglianza in sede di appello, atteso che, nonostante l’erroneo calcolo dell’aumento effettuato per la recidiva, la pena finale non era comunque diversa, né esorbitante dalla previsione legale)».
Segue l’inammissibilità del motivo in esame e del ricorso nella sua interezza.
Il ricorso di NOME NOME è inammissibile.
4.1. Il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente si duole del mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. è inammissibile, perché
si risolve in una valutazione di merito alternativa a quella dei giudici della doppia sentenza conforme.
La corte di appello ha affrontato la questione sollevata con il gravame -oggi ribadita con il ricorso- e ha escluso che in favore di NOME potesse riconoscersi l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., osservando che la sua condotta forniva un contributo significativo alla perpetrazione del delitto, prima e dopo la richiesta estorsiva avanzata dagli altri correi, secondo le modalità descritte alle pagine 6 e seguenti della sentenza impugnata.
In particolare, i giudici dell’appello, dopo avere richiamato la giurisprudenza di legittimità (in particolare Sez. 4, n. 26525 del 20/06/2023), hanno evidenziato che «nel caso in esame (…) il NOME, pur essendosi mantenuto estraneo alla condotta di tentata costrizione, ha assunto un ruolo di oggettivo rilievo, in quanto, a fronte delle resistenze e degli indugi del COGNOME, è intervenuto presso quest’ultimo, evidentemente su incarico dei concorrenti, per assicurare che le minacce conseguissero l’effetto intimidatorio di cui erano senz’altro munite, effetto poi non realizzatosi per l’intervento delle Forze dell’Ordine» (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
In sostanza, la corte di appello ha escluso che il contributo fosse di minima importanza, in quanto l’intervento di NOME arrivava in un momento in cui le resistenze della vittima facevano diventare incerto il perseguimento dell’ingiusto profitto, così che la condotta dell’imputato aveva la funzione di rafforzare l’effetto di intimidazione della minaccia.
In tal senso i giudici hanno ritenuto che la condotta dell’imputato non rivestisse quei connotati di efficacia causale così lieve, rispetto all’evento, da risultare trascurabile nell’economia generale del crimine commesso, così conformandosi alla giurisprudenza sintetizzata nel principio di diritto enunciato nella sentenza di questa Corte n. 26525 del 20/06/2023 (Malfarà, Rv. 284771 – 01), con motivazione adeguata, logica e non contraddittoria e che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità.
Da qui la ragione d’inammissibilità indicata al paragrafo 2.3., atteso che il motivo in esame offre una lettura delle emergenze processuali alternativa a quella dei giudici di merito, così prospettando questioni non scrutinabili dalla Corte di cassazione.
4.2. Con riguardo al motivo dedicato alle circostanze attenuanti generiche, vanno richiamate le ragioni indicate al paragrafo 1.2., con la specificazione che al suo riguardo la corte di appello ha evidenziato l’assenza di elementi positivi, posto che l’unico elemento rappresentato dalla difesa era quello dall’assenza di precedenti penali, smentito dal casellario giudiziale e, comunque, irrilevante ai fini del riconoscimento delle attenuanti in questione.
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4.2.1. A tale ultimo proposito va ricordato che «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato» (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01).
4.3. Il terzo motivo di ricorso (con il quale si duole della mancata risposta in ordine alla sussistenza dell’aggravante delle più persone riunite) è inammissibile, perché dedotta per la prima volta in Cassazione.
Nell’atto di appello, invero, venivano esposte censure in ordine alla partecipazione di NOME alla condotta estorsiva (primo motivo), alla configurabilità dell’aggravante del metodo mafioso (secondo motivo), alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. (terzo motivo) e all’eccessività della pena (quarto motivo, con il quale si prospetta una determinazione della pena più mite rispetto a quella inflitta).
Nulla viene dedotto in ordine alla non configurabilità dell’aggravante delle più persone riunite, così che la questione non può essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità.
Valga quanto rilevato al paragrafo 3.2.1..
4.4. Il motivo relativo alla configurabilità dell’aggravante del metodo mafioso è inammissibile, perché manifestamente infondato.
4.4.1. Il ricorrente assume che la corte di appello ha male inteso il correlato motivo di appello, assumendo che nell’atto di gravame la difesa aveva dedotto che l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. avesse natura soggettiva.
Secondo il ricorrente, invece, con l’impugnazione si intendeva affermare che l’aggravante delle modalità mafiose, pur avendo natura oggettiva, non poteva essere automaticamente estesa a tutti i concorrenti del reato, se non in violazione dell’art. 59 cod. pen..
L’assunto difensivo, però, è smentito dalla lettura dell’atto di appello, dove, dopo l’esposizione di alcune argomentazioni in fatto, si legge «pertanto è lampante come il NOME abbia rivestito un ruolo di cuscinetto e quindi allo stesso non può essere attribuita la aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod pen. che come è noto ha natura soggettiva (secondo il dictum di Cassazione SS.UU. n. 8545/2020 del 3 marzo 2020) e si applica “al concorrente che abbia assicurato il suo apporto al perfezionamento dell’azione illecita, nelle forme volute dai concorrenti».
Il dato letterale delle espressioni usate nel motivo d’impugnazione e l’espresso e letterale richiamo a:1432 alla sentenza delle Sezioni Unite c.d. COGNOME, con la quale è stata chiarita la natura soggettiva dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa, dimostra come la motivazione della corte di appello sia aderente al motivo
devolutole, quando osserva che l’odierno ricorrente sosteneva la natura soggettiva all’aggravante contestata, richiamando principi che -però- riguardavano l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, non contestata né ritenuta nel giudizio in esame.
Specifica, a tale proposito, la corte di appello: «Anche le difese degli altri imputati incorrono nel medesimo equivoco, in quanto in vari passaggi dei rispettivi atti di appello lamentano la mancata prova della finalità di agevolazione dell’associazione mafiosa e invocano erroneamente una natura soggettiva dell’aggravante in realtà propria della forma alternativa, mai oggetto di contestazione».
L’assunto secondo cui la corte di appello avrebbe travisato il contenuto della doglianza esposta nell’atto di appello, risulta, quindi, manifestamente infondata, atteso che la corte di appello ha dato puntuale risposta alla doglianza esposta con l’appello, con la quale si sosteneva la natura soggettiva dell’aggravante, alla luce dei principi espressi dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 8545 del 19/12/2019 ( (dep. 2020, COGNOME, Rv. 278734 – 01).
Tanto comporta che con le argomentazioni esposte con il motivo in esame -nella parte in cui si sostiene che l’aggravante delle modalità mafiose ha natura oggettiva, ma non può essere estesa automaticamente agli altri concorrenti se non in violazione dell’art. 59 cod. pen.- viene sollevata una questione nuova, non devoluta con l’atto di appello e posta per la prima volta davanti alla Corte di cassazione.
Da qui le ragioni d’inammissibilità esposte al paragrafo 3.2.1..
4.4.2. Il ricorrente sostiene, altresì, che nel caso in esame non è possibile configurare l’aggravante delle modalità mafiose, prospettando una rilettura delle emergenze processuali alternativa a quella dei giudici di merito.
L’assunto è inammissibile per le ragioni indicate ai superiori paragrafi 2.1.1., 2.2. e 2.3..
4.4.2. Con l’ultimo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 63, comma quarto cod. pen..
Anche in questo caso non può che rilevarsi come la questione venga sollevata per la prima volta davanti alla Corte di cassazione, così valendo le ragioni d’inammissibilità illustrate ai superiori paragrafi 3.2.1. 2 3.2.2..
Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
6. L’esito del giudizio comporta anche la condanna dei ricorrenti, in solido, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla regione Puglia
nel presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle am-
mende. Condanna, inoltre, gli imputati in solido alla rifusione delle spese di rap- presentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile regione Pu-
glia che liquida in complessivi euro 3.686,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 04/02/2025