Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1290 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1290 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 17/12/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; sentito il difensore del ricorrente, avvocata NOME COGNOME in qualità di sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME la quale si è riportata ai motivi di ricorso ed ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.NOME COGNOME impugna il provvedimento indicato in epigrafe con il quale il Tribunale del Riesame ha confermato l’ordinanza del 21 maggio 2024 del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano che gli aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati di usura (artt. 110, 81 cpv.,644, cod. pen., in Turate nel maggio 2020 di cui al capo 38), estorsione aggravata (artt. 110, 81 cpv., 61, n. 2, 629 commi 1 e 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 1, 416-bis. 1 cod. pen., commesso il 30 ottobre 2020,
p.o. NOME COGNOME capo 39); estorsione aggravata (artt. 110, 81 cpv., 61, n. 2, 629, commi 1 e 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 1, 416-bis. 1 cod. pen. , commesso il 30 novembre 2020, p.o. NOME COGNOME capo 40), indebito utilizzo di carte credito e altri strumenti di pagamento (capi 47, 48 e 49), reati commessi tra il 28 dicembre 2020 e il 24 marzo 2021.
I reati di cui ai capi 39 e 40 sono contestati con riferimento all’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. per avere posto in essere le condotte avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis.1 cod. pen. ossia della forza intimidatrice del clan mafioso ingenerando nella vittima il timore per l’appartenenza – nota e precipita dai destinatari- degli indagati a un gruppo criminale ndranghetistico avente le caratteristiche di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen..
2.Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione i ricorrente denuncia:
2.1. erronea applicazione della legge penale (art. 606, lett. b) cod. proc. pen.) con riferimento alla pretesa partecipazione dell’imputato al sodalizio di cui all’art. 416-bis cod. pen. descritto ai capi 38, 39 e 40 della rubrica e vizio d motivazione con riferimento alla supposta integrazione dei requisiti di stabilità del vincolo associativo, dell’indeterminatezza del programma criminoso e dell’affectio societatis. Il ricorrente, dopo avere svolto l’inquadramento sistematico del reato associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. e ai suoi requisiti, materiale psicologico, rileva come le condotte ascritte al ricorrente (il ruolo di esattore di un credito comune al Bono nei confronti del COGNOME; l’aggressione con modalità mafiose del debitore; la finalità agevolatrice degli scopi dell’associazione) non siano idonee a configurare a carico del COGNOME la condotta partecipativa potendo essere ricondotte a quelle di complicità in specifiche ipotesi delittuose. Il Tribunale non ha valutato in questa prospettiva le allegazioni difensive, prodotte in sede di riesame, essendo idonee a denotare il requisito della stabilità dell’apporto trattandosi di fatti collocati in un contesto temporale ristretto e isolato e di apport fu ng i bili ;
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari e proporzionalità della misura applicata. La motivazione del Tribunale, meramente reiterativa dell’ordinanza generica e adesiva alla natura presunta delle esigenze cautelari, non si confronta con le deduzioni difensive e con gli elementi nuovi apportati in sede di discussione; non motiva sulla gravità dei fatti, evocata a sostengo della ricorrenza delle esigenze, tenuto conto dell’epoca risalente dei fatti. In sintesi, si tratta di motivazione carente.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile
2.11 primo motivo di ricorso è generico e non si confronta con le specifiche contestazioni provvisorie ascritte al ricorrente che non comprendono la contestazione a suo carico – e per vero ad alcuno degli indagati – del reato associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. essendo contestato, quale fattispecie associativa, solo quella in materia di stupefacenti (il capo 19), che non è ascritto al ricorrente e che neppure è aggravato ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., aggravante contestata unicamente in relazione ai reati di estorsione, in forma di utilizzazione del metodo mafioso.
L’ordinanza impugnata contiene ampi riferimenti al contesto ndranghetista di provenienza degli indagati sia con riferimento al reato associativo di cui al capo 1, contestato, però a soggetti diversi (NOME COGNOME e NOME COGNOME) sia ai collegamenti degli indagati componenti il sodalizio dedito al traffico di stupefacenti di cui al capo 19 con i clan COGNOME e COGNOME, famiglia, questa, della quale il ricorrente NOME COGNOME (pag. 12) si proclama “discendente”, rassicurando uno dei correi, NOME COGNOME (coindagato nei reati di cui ai capi 47, 48 e 49) circa il coinvolgimento di “persone che scherzi non ne fanno”, allusione ricondotta proprio alla mamma calabrese di Rosarno e NOME COGNOME.
Quelle svolte nell’ordinanza impugnata e nell’ordinanza impositiva non sono, tuttavia, argomentazioni poste a sostegno della sussistenza del reato associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. a carico di NOME COGNOME, coindagato del ricorrente nei reati di cui ai capi 38 e 39 e, men che mai, di si tratta di profili valorizzati fini della sussistenza dei reati specificamente ascritti al ricorrente.
Il motivo di ricorso risulta, dunque, “fuori fuoco” tenuto conto che con il ricorso neppure vengono esaminati profili di criticità con riferimento alla sussistenza dei reati per i quali è stata emessa la misura (la cui prova deriva, in massima parte, da intercettazioni telefoniche, compresi gli episodi di minaccia e pestaggio del debitore), reati che non hanno costituito oggetto dell’odierno ricorso tutto incentrato, come si evince dalla sintesi riportata, sulla “insussistenza del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. a carico del ricorrente”, per mancanza degli elementi costitutivi.
Solo per completezza va precisato che l’ordinanza (a pag. 37) esamina la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis. 1 cod. pen. in relazione ai reati di cui ai capi 39 e 40, anche in tal caso richiamando il “contesto mafioso” di appartenenza degli indagati e del ricorrente.
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Il ricorrente non ha contestato la sussistenza e la configurabilità dell’aggravante che, vale la pena di ricordarlo, ricorre, a prescindere dall’appartenenza mafiosa dell’agente.
Nel caso in esame è stata valorizzata la “estrema violenza” delle condotte intimidatorie in danno della persona offesa che aveva piena consapevolezza di avere avviato rapporti con “i calabresi”, da egli stesso percepiti come persone particolarmente pericolose.
3.11 motivo di ricorso sulla insussistenza delle esigenze cautelari e adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere è generico e manifestamente infondato.
Nell’ordinanza impugnata è stata compiutamente motivata la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura non solo evidenziando la contiguità del ricorrente ad ambienti di criminalità organizzata ma soprattutto la estrema gravità dei fatti connotati dall’uso di significativa violenza.
Il Tribunale ha esaminato anche le deduzioni difensive sul tempo trascorso dai fatti – i fini dell’attualità e concretezza del pericolo e dell’adeguatezza dell misura – ma ha ritenuto recessivo tale aspetto rispetto al carattere non occasionale delle condotte sottolineando, viceversa, la “consolidata professionalità illecita” dell’indagato, aspetto, questo, che emerge anche dalle modalità di commissione del reato di usura.
La motivazione del Tribunale, che non fa riferimento alla presunzione relativa operante ai sensi dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., è affatto carente o illogica e le deduzioni difensive si risolvono, al confronto delle illustrate argomentazioni, nella richiesta di una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito, senza realmente specificare gli aspetti di criticità dei passaggi giustificativi della decisione, cioè, omettendo di confrontarsi realmente con la motivazione dell’ordinanza impugnata che ha valorizzato concreti elementi di fatto esprimendo un motivato giudizio sulla personalità dell’indagato e sui tratti violenti che la connotano ritenuti altamente sintomatici del pericolo di reiterazione di gravi reati della stessa natura di quelli per i quali si procede, pericolo che può essere adeguatamente tutelato solo con la misura di massimo rigore.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a quella di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo. Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti indicati in dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art.94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 17 dicembre 2024
La Consigliera relatrice