Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 24105 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 24105 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
COGNOME NOMECOGNOME nato a Giugliano In Campania il 23/08/1961 avverso l’ordinanza del 25/02/2025 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; sentite le conclusioni del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha per l’accoglimento d ei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli, in funzione di Tribunale del riesame, ha integralmente confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli in data 20 dicembre 2024, che aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di cui
agli artt. 81, 110, 512bis e 416bis .1 cod. pen. (capo 39) e 81, 629, secondo comma, e 416bis .1 cod. pen. (capo 40).
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi di impugnazione, che qui si riassumono nei termini di cui all ‘ art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge (in relazione agli artt. 110 e 512bis cod. pen. e 63 cod. proc. pen.) e mancanza, apparenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, per quel che attiene al capo 39.
In primo luogo, si eccepisce l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME (uno dei due gestori di fatto, assieme al ricorrente, della società asseritamente riconducibile a NOME COGNOME e NOME COGNOME) . Al momento in cui fu sentito, COGNOME sarebbe stato ben consapevole del coinvolgimento della camorra nell’affare Komodo, come desumibile da intercettazioni di quasi due anni prima, e avrebbe dovuto, perciò, essere sentito nella qualità di indagato. A fronte di tale inutilizzabilità patologica, si imporrebbe, dunque, la prova di resistenza del residuo materiale indiziario.
Mancherebbe, inoltre, una valutazione attenta dell’attendibilità intrinseca e d estrinseca del dichiarante, necessaria avuto riguardo alle plurime inesattezze e contraddizioni rilevabili dai diversi verbali (sia pure non rilevate dai giudici del merito cautelare, i cui provvedimenti risulterebbero, sul punto, viziati da motivazione meramente apparente o del tutto illogica). In ogni caso, non si rileverebbero elementi da cui far discendere la consapevolezza in capo a Di Girolamo della finalità elusiva oggetto di provvisoria imputazione.
2.2. Violazione di legge (in relazione agli artt. 610, 612 e 629 cod. pen. e 63 cod. proc. pen.) e mancanza, apparenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, per quel che attiene al capo 40, sempre con riferimento alla già dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME, che travolgerebbe anche il percorso giustificativo in tema di estorsione.
Peraltro, mancherebbe ogni delibazione in merito all’efficacia minatoria delle condotte, dato che la persona offesa tenne comportamenti del tutto incompatibili con un ‘ effettiva coartazione (autoregistrazione di un colloquio «con il ritenuto camorrista Dell’Aquila»; azione civile contro una sua familiare; denuncia degli abusi edilizi compiuto da Komodo; uso di espressioni di pari natura intimidatoria da parte del medesimo COGNOME). Difetterebbero, anche in questo caso, argomenti da cui inferire il fine di agevolare il Clan Mallardo.
2.3. Violazione di legge (in relazione all’art. 416 -bis .1 cod. pen.) e mancanza o apparenza della motivazione, per quel che attiene alla sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa , poiché, come detto, mancherebbe ogni
chiarimento specifico sul punto, laddove COGNOME non è inserito nella consorteria e non ha alcun addebito ex art. 416bis cod. pen.
2.4. Violazione di legge (in relazione agli artt. 125, comma 3, 274 e 275 cod. proc. pen.) e mancanza, apparenza o contraddittorietà della motivazione, in tema di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura, fondate dal Tribunale soltanto sulle presunzioni di legge, non operative qualora, in accoglimento del precedente motivo, dovesse venire meno l’aggravante mafiosa, anche in considerazione del tempo trascorso tra i fatti per cui si procede e l’emissione della misura e della risalente collocazione cronologica dei precedenti, non legati alla criminalità organizzata.
Parimenti non suffragata da specifiche necessità apparirebbe, infine, la misura custodiale.
All’odierna udienza camerale, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Per quel che attiene alla dedotta inutilizzabilità di quanto riferito da COGNOME, a fronte della eterogenea composizione della piattaforma indiziaria -costituita da plurime emergenze a carico del ricorrente (dichiarazioni eteroaccusatorie dei numerosissimi collaboratori di giustizia, vicendevolmente riscontrantisi; esiti dell’attività di intercettazione, anche tramite captatore; acquisizioni documentali; denuncia di COGNOME; dichiarazioni di COGNOME) -la mancata deduzione della censura davanti al Tribunale del riesame impedisce una piena e corretta devoluzione davanti a questa Corte.
Secondo il costante orientamento di legittimità, che il Collegio condivide e ribadisce, quando il ricorso lamenti l’inutilizzabilità di uno specifico elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per difetto di specificità, l’incidenza dell’eventuale espunzione di questo elemento, alla luce del criterio della cosiddetta ‘prova di resistenza’ delle residue emergenze; queste ultime, di per sé sole, ben potrebbero risultare sufficienti -all’esito di verifiche di natura schiettamente fattuale -a giustificare il medesimo convincimento, di modo che la questione diverrebbe del tutto irrilevante (cfr. Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, COGNOME, Rv. 287024-02; Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 279829-01; Sez. 6, n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278123-01; Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, COGNOME,
Rv. 270303-01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218-01).
D’altr a part e, pur nella peculiarità del contesto decisorio delineato dall’art. 309 cod. proc. pen., il ricorrente ha comunque l’onere di specificare le doglianze attinenti al merito (sul fatto, sulle fonti di prova e sulla relativa valutazione), così da provocare il giudice del riesame a fornire risposte adeguate e complete, sulle quali la Corte di cassazione può essere poi chiamata ad esprimersi, nei limiti della propria cognizione. In mancanza di tale devoluzione, è quindi del pari inammissibile il ricorso che sottoponga al giudice di legittimità censure su tali punti, che non possono trovare risposte per carenza di cognizione in fatto, addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere, in relazione ai limiti del giudizio di cassazione, ex art. 606 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 20003 del 10/01/2020, COGNOME, Rv. 279505-03; Sez. 6, n. 16395 del 10/01/2018, COGNOME, Rv. 272982-01).
Nel caso di specie, innanzitutto, la questione della spendibilità processuale delle dichiarazioni di COGNOME -questione che non può prescindere da uno scrutinio, prettamente di merito sulla effettiva condizione di ‘indagabile’ al momento dell’assunzion e a sommarie informazioni -non risulta dedotta, neppure nella discussione davanti al Tribunale, successivamente al deposito dell’atto di impugnazione con riserva di motivi (cfr. ordinanza impugnata, p. 2, nonché verbale dell’udienza del 25 febbraio 2025, a mente del quale l’allora difensore ha concluso semplicemente «per l’annullamento dell’ordinanza per carenza dei gravi indizi di colpevolezza e comunque di esigenze cautelari. Deposita documentazione relativa alle vicende civilistiche tra le parti»).
D’altronde, nel ricorso di legittimità, la difesa correttamente registra la necessità procedurale di verificare l’idoneità del restante materiale investigativo a sostenere il vincolo personale, in caso di eliminazione del contributo di COGNOME dalle risultanze ritualmente utilizzabili, ma poi non svolge sul punto concrete considerazioni, limitandosi ad esporre riflessioni meramente rivalutative in ordine all’attendibilità del teste, viceversa scrutinata non superficialmente e confortata da quanto emerso dall’attività captativa (cfr. ordinanza impugnata, pp. 2 -5, 6-11). Peraltro, tra gli atti ipoteticamente suscettibili di essere espunti dalla provvista indiziaria non potrebbe, comunque, annoverarsi la denuncia presentata da COGNOME solo successivamente sentito dagli operanti (cfr. Sez. 2, n. 16382 del 18/03/2021, Canino, Rv. 281129-01, secondo cui, condivisibilmente, le dichiarazioni, contenute in una denuncia-querela, spontaneamente rese da soggetto non ancora formalmente indagato, pure attinto da indizi di reità per vicende potenzialmente suscettibili a dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo carico per reati connessi o collegati a quello oggetto di denuncia, non sono
soggette alle garanzie di cui all’art. 63 cod. proc. pen., risultando implicitamente abdicato dal soggetto interessato il diritto al riserbo su vicende che potrebbero ridondare a suo danno; invero, gli esiti patologici derivanti dal presidio codicistico so no diversamente modulati con riguardo alla natura dell’atto e alla fase processuale cui inerisce l’eccezione di inutilizzabilità. In termini, da ultimo, Sez. 2, n. 15961 del 04/04/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 5, n. 25048 del 9/5/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 49976 del 15/11/2023, COGNOME, non mass.).
I profili di censura articolati nel primo e, in parte, nel secondo motivo risultano, dunque, insuperabilmente generici e, comunque, non consentiti.
Per quanto attiene all’ulteriore doglianza contenuta nel secondo motivo e incentrata sull’idoneità delle condotte contestate al capo 40 a coartare la volontà della persona offesa, si rileva come la questione sia priva di rilievo, non vertendo l’imputazione in tema di delitto tentato, e comunque non consentita, in presenza di una motivazione -congrua, logica e coerente con la piattaforma investigativa (e, pertanto, intangibile nel giudizio di legittimità, pur se disattende implicitamente argomenti difensivi di segno contrario) -che afferma, per quanto emerso in questa fase ancora fluida degli accertamenti, la sussistenza del nesso causale tra i «reiterati comportamenti minacciosi e intimidatori aggravati dalla modalità camorristica consistita nell’evocare l’interesse della famiglia COGNOME» e il conseguente «compimento di una disposizione patrimoniale a lui sfavorevole, ovvero la cessione non liberamente autodeterminata delle quote sociali della società RAGIONE_SOCIALE».
Le deduzioni in ordine all’aggravante mafiosa, proposte nel terzo motivo (e, in parte, preannunciate nel secondo), sono manifestamente infondate.
Il dolo specifico di agevolare il Clan COGNOME è più che adeguatamente chiarito dal complessivo apparato argomentativo, che muove proprio da un attento inquadramento delle vicende, collocate nello scenario criminale del territorio giuglianese, nell’ambito del quale NOME COGNOME, detto ‘COGNOME‘, secondo quanto concordemente emerso dalle intercettazioni e riferito dai collaboratori di giustizia, era da tempo uomo di fiducia del reggente del Clan COGNOME, NOME COGNOME (addirittura suo tesori ere durante la latitanza), e riciclatore del denaro del sodalizio, ribadendo poi l’assoluta consapevolezza esplicitata allo stesso COGNOME -che anche le quote sociali in oggetto erano riferibili alla famiglia COGNOME‘Aquila, per diretto interessamento d i NOME COGNOME, che curava gli affari durante la detenzione del marito.
Il mancato annullamento in punto di aggravante mafiosa fa venir meno lo stesso presupposto logico-giuridico del quarto motivo che a tale auspicato sviluppo procedimentale era espressamente subordinato.
In ogni caso, il Collegio condivide e intende ribadire l’orientamento esegetico per cui, in tema di applicazione di misure cautelari personali, il disposto di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. sancisce, in caso di reati aggravati ex art. 416bis .1 cod. pen., una doppia presunzione per ciò che concerne la sussistenza delle esigenze cautelari e l’adeguatezza al loro contenimento della sola misura carceraria, quest’ultima assoluta e superabile nei soli casi previsti dall’art. 275, commi 4 e 4bis , cod. proc. pen (cfr. Sez. 2, n. 24515 del 19/01/2023, COGNOME, Rv. 284857-01. Cfr. anche Sez. 2, n. 23935 del 04/05/2022, Alcamo, Rv. 28317601; Sez. 1, n. 38603 del 23/06/2021, COGNOME, Rv. 282049-01; Sez. 2, n. 22096 del 03/07/2020, COGNOME, Rv. 279771-01). In particolare, quando si abbia una contestazione non di intraneità a un contesto associativo di tipo mafioso, ma attenga solo al suddetto profilo circostanziale, la presunzione di perdurante pericolosità ha carattere marcatamente relativo e il giudice è chiamato a valutare gli elementi astrattamente idonei a escluderla, desunti dal tipo di reato per il quale si procede, dalle concrete modalità del fatto e dalla distanza temporale dei precedenti (Sez. 5, n. 1525 del 06/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 28580801).
Il Tribunale del riesame, nella pienezza della giurisdizione di merito, condividendo le riflessioni poste a fondamento del provvedimento genetico, ha compiutamente chiarito come la suddetta presunzione di pericolosità, pure non assoluta, non sia nondimeno vinta da elementi di segno contrario ed anzi la prognosi infausta di recidivanza resti confermata appieno dai precedenti gravissimi, pur non recenti (omicidio volontario, rapina, porto e detenzione illegale di armi) e dalle emergenze investigative (contiguità per molti anni ai vertici della criminalità camorristica dominante nel territorio).
A fronte di queste lineari riflessioni, il solo decorso del tempo, peraltro, non risulta sufficiente di per sé solo, a disarticolare il percorso giustificativo del Tribunale in ordine ai requisiti dell’attualità e della concretezza del pericolo ( cfr. Sez. 2, n. 22059 del 04/06/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 18645 del 15/04/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 2, n. 6592 del 25/01/2022, COGNOME, Rv. 282766-02; Sez. 1, n. 21900 del 07/05/2021, COGNOME, Rv. 282004-01).
Nessuna possibilità, di conseguenza, neppure di censurare la scelta della misura intramuraria.
Il motivo è, dunque, manifestamente infondato.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma in favore della Cassa delle ammende, da liquidarsi equitativamente, valutati i profili di col pa emergenti dall’impugnazione (Corte cost., 13 giugno 2000, n. 186), nella misura indicata in dispositivo.
Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in libertà del ricorrente, deve provvedersi ai sensi dell’art. 94, comma 1 -ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda la Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 18 giugno 2025.