Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11994 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11994 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME NOME nato a CENTURIPE il 02/10/1965
avverso l’ordinanza del 03/10/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di CALTANISSETTA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
GLYPH Con ordinanza del 01/02/2024, il Tribunale del riesame di Caltanissetta adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. – ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale di Vibo Valentia del 09/09/2024, di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME COGNOME in quanto gravemente indiziato del delitto di cui agli artt. 81 cod. pen., 2 legge 895 del 1967, art. 416 bis.1 cod. pen., – per avere, in concorso con NOME e NOME COGNOME, detenuto e occultato presso i locali del bar INDIRIZZO, nei vani adibiti a magazzino/deposito, di proprietà del medesimo ricorrente, un fucile mitragliatore kalashnikov tipo TARGA_VEICOLO con inserito un caricatore contenente 16 munizioni da guerra atte all’impiego; con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa Cosa Nostra a Regalbuto, ivi commesso il 1 marzo 2024.
L’ordinanza emessa dal GIP il 09/09/2024 seguiva una precedente misura cautelare custodiale, già emessa dal medesimo Giudice della cautela a seguito dell’arresto in flagranza di NOME COGNOME avvenuto in data 10 m rzo 2024, allorquando il reato di detenzione di armi e munizioni da guerra era stato contestato senza la specifica aggravante di cui all’art. 416 bis. 1 cod. pen.; solo grazie alle indagini svolte successivamente all’arresto del prevenuto, era emerso il coinvolgimento di parenti del ricorrente, e si era compreso che il predetto non aveva agito per un suo personale interesse, bensì per favorire l’attività del cugino ,NOME COGNOME nella sua qualità di referente di Cosa Nostra nel territorio di Regalbuto.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo tre motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione all’art. 416 bis.1 cod. pen., in punto di riconoscimento della predetta circostanza aggravante.
Osserva il ricorrente come, in sede di riesame, fosse stata censurata l’ordinanza cautelare sotto il profilo della contraddittorietà della decisione del GIP che, per un verso, revocava la misura precedentemente applicata in relazione al delitto di ricettazione di armi, e, per altro verso, accoglieva la richiesta del PM, presentata in data 14/08/2024, di adozione di una nuova ordinanza per il delitto di detenzione di armi nella misura aggravata ex art. 416 bis.1 cod. pen.: si duole la Difesa della illogica ed incoerente argomentazione del Tribunale del riesame che ha ritenuto priva di 1;regio l’indicata doglianza, assumendo come non potesse inferirsi che il GIP, allorquando ibbe a revocare la misura cautelare per il delitto di ricettazione, avesse avuto modo di prendere visione ta presso il suo della richiesta di applicazione della misura cautelare, invero già deposit
ufficio, per il delitto di detenzione d’arma e munizioni da guerra aggravatO; quanto alla motivazione dei Giudici della cautela in ordine alla sussistenza della contestata aggravante, osserva la Difesa come detta decisione si fondi non su valutazione di prove ma unicamente su considerazioni strettamente personali del Collegio, che infatti scriveva testualmente che «il ricorrente non poteva non prevedere la finalizzazione delle stesse al mantenimento della posizione verticistica rivestita da NOME COGNOME NOME all’interno del clan e all’esercizio della forza di intimidazione tipicamente derivante dall’appartenenza all’associazione mafiosa Cosa Nostra, la quale, indubbiamente trae il proprio vigore anche dalla disponibilità di armi da parte dei suoi accoliti».
Osserva a tale proposito la Difesa come NOME COGNOME COGNOME non fosse mai stato giudicato per reati associativi e mai per reati inerenti le armi e che il precedente per il delitto di cui all’art. 624 cod. pen. fosse relativo a un furto di energia elettric risalente a quasi 10 anni fa.
2.1. Con il secondo, connesso, motivo deduce la violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in punto di mancato riconoscimento della configurabilità del diverso e meno grave reato di cui all’ad 378 cod. pen.
Nel corpo della motivazione dell’ordinanza impugnata non è dato riscontrare alcuna ragione completa e chiara in ordine all’infondatezza della prospettazione difensiva secondo la quale i fatti oggetto dell’imputazione andrebbero più correttamente ascritti alla fattispecie del favoreggiamento personale. I Giudici hanno infatti omesso del tutto di valutare le diverse interpretazioni offerte dalla difesa in merito alle risultanze investigative, con particolare riferimento ai seguenti elementi:
dalle conversazioni tra NOME COGNOME ed il figlio NOME, captate il 06/02/2024, non può inferirsi che i due stessero effettivamente parlando di armi;
i dialoghi captati il 07/02/2024 nell’abitazione di NOME COGNOME tra quest’ultimo e le figlie avevano ad oggetto una pistola giocattolo;
dalla conoscenza, in capo al ricorrente, della caratura criminale del cugino, NOME COGNOME non poteva farsi derivare che la finalità di quest’ultimo di detenere le armi per agevolare l’attività di cosa nostra fosse conosciuta e condivisa da NOME COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo, si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione, ex art. 606 lett. c) ed e) cod. proc. pen., in punto di riconoscimento delle esigenze cautelari.
Il Tribunale non ha fornito risposta in ordine alla censura difensiva tendente a dimostrare l’insussistenza delle specifiche esigenze cautelari, limitandosi a condividere la valutazione compiuta dal primo giudice e nascondendosi in tal guisa dietro al metodo della motivazione per relationem. Nel caso di specie devono ritenersi insussistenti le esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., erroneamente riscontrate da parte del Tribunale del riesame sulla sola base della presunzione di esclusiva adeguatezza
della misura intrannuraria a cagione dei reati contestati. Ricordato il carattere relativo della presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., peraltro da declinarsi in modo diverso allorquando, come nel caso di specie, il soggetto attinto dalla misura non sia un associato, sottolinea la Difesa l’assenza del presupposto dell’attualità del rischio cautelare, apoditticamente e immotivatamente ritenuto sussistente dal Tribunale, che, sul punto, si è limitato a ricorrere a mere clausole di stile.
Il Procuratore generale, NOME COGNOME ha fatto pervenire la sua requisitoria scritta con la quale conclude chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
La disamina delle censure articolate deve essere compiuta seguendo il solco tracciato da diversi principi di diritto, così brevemente riassumibili.
In tema di misure cautelari personali, il giudizio di legittimità relativo alla verifica della sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza (ex art. 273 cod. proc. pen.), oltre che delle esigenze cautelari (ex art. 274 cod. proc. pen.), deve riscontrare – entro il perimetro circoscritto dalla devoluzione – la violazione di specifiche norme di legge o la mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Essa, dunque, non può intervenire nella ricostruzione dei fatti, né sostituire l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, bensì deve dirigersi a controllare se il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritt che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (si vedano, sull’argomento, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01 e le successive, Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460 – 01).
Quanto ai limiti del sindacato consentito in sede di legittimità, quindi, è possibile richiamare il dictum di Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, COGNOME, Rv. 270628, secondo cui: «In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, o assenza delle esigen2e cautelari, è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito».
In materia di provvedimenti de libertate la Corte di Cassazione non ha quindi alcun potere né di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi), né di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed all’adeguatezza delle misure, poiché sia nell’uno che nell’altro caso si tratta di apprezzamenti propri del giudice di merito.
Il controllo di legittimità rimane pertanto circoscritto all’esame del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato, la correttezza allo stato degli atti della qualificazione giuridica attribuita ai fatti e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, nelle argomentazioni rispetto al fin giustificativo del provvedimento (Sez. un., n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv 215828; Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976; Sez. 4, n. 18807 del 23/3/2017, Rv 269885).
Applicando i principi generali al caso in esame, va rilevato che, nel provvedimento impugnato, non si riscontra alcuna violazione di legge né vizio motivazionale rilevante ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.: il ricorrente reitera i medesimi motivi di doglianza sollevati con sede di riesame cautelare, e decisi con il provvedimento impugnato con motivazione congrua, scevra da aporie logiche in relazione alla quale, nella sua interezza, il ricorrente omette di confrontarsi.
In particolare, i primi due motivi di ricorso, che meritano un’analisi congiunta stante la stretta interconnessione degli argomenti ad essi sottesi, sono manifestamente infondati.
Come correttamente evidenziato dal Procuratore Generale presso questa Corte di legittimità in seno alla sua requisitoria, non è inquadrabile in nessuna violazione di legge l’iniziale censura riferita al fatto che il 14/8/2024 il Gip aveva revocato, per il solo delitto di ricettazione, la misura originariamente disposta / né tale revoca (avesse avuto o meno il Gip all’epoca modo di visionare e valutare la richiesta già avanzata e poi esitata con la applicazione della misura oggetto del provvedimento di riesame) impediva l’emissione della nuova misura (per diversa contestazione).
Nel resto, gli argomenti difensivi condensati nei motivi di ricorso in trattazione sono la mera ripetizione dei motivi di riesame, ai quali il Tribunale ha risposto in modo adeguato e completo, e sollecitano, in modo inammissibile, una rilettura degli elementi fattuali evidenziati dal Tribunale a supporto della sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
Va osservato come l’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa non presupponga che l’autore al quale sia stata contestata sia indiziato del reato associativo o abbia precedenti in tal senso: la motivazione dell’impugnata ordinanza chiarisce perfettamente
che l’indagato era consapevole del fatto che NOME COGNOME stesse riorganizzando Cosa Nostra a Regalbuto, e, conoscendo la sua caratura criminale, ha custodito numerose armi’ per favorire l’opera di riorganizzazione della cosca che il cugino stava effettuando.
Dal tenore delle conversazioni intercettate, come sintetizzate in ordinanza, emerge con chiarezza come il ricorrente detenesse le armi per conto del cugino, capo clan di Cosa Nostra a Regalbuto; il ricorrente, invero, GLYPH non contesta questo fatto, se non genericamente offrendo una non consentita GLYPH lettura diversa del contenuto delle conversazioni intercettate.
Quanto alla richiesta di qualificazione della condotta come favoreggiamento è appena il caso di osservare come l’art. 378 cod. pen. presupponga che l’agente non concorra nel reato presupposto; nel caso di specie, come ampiamente argomentato dai giudici della cautela, invece, l’odierno ricorrente era concorrente con il cugino NOME COGNOME nel reato di detenzione delle armi.
Peraltro, nell’articolare il motivo, la difesa offre GLYPH la propria interpretazione alternativa delle conversazioni captate, dimenticando il solido orientamento di questa Corte regolatrice, per il quale in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite, difetti che non si riscontrano nella fattispecie in esame. (Sez. 3 , Sentenza n. 44938 del 05/10/2021 Ud. (dep. 06/12/2021 ) Rv. 282337 . Massime precedenti Conformi: N. 46301 del 2013 Rv. 258164 – 01, N. 50701 del 2016 Rv. 268389 – 01, N. 35181 del 2013 Rv. 257784.
GLYPH Manifestamente infondato è poi l’ultimo motivo di ricorso, con il quale si censura l’attuale esistenza di esigenze giustificative della misura di massimo grado applicata al ricorrente.
Sul punto, come correttamente affermato dal Tribunale di Caltanissetta, per il reato aggravato dall’art. 416 bis.1 cod.pen. opera la doppia presunzione relativa – di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere – prevista dall’art. 275, comma 3, terzo periodo, cod. proc. pen.
La presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., d’altro canto, è prevalente, in quanto speciale, rispetto alla norma generale stabilita dall’art. 274 cod. proc. pen. e ne consegue che la presunzione fa ritenere sussistente, salvo prova contraria, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo (Sez. 5, Sentenza n. 26371 del 24/07/2020, COGNOME, Rv. 279470; Sez. 3, n. 33051 del 08/03/2016, COGNOME e altri, Rv. 268664).
Ciò posto, del tutto adeguata e non censurabile in questa sede è la motivazione resa dal Tribunale del riesame che, oltre a richiamare la doppia presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., ha anche valutato in concreto la sussistenza del pericolo di recidiva e la necessità di isolare il ricorrente dal pericolosissimo circuito criminale nel cui era risultato gravitare.
A fronte di tale motivazione, il ricorso non chiarisce quali elementi di segno contrario consentirebbero di superare la doppia presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, difettando quindi di genericità ed aspecificità.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e rilevato che – nella fattispecie – non ricorrono elementi che possano indurre a ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria di inammissibilità non può che conseguire, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, oltre che al versamento – in favore della Cassa delle ammende – di una somma che si stima equo fissare in euro tremila.
Copia del presente provvedimento deve essere trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-te,, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, il 17 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente